Ordinanza emessa il 20 marzo2006 dalla Corte di appello militare - sez. distaccata di Verona - nel procedimento penale militare a carico di Areni Salvatore Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione - Inammissibilita' dell'appell...

LA CORTE MILITARE DI APPELLO

Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 76/2005 R.G. nei confronti di: Areni Salvatore, nato l'8 marzo 1982 a Napoli, eletto domicilio in Verona, via Pellegrini; Militare E.I.; libero.

In seguito all'appello proposto dal p.g.m. presso la C.M.A. - Sezione distaccata di Verona, in data 5 maggio 2004, avverso la sentenza n. 73/2004 emessa il 6 aprile 2004 dal Tribunale militare di Torino con la quale, per il reato di: 1) "Diserzione", 2) "Diserzione", 3) "Diserzione" (artt. 148 n. 2 c.p.m.p), veniva assolto perche' il fatto non costituisce reato.

La Corte, nell'udienza camerale del 16 marzo 2006, nel giudizio di appello introdotto dal gravame del p.g.m. in sede avverso la sentenza con la quale il Tribunale militare di Torino ha assolto Areni Salvatore dagli ascrittogli reati di diserzione, ha pronunciato la seguente ordinanza.

Sentito il p.g.m. che ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 3, 111 e 112 Cost., dell'articolo 1 della recente legge 20 febbraio 2006 n. 46, in vigore dal 9 marzo 2006, nella parte in cui ha modificato l'art. 593 c.p.p. ed abolito la facolta' del pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento;

Sentita la difesa dell'imputato che ha chiesto la dichiarazione di manifesta infondatezza della eccepita questione di legittimita' costituzionale;

O s s e r v a

Il presente giudizio di gravame trae origine dall'appello presentato dalla procura generale militare in sede avverso la sentenza, datata 6 aprile 2004, con la quale il Tribunale militare di Torino ha assolto Areni Salvatore, imputato di plurimi reati di diserzione, con la formula del fatto non costituisce reato.

L'atto di appello sopra indicato si presenta provvisto di tutti i requisiti di ammissibilita' richiesti dalla disciplina vigente al momento della sua presentazione.

Ai sensi di quanto disposto dall'art. 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, il presente giudizio di gravame e' destinato a concludersi con una ordinanza di inammissibilita' dell'appello, in quanto detta norma ha disposto la applicabilita' della nuova disciplina ai procedimenti in corso e prescritto che ai medesimi debba porsi fine, salvo la possibilita' di un ricorso per cassazione, con un atto di declaratoria di inammissibilita' del giudizio di gravame.

Di conseguenza appare evidente la rilevanza del prospettato dubbio di illegittimita' costituzionale, in ragione del fatto che la possibilita' di definire il presente processo con una statuizione diversa dalla specifica ordinanza di inammissibilita' contemplata dalla disposizione transitoria e' preclusa dalla nuova formulazione dell'articolo 593 (quale modificata dall'art. 1 della legge n. 46/2006), di cui si sospetta il contrasto con alcune norme della Costituzione.

Le eccezioni di incostituzionalita' che si andranno, proporre investono direttamente la disciplina "a regime" dettata dalla legge n. 46/2006, ossia la regola della inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero; ma e' evidente che il loro accoglimento travolgerebbe anche la disciplina transitoria dettata per gli appelli gia' proposti, che ha la sua ragion d'essere proprio nella sopravvenuta introduzione di quella regola.

Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale.

La recente legge 20 febbraio 2006 n. 46, in vigore dal 9 marzo 2006, modificando l'art. 593 c.p.p., ha abolito la facolta' del pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, salvo ipotesi marginali ("nuove prove ... sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado") che non ricorrono nel presente caso.

Contro tali sentenze, dunque, l'Ufficio del p.m. puo' di regola proporre il solo ricorso per Cassazione, del quale - al contempo - la nuova legge ha ampliato i presupposti di rituale instaurazione (con la modifica delle lettere d) ed e) dell'art. 606 c.p.p.).

E' convincimento di questo giudice che la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 1 della legge 46/1996, sollevata dal rappresentante della procura generale militare in riferimento agli articoli 3, 111 e 112 della Carta costituzionale, non sia manifestamente infondata.

Violazione dell'art. 111, comma 2, prima parte, della Cost.

Il primo e fondamentale profilo di contrasto fra il nuovo art. 593 c.p.p. e le norme costituzionali, riguarda il principio della parita' delle parti nel processo penale, consacrato nell'art. 111, secondo comma Cost., rispetto al quale appare inconciliabile una disciplina dell'appello che introduce pesanti elementi di turbativa nell'equilibrio del contraddittorio ed assegna alle parti prerogative differenziate al punto tale che una soltanto di esse puo' vedere soddisfatto il suo interesse sostanziale.

Che questa sia la situazione scaturente dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46 risulta palese ove si consideri che in essa i poteri di appello dell'imputato e del p.m. sono connotati da una formale coincidenza (facolta' per entrambi di impugnare la condanna; divieto per entrambi di impugnare il proscioglimento) che pero' si traduce, data la contrapposizione dei rispettivi interessi, in una radicale sperequazione. L'imputato, infatti, perde la possibilita' di impugnare nel merito la sentenza di primo grado per aspetti del tutto platonici (l'adozione di una formula di proscioglimento piuttosto che un'altra; l'assoluzione ai sensi del primo piuttosto che del secondo comma dell'art. 530, c.p.p.) e la conserva nei casi in cui la sentenza leda in modo concreto i suoi diritti di liberta' e di onorabilita'. Il rappresentante della pubblica accusa, per contro, resta legittimato all'appello nei soli casi in cui la pretesa punitiva abbia trovato essenziale realizzazione e con riguardo ad aspetti secondari della medesima (la qualificazione del fatto; la quantificazione della pena); mentre viene privato di analoga legittimazione nelle, di gran lunga piu' significative, evenienze in cui quella pretesa sia stata totalmente sconfessata.

Il dubbio di legittimita' costituzionale si giustifica anche in relazione a quanto affermato dalla Corte cost. (sentenza n. 363/1991 e ordinanze successive tra cui n. 421/2001) a proposito dei limiti oggettivi all'appello del pubblico ministero nel giudizio abbreviato (inappellabilita' delle sentenze di condanna che non modifichino il titolo del reato).

Si e' infatti sottolineato che detta disciplina non contrasta con i canoni di ragionevolezza e non viola il principio della parita' in quanto: a) costituisce il "corrispettivo" in funzione premiale (unitamente alla riduzione della pena) della rinunzia al...

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