Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Filiazione - Dichiarazione giudiziale di paternita' o di maternita' naturale - Procedimento - Preliminare giudizio di delibazione in ordine all'ammissibilita' dell'azione - Contraddizione intrinseca tra l'attuale disciplina del procedimento e la ratio originaria della norma, ostacolo al...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:

Presidente: Annibale MARINI;

Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 274 del codice civile, promosso con ordinanza del 26 novembre 2004 dalla Corte di cassazione, nel procedimento civile vertente tra Ivan Barbara e Minuto Rizzo Emanuela ed altri, iscritta al n. 57 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 8, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.

Visti gli atti di costituzione di Ivan Barbara e di Minuto Rizzo Alessandro ed Emanuela;

Udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 2006 il giudice relatore Alfio Finocchiaro;

Uditi gli avvocati Mario Loria per Ivan Barbara e l'avvocato Antonio D'Alessio per Minuto Rizzo Alessandro ed Emanuela.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza depositata il 26 novembre 2004, la Corte di cassazione - nel corso di un giudizio avverso una sentenza della Corte d'appello di Venezia che aveva dichiarato improponibile l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' naturale per la carenza della previa dichiarazione di ammissibilita' dell'azione ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 30 e 111 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 274 del codice civile «nella parte in cui subordina al previo esperimento di una procedura delibatoria di ammissibilita' l'esercizio dell'azione di riconoscimento di paternita' naturale promossa da un soggetto maggiorenne ai sensi del precedente art. 269 c.c.».

    Premette la Corte rimettente di avere sollevato analoga (ma non identica) questione, nel corso del medesimo processo, con ordinanza del 3 luglio 2003, nella quale il dubbio di legittimita' della suddetta disposizione era diffusamente argomentato con riferimento a quattro distinti profili: a) la sopravvenuta irragionevolezza intrinseca della norma, con riguardo alla sua originaria ratio di tutela del convenuto a fronte di avverse iniziative pretestuose o temerarie; b) il suo carattere discriminatorio nei confronti dei figli naturali, non essendo analogo procedimento delibatorio previsto per la corrispondente azione di accertamento della filiazione legittima; c) il carattere obiettivamente ostativo della procedura rispetto alla tutela dei diritti fondamentali dei figli naturali, attinenti al loro status ed alla loro identita' biologica; d) la dubbia compatibilita' del procedimento di ammissibilita', quale modellato dal diritto vivente, con il canone della ragionevole durata del processo, a sua volta coessenziale al giusto processo.

    Detta questione e' stata dichiarata manifestamente inammissibile, con ordinanza n. 169 del 2004, in ragione di una duplice carenza di motivazione: da un lato, in punto di rilevanza, quanto all'eccezione, formulata nel giudizio a quo dai convenuti, di intervenuto giudicato sulla inammissibilita' della domanda; dall'altro, in punto di non manifesta infondatezza, per l'omessa considerazione, da parte della Corte rimettente, della concorrente finalita' di tutela del minore assegnata al procedimento delibativo sub art. 274 cod. civ. dalla sentenza n. 341 del 1990 e ribadita dalla successiva pronuncia n. 216 del 1997.

    Tutto cio' premesso, osserva il giudice rimettente che la riproposizione della questione - previa integrazione della motivazione - costituisce a questo punto «atto istituzionalmente dovuto», stante la persistenza del dubbio di legittimita' costituzionale ed essendo d'altro canto pacifica, nella giurisprudenza costituzionale, la emendabilita' delle carenze motivazionali che abbiano condotto alla declaratoria di inammissibilita' della questione.

    Ai fini, dunque, dell'integrazione della motivazione sulla rilevanza, precisa la Corte di cassazione che non e' ravvisabile alcun giudicato nella sentenza della stessa Corte n. 8342 del 1999, che ebbe a cassare l'ordinanza di sospensione del giudizio di merito in pendenza del procedimento delibatorio. Con quella sentenza, infatti, la Corte demando' al giudice di primo grado «di decidere egli (ne' evidentemente avrebbe potuto farlo essa nella sede del regolamento di competenza ex art. 42, nuovo testo, del codice di procedura civile), sulla questione della proponibilita' dell'azione di riconoscimento nella carenza attuale di un provvedimento definitivo di autorizzazione ex art. 274 c.c.», cosicche' quella sentenza null'altro configura che un giudicato sulla competenza a procedere del giudice adito, che aveva erroneamente sospeso il processo. Con la conseguenza, dunque, che e' stato solo il Tribunale, adito con l'azione di dichiarazione giudiziale, ad escluderne l'ammissibilita', per difetto del presupposto processuale di cui all'art. 274 cod. civ., con sentenza confermata dalla Corte di appello, avverso la cui pronuncia e' stato proposto il ricorso per cassazione di cui si tratta.

    Quanto, poi, alla «piu' compiuta individuazione del contenuto della norma denunciata», ai fini della motivazione in punto di non manifesta infondatezza, precisa la Corte rimettente che la questione sollevata non puo' che investire la sola ipotesi (che viene in considerazione nella fattispecie) di azione proposta ai sensi dell'art. 269 cod. civ. da soggetto maggiorenne, senza in alcun modo coinvolgere il procedimento, additivamente rimodellato dalle sentenze n. 341 del 1990 e n. 216 del 1997, relativo ai minori.

    Osserva quindi il rimettente che la stessa Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 216 del 1997, ha precisato che, ai fini della ammissibilita' della domanda formulata dal maggiorenne, «e' sufficiente l'esistenza di elementi anche di tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione verosimile, tanto che la pronuncia di ammissibilita' puo' essere fondata anche sulle sole affermazioni della parte ricorrente».

    Il procedimento ex art. 274 cod. civ., cosi' inteso, risulterebbe all'evidenza non piu' idoneo ad assolvere la finalita', per la quale era stato introdotto, di tutela del preteso genitore da istanze vessatorie o ricattatorie, tanto piu' che - nella assai infrequente ipotesi di diniego della autorizzazione all'azione - la domanda e' reiterabile sulla base di nuove allegazioni senza alcun limite temporale.

    I connotati di segretezza della procedura, inoltre, risulterebbero fortemente attenuati nella fase di gravame, per effetto della progressiva accentuazione del carattere contenzioso della procedura stessa, e del tutto azzerati in sede del ricorso per cassazione, stante la necessaria pubblicita' del giudizio di legittimita'.

    In definitiva, la fase di delibazione avrebbe perso, in riferimento all'ipotesi di domanda proposta da soggetti maggiorenni, ogni ragione giustificativa ed addirittura si presterebbe ad essere strumentalizzata in danno del convenuto - alla cui tutela era originariamente preposta - proprio in considerazione della reiterabilita' senza limiti temporali della domanda.

    Di qui il dubbio di legittimita' costituzionale della norma in riferimento all'art. 3, secondo comma, Cost., per la sua intrinseca irragionevolezza; in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., per la disparita' di trattamento che ne deriverebbe tra figli legittimi e figli naturali in tema di...

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