Ordinanza emessa il 16 marzo 2006 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento penale a carico di Cardenas Vargas Daniela Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - Preclusione (salvo nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, se la nuov...

LA CORTE DI APPELLO

Letti gli atti del procedimento penale contro Cardenas Vargas Daniela.

Rileva in fatto

Con sentenza in data 18 ottobre 2004 il Tribunale di Velletri assolveva perche' il fatto non sussiste Cardenas Vargas Daniela dal reato di cui all'art. 14, comma 5-ter del decreto legislativo 286/1998 accertato in Pomezia il 6 marzo 2004.

Avverso tale sentenza proponeva appello il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma chiedendo la condanna dell'imputata.

In pendenza dell'appello in data 9 marzo 2006 entrava in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, escludente la possibilita' per il pubblico ministero di proporre gravame avverso sentenze assolutorie eccezion fatta per i casi in cui ricorre l'ipotesi delineata dall'art. 603, secondo comma c.p.p.

Nel corso dell'odierna udienza il procuratore generale sollevava eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 593 c.p.p. cosi' come novellato dalla legge 20 febbraio, n. 46, deducendo le seguenti considerazioni:

All'ecc.ma Corte di appello di Roma

Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593 c.p.p., novellato dalla legge 20 febbraio n 46, nella parte in cui limita l'appello del p.m. contro le sentenze di proscioglimento alle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2 c.p.p.; nonche' dell'art 10, comma 2 della stessa legge per contrasto con gli articoli 3, 111, 112 della Costituzione.

1) L'art. 593 c.p.p., novellato dalla legge 20 febbraio 2006 n 46, e' anzitutto in contrasto col principio costituzionale della parita' delle armi (art. 111 Cost.), nella parte in cui esclude il potere di appello del p.m. contro le sentenze di proscioglimento fuori delle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2 c.p.p.

Rispetto alla precedente formulazione codicistica, organica ed equilibrata, dei "casi di appello", tale intervento, fortemente limitativo e praticamente ablativo del potere di impugnazione di merito da parte del p.m., appare inoltre in contrasto col parametro costituzionale della "ragionevolezza" (art. 3 Cost.).

Nessuna risposta ai dubbi di costituzionalita' puo' rinvenirsi nella relazione al disegno di legge relativo.

Secondo tale documento l'esclusione dell'appello trarrebbe fondamento dall'art. 2 del prot. n 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo in forza del quale chiunque venga dichiarato colpevole ha il diritto di sottoporre ad una giurisdizione superiore la condanna, ovvero la dichiarazione di colpevolezza. Un diritto simmetrico del p.m. - contro le sentenze di assoluzione - non potrebbe essere invece riconosciuto non potendosi ammettere un ulteriore controllo di merito dell'eventuale condanna in secondo grado (su appello del p.m.) che implicherebbe una disciplina manifestamente eccentrica rispetto all'attuale sistema. In sostanza, per non dare ingresso ad un altro giudizio di merito sull'eventuale condanna in secondo grado (per effetto dell'appello del p.m.), si sarebbe preferito escludere del tutto la stessa possibilita' della condanna (nel caso di gia' pronunciata assoluzione).

Come e' pero' subito evidente, non sussiste alcun rapporto di consequenzialita' e coerenza tra il diritto del condannato di appellare e la preclusione per l'accusa di servirsi dello stesso rimedio in caso di proscioglimento.

Del resto, lo stesso art. 2, comma 3 stabilisce esplicitamente che il diritto al doppio grado di giurisdizione di merito possa essere legittimamente limitato nel caso di infrazioni minori, ovvero di condanna pronunciata da una giurisdizione suprema, oppure in caso di condanna pronunciata a seguito del ricorso avverso il proscioglimento. Quindi, come si puo' constatare anche testualmente, l'asserito fondamento internazionalistico della preclusione dell'appello del p.m. e' argomento pretestuoso, se non del tutto surrettizio, e ogni altra considerazione sulla pretesa "disumanita" o "crudelta" dell'appello del p.m. (gia' esclusa in sede costituzionale dalla presunzione di non colpevolezza che salvaguarda, in ogni caso, la dignita' della persona) appare di maniera ed e' comunque del tutto inconsistente anche perche' l'assoluzione di primo grado non esclude affatto l'eventuale certezza oggettiva della responsabilita', che infatti puo' derivare non solo dall'improbabile sopravvenienza di una nuova prova (caso residuale previsto dal nuovo testo dell'art. 593), ma anche e soprattutto da una diversa valutazione giuridica degli stessi fatti, cosi' come accertati in primo grado. Non regge percio' neppure l'asserita insuperabilita' del dubbio, tanto piu' che nell'ordinario schema del giudizio penale, l'appello, ove ammesso, non e' che uno sviluppo ordinario del processo, ovviamente, e necessariamente, aperto ad ogni epilogo. Non senza tenere conto inoltre della maggiore autorevolezza del giudice di secondo grado che conferisce comunque un altissimo livello di attendibilita' e di veridicita' alla relativa sentenza, anche se di riforma di un'assoluzione precedente.

Per mettere in luce ancor piu' l'irrazionalita' della norma, in un certo senso ablativa e comunque limitativa della "finalita' di giustizia", piu' volte sottolineata dalla Corte costituzionale (che deve costituire la meta costante, essenziale ed ineludibile di ogni processo, strettamente correlata alla ricerca di verita), non puo' non rilevarsi altresi' che rinunciare ad un grado di giurisdizione da parte di chi rappresenta lo Stato, nella sua eccezione piu' ampia, significa anche rinunciare alla "collegialita" della decisione definitiva nel merito. E cio' proprio quando il giudizio di primo grado e' ormai, per buona parte, passato ai giudici monocratici sia nei riti speciali che nel rito ordinario. A ben guardare, poi, la stortura come sopra evidenziata vulnera il valore della "certezza del diritto", presupposto e garanzia del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, stante l'atomizzazione delle decisioni monocratiche alle volte, purtroppo, eccessivamente personalizzate, che sfuggiranno al controllo del giudice d'appello in genere molto piu' distaccato ed esperto.

Avuto riguardo ancora una volta al precetto costituzionale di cui all'art. 111 della Costituzione...

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