Ordinanza emessa il 29 marzo 2006 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento penale a carico di Guadagnoli Danilo ed altri Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione, salvo nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2 - Omessa...

LA CORTE DI APPELLO

Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo a carico di Tocchi Piermauro, appellante avverso la sentenza del Tribunale Roma in data 13 febbraio 2003, con la quale, concessegli le attenuanti generiche, era dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine al reato ascrittogli al capo h),per essere estinto per prescrizione.

Preso atto dell'eccezione di illegittimita' costituzionale degli art. 1 e 10 della legge n. 46/2006, proposta dal procuratore generale per la violazione degli art. 24 e 111 della Costituzione, cui la difesa si associava;

R i l e v a

L'imputazione ritenuta contestava il reato di cui agli art. 81 cpv., 110, 321, 319, 319-bis, 61 n. 7) c.p., per fatti commessi nell'aprile e dicembre 1991 e nel febbraio 1992, per avere accettato somme di denaro per centinaia di milioni, quale corrispettivo di atti contrari ai doveri d'ufficio.

Con i motivi di appello rituale si chiedeva, in via principale, l'assoluzione per non avere commesso il fatto, in quanto il Tocchi non era stato chiamato in correita' da alcun coimputato, ma scagionato da tre di loro in ordine a qualsivoglia implicazione nella vicenda, mai avendo ricevuto denaro da soggetto, per il quale era adottata identica pronuncia (capo i) enunciante il medesimo fatto).

Letti gli atti del processo, va rilevato che non puo' essere definito indipendentemente dalla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593, 2 comma, c.p.p., sostituito dallo art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, e dell'art. 10, 1° e 2° comma, della stessa legge, poiche' rileva l'omessa e l'erronea valutazione di prove decisive, per le proposizioni difensive espresse con richiamo delle risultanze processuali.

O s s e r v a

Va premesso che l'art. 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, sulle modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento, al comma 1 dispone che le norme introdotte si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge ed al comma 2 che l'appello anteriormente proposto dall'imputato o dal pubblico ministero contro le medesime sentenze viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile, nel tempo previsto dal comma 3 rimanendo esperibile il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado.

Per la lettura congiunta dei predetti commi 1 e 2 l'inammissibilita' va dichiarata se si tratta di impugnazione cui non si applica la stessa legge e per il caso concreto, essendo solo anteriormente consentito l'appello, si riferiscono i termini in base ai quali le limitazioni alla facolta' di gravame, poste dall'art. 593, 2° comma, c.p.p. e dall'art. 10, commi 1 e 2 della legge n. 46/2006 per i processi in corso, sono ritenute sospette d'illegittimita' costituzionale.

L'esposizione induce ad un esame piu' ampio di quanto la fattispecie concreta imponga, ma, prescindendo da esso, la questione non sarebbe a sufficienza motivata, poiche' le posizioni dell'imputato e del pubblico ministero sono in reciproca relazione nell'ambito del "giusto processo", e non essendo parcellizzabili i motivi.

Il 2° comma dell'art. 593 c.p.p., recita che entrambi possono appellare contro le sentenze di proscioglimento soltanto nelle ipotesi di cui allo art. 603, 2° comma, c.p.p., "se la nuova prova... decisiva" e' sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado.

Per la sua natura, questa prova non puo' soggiacere ad alcuna preclusione di carattere temporale, come e' logico ed affermato dalla giurisprudenza di legittimita' per "l"evidenza" (Cass. 1° gennaio 2002, ced 222543; Cass. Sez. VI, sent. 2719 del 4 marzo 1994, rv. 198244; Cass. Sez. V, sent. 5690 del 16 maggio 1990, rv. 198862), sicche' s'appalesa subito non i fondato il rilievo che la norma si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza dettato dall'art. 3 della Costituzione, subordinando, con la sanzione d'inammissibilita', la sopravvenienza o la scoperta della nuova prova decisiva ai termini variabili di proposizione dell'appello: da 15 giorni a 134 giorni, rispettivamente per la motivazione contestuale ex art. 544, 1° comma, c.p.p. o particolarmente complessa ai sensi del 3° comma dello stesso articolo 1), per il caso dell'imputato presente o che tale debba considerarsi.

Queste diversita' processuali ed altre, per la contumacia e suoi effetti ad esempio, non di mero fatto, ma derivanti dall'applicazione di altre norme, restringono o ampliano in maniera dissimile tra parti private e tra queste ed il pubblico ministero la possibilita' di addurre ed articolare la nuova prova, con la conseguenza che il 2° comma...

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