N. 196 SENTENZA 26 maggio 2010 - 4 giugno 2010

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Francesco AMIRANTE;

Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 200 e 236 del codice penale e degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.

285 (Nuovo codice della strada), come modificati, rispettivamente, dall'art. 4, commi 1, lettera b), e 2, lettera b), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, promosso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Lecce nel procedimento penale a carico di P.T. con ordinanza del 27 maggio 2009, iscritta al n. 323 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, 1ª serie speciale, dell'anno 2010.

Udito nella Camera di consiglio del 12 maggio 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto in fatto 1. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato - in riferimento agli articoli 3 e 117 della Costituzione - questione di legittimita' costituzionale degli articoli 200 e 236 del codice penale e degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificati, rispettivamente, dall'art. 4, commi 1, lettera b), e 2, lettera b), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125.

1.1. - Il remittente premette, in punto di fatto, di dover decidere in ordine alla richiesta di emissione di decreto penale di condanna, avanzata dal pubblico ministero in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza - per un fatto commesso nel gennaio 2008 ed alla contestuale richiesta di confisca del veicolo a carico dell'imputato, ai sensi del gia' citato art. 186, comma 2, lettera

c), del codice della strada.

Detta norma, infatti, nel testo novellato dall'art. 4 del decreto-legge n. 92 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 125 del 2008, prevede che sia 'sempre disposta la confisca del veicolo con il quale e' stato commesso il reato ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato', in caso di condanna tanto per la fattispecie criminosa di guida in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche, purche' sia stato accertato a carico del conducente un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro di sostanza ematica, quanto per la fattispecie criminosa (art. 187 del codice della strada) di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.

La circostanza che nel vigente testo dell'art. 186, comma 2, lettera c), del codice della strada sia espressamente richiamato l'art. 240, primo comma, cod. pen., non dovrebbe lasciare dubbi secondo il remittente - che, 'sotto l'aspetto formale, tale confisca debba essere qualificata come misura di sicurezza patrimoniale', per la quale, quindi, opera il principio - in forza del rinvio all'art.

200, primo comma, cod. pen. contenuto nell'art. 236 del medesimo codice - secondo cui 'le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione'. Ne consegue, pertanto, che la misura della confisca del veicolo appare destinata ad applicarsi pure 'nei riguardi di coloro che, imputati del reato di guida sotto l'influenza dell'alcool (o di quello di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti), risultino destinatari di una sentenza di condanna o di una sentenza di patteggiamento, anche se il reato venne commesso in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 92 del 2008'.

Sottolinea, inoltre, il giudice a quo che tale 'soluzione ermeneutica' risulta 'conforme al pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimita''. Essa, 'con riferimento ad analoghe forme di confisca, ha sempre affermato' - diversamente da parte della dottrina, secondo cui la previsione dell'art. 200, primo comma, cod.

pen. andrebbe riferita esclusivamente all'ipotesi in cui le modifiche legislative concernenti le misure di sicurezza riguardino le loro modalita' di esecuzione - 'che per tali misure, qualificabili come misure di sicurezza e non come pene accessorie o pene sui generis, non opera il principio di irretroattivita'', sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., norma concernente 'esclusivamente la pena' (richiama, sul punto: Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza del 15 gennaio 2009, n. 8404; sezione terza penale, sentenza del 15 ottobre 2002, n. 40703; sezione prima penale, sentenza del 19 maggio 2000, n. 7045; sezione prima penale, sentenza del 19 maggio 1999, n. 3717; sezione seconda penale, sentenza del 3 ottobre 1996, n. 3655; sezione sesta penale, sentenza del 17 novembre 1995, n.

775).

1.2. - Tanto premesso, il giudice a quo ritiene che le norme censurate, 'interpretate in conformita' al 'diritto vivente' di origine giurisprudenziale', siano in contrasto con l'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, secondo cui 'non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato e' stato consumato'.

Il suddetto art. 7 - sottolinea il remittente - si pone come 'norma interposta', ovvero come disposizione 'subcostituzionale', che finisce 'per integrare e dare contenuto' al dettato dell'art. 117, primo comma, Cost., sicche' la sua violazione da parte di norma di legge ordinaria integra un contrasto con tale parametro costituzionale. Conclusione, questa, proposta 'dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007', pronunce che hanno 'definitivamente chiarito' - si nota ancora nell'ordinanza di rimessione - 'che il giudice e' tenuto a valutare la compatibilita' costituzionale di ciascuna norma di legge ordinaria, anche nelle materie penalistiche, con le norme della Cedu', le quali, peraltro, rilevano non 'in se' considerate', bensi' 'come prodotto della interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo nelle sue sentenze'.

Orbene, 'proprio con riferimento al principio fissato dall'art. 7 della Cedu, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha puntualizzato' - osserva sempre il remittente - che nell'individuazione del concetto di pena e' necessario 'andare al di la' delle apparenze' per valutare 'se una data misura costituisca pena ai sensi di tale norma', verificando se essa 'sia stata imposta a seguito di una condanna per un reato', per poi attribuire rilievo ad altri elementi, come 'la natura e lo scopo della misura in questione; la sua qualificazione nel diritto interno; le procedure correlate alla sua adozione ed esecuzione'. Tali affermazioni, fatte dalla Corte di Strasburgo nella sentenza del 9 febbraio 2005, resa nella causa n. 307-A/1995, Welch contro Regno Unito (che, come rammenta il remittente, ha riconosciuto la violazione dell'art. 7 della Convenzione proprio 'in un caso di applicazione retroattiva della confisca di beni disposta nei riguardi di un trafficante di droga condannato a non ridotta pena detentiva'), sono state ulteriormente precisate dalla sua successiva giurisprudenza. Essa, infatti, ha specificato che la garanzia sancita dall'art. 7, in quanto 'elemento essenziale della preminenza del diritto, occupa un posto fondamentale nel sistema di protezione della Convenzione, come dimostra il fatto che l'art. 15 non autorizza alcuna deroga', sicche' la sua...

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