N. 229 SENTENZA 21 - 24 giugno 2010

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Francesco AMIRANTE;

Giudici: Ugo DE SIERVO Giudice, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,

Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,

Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO,

Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 449, comma 4, del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Taranto nel procedimento penale a carico di I.M., con ordinanza del 30 settembre 2009, iscritta al n. 327 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2010.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di consiglio del 26 maggio 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto in fatto 1. - Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, con ordinanza depositata il 30 settembre 2009, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 449, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, investito del giudizio direttissimo, constatata la non flagranza del reato, possa restituire gli atti al pubblico ministero.

Il rimettente riferisce che I.M., imputato del reato di tentata rapina, e' stato tratto a giudizio direttissimo, ai sensi dell'art.

449, comma 4, cod. proc. pen., a seguito di arresto in flagranza convalidato dal giudice per le indagini preliminari.

In ordine ai motivi dell'arresto, il giudice a quo pone in evidenza che il 10 settembre 2009 alle ore 23,15 la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Taranto, ricevuta la segnalazione da parte della famiglia D.P. di un tentativo di rapina in danno di D.P.S., inviava una pattuglia presso l'abitazione dei predetti. All'interno del portone i militari identificavano in I. M. colui che era indicato dalla famiglia D.P.

quale autore della tentata rapina.

Appresi i fatti che avevano determinato la richiesta d'intervento, i carabinieri, dopo aver interpellato il pubblico ministero di turno, alle ore 23,25 traevano in arresto I.M.

L'arrestato era sottoposto a perquisizione personale, il cui esito si rivelava negativo. Alle ore 00,50 la presunta vittima, escussa a sommarie informazioni, esponeva che intorno alle ore 22,30, mentre stava rientrando a casa, era stato fermato da un giovane che, rivolgendogli minacce, gli aveva chiesto la consegna del cellulare.

L'individuo lo aveva seguito fino alla sua abitazione, dove i genitori, appreso l'accaduto, avevano richiesto l'intervento dei militari.

Cio' premesso, il rimettente osserva che, secondo le risultanze del verbale di arresto, la tentata rapina 'sarebbe avvenuta in contesto spaziale e temporale del tutto estraneo alla diretta percezione dei carabinieri e, pertanto, non si comprende perche' fu effettuato l'arresto in flagranza di reato, rectius in quasi flagranza', in quanto I.M. non fu sorpreso con tracce del reato e la sua mera presenza per interloquire con il denunziante e' un dato che avrebbe dovuto costituire oggetto di indagini esperibili dall'inquirente.

Il rimettente, inoltre, riferisce che, in seguito a richiesta del pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari 'con modulo a stampa e con evidente difetto di motivazione, ha convalidato l'arresto 'poiche' eseguito in flagranza' ed ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere.

Il pubblico ministero, infine, procedeva ai sensi dell'art. 449, comma 4, cod. proc. pen. nei confronti di I.M. per il reato di tentata rapina.

Dopo tale premessa in fatto, il rimettente richiama la normativa processuale concernente i procedimenti a carico di persone private della liberta' personale e rileva che un soggetto 'puo' essere tratto in arresto dall'autorita' di pubblica sicurezza soltanto nello stato di flagranza (art. 382 c.p.p.) allorche' viene colto nell'atto di commettere il reato ovvero se, subito dopo il reato, e' inseguito dalla polizia giudiziaria, ovvero e' sorpreso con cose e tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima'.

Prosegue osservando che 'la nozione della flagranza e della quasi flagranza e' semplice e non ammette opinabili interpretazioni, atteso che in entrambi i casi il presupposto della privazione della liberta' da parte del soggetto da parte della polizia si fonda sul fatto che la commissione del reato sia avvenuta sotto la diretta percezione della polizia operante'.

Il giudicante, inoltre, pone l'accento sui casi in cui 'la polizia puo' operare il fermo di chi sia ritenuto autore del reato', nonche' sulle ipotesi nelle quali la privazione della liberta' personale consegue all'applicazione di una misura cautelare disposta dal giudice che procede e da' conto dell'iter processuale contemplato per le diverse situazioni, soffermandosi sul rito direttissimo con persone in stato di detenzione, in base alla normativa dettata...

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