Legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine255-295

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. II, 20 gennaio 2010, n. 2465 (Ud. 13 gennaio 2010). Pres. Sirena – Est. Chindemi – P.M. Delahaye (Conf.) – Ric. Bevilacqua

Carta di credito - Indebito utilizzo - Carte di credito proventi di delitto - Reato di ricettazione - Reato ex art. 12 D.L. 143/91 - Concorso - Sussistenza

Nel caso di indebita utilizzazione di carte di credito o di pagamento costituenti provento di delitto concorrono il reato di ricettazione e quello previsto dall’art. 12 del D.L. 3 maggio 1991 n. 143, conv. con modif. in legge 5 luglio 1991 n. 197. (Mass. Redaz.) (C.p., art. 648; D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12) (1)

    (1) In aggiunta alla sentenza, più volte citata in motivazione, delle SS.UU. penali del 7 giugno 2001, Tiezzi, pubblicata in questa Rivista 2001, 734, si veda, in senso conforme, Cass. pen., sez. VI, 16 settembre 2009, Iaria, in CED Archivio Penale, Rv 244874.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Venezia, con sentenza in data 24 aprile 2008, confermava la sentenza del Tribunale di Pordenone, del 18 gennaio 2007, impugnata da Bevilacqua Giuseppina (dichiarata colpevole di due serie di episodi di ricettazione di carte bancarie provento di furto e per l’indebito utilizzo delle stesse, avendo effettuato prelievi di denaro contante e pagamenti di merce) e condannata ad anni tre, mesi 10 di reclusione e euro 1.540 di multa.

Il difensore dell’imputato proponeva ricorso per cassazione deducendo l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 15 c.p., in relazione all’art. 648 c.p. e D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), e), c.p.p., lamentando l’applicazione del principio di specialità, ex art. 15 c.p., con riferimento al rapporto fra il delitto di ricettazione e quello di cui al D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12, dovendosi ritenere assorbita nel reato di ricettazione l’ulteriore asserita violazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione sottoposta all’attenzione dalla Corte è stata affrontata dalle sezioni unite (Sez. un., Sentenza n. 22902 del 7 giugno 2001, c.c. 28 marzo 2001, Rv. 218872) chiamate a chiarire se l’ipotesi criminosa di cui al D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12, convertito con la L. 5 luglio 1991, n. 197, che prevede e punisce l’acquisizione di carte di credito, di pagamento o di altro documento analogo di provenienza illecita, sia speciale o meno rispetto al delitto di ricettazione.

Nell’ipotesi, di possesso e successiva utilizzazione di carte di credito di provenienza illecita, si ha concorso di reati e non concorso apparente di norme incriminatici.

In linea di massima, afferma la Corte, si può ritenere valido un criterio fondato sulla natura intrinseca delle varie condotte ipotizzate, configuranti uno o più reati a seconda che costituiscano ontologicamente diverse manifestazioni esteriori di una sola situazione di fatto rivestente lo stesso disvalore sociale, ovvero rappresentino situazioni strutturalmente fenomenicamente e cronologicamente distinte anche in relazione alle offese arrecate. L’analisi letterale della norma in esame evidenzia la previsione di due condotte che sotto l’aspetto fenomenico presentano caratteri ben diversi, anzi del tutto eterogenei: la prima consiste nella indebita utilizzazione, cioè nel concreto uso illegittimo del documento in questione - lecita o illecita che sia la sua provenienza - da parte del non titolare al fine di realizzare un profitto per se o per altri, la seconda si concreta nel possesso (inteso come detenzione in materiale), nella cessione o nell’acquisizione di tali documenti di provenienza illecita, cioè in una azione che sotto il profilo logico e temporale è distinta dalla prima perchè la precede e ne costituisce il presupposto fattuale.

Le due condotte non possono essere considerate equivalenti e in rapporto di alternatività formale.

Del resto situazioni del tutto analoghe - quale ad esempio quella della ricettazione di titoli di credito poi utilizzati per commettere falsi e/o truffe - non hanno mai dato luogo a dubbi sulla concorrenza di tali reati. Certamente, come già evidenziato, integra il reato di cui all’art. 648 c.p. (ricettazione) la condotta di chi riceve, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, carte di credito o di pagamento (ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi) provenienti da delitto (Sez. un., Sentenza n. 22902 del 7 giugno 2001, c.c. 28 marzo 2001, Rv. 218872).

Tale delitto concorre con la fattispecie di reato di cui al citato D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 12 in quanto, nell’espressione “provenienza illecita” contenuta nell’art. 12, al di là del suo carattere linguisticamente generico, non può ricomprendersi quella “provenienza da delitto” di cui all’art. 648 c.p., nel caso in cui, come nella fattispecie, l’imputato, dopo avere; ricevuto tali carte di pagamento, effettui prelievi di denaro contante o pagamenti di merce.

L’art. 12, recita: “chiunque, al fine di trarre profitto per sè o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasiPage 256 altro documento analogo che abiliti al prelievo di danaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da L. 600 mila a L. 1 milione. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarre profitto per sè o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti ai prelievo di danaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonchè ordini di pagamento prodotti con essi”.

Trattasi di due condotte diverse previste da due diverse norme incriminatici.

L’art. 648 c.p. punisce l’acquisto la ricezione o l’occultamento di denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, mentre l’art. 12, primo comma, del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, punisce l’utilizzo, da parte di soggetto non titolare, di carte di credito o di pagamento.

Trattasi, all’evidenza, di condotte diverse che non possono essere confuse o assorbite, con conseguente concorso di reati.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. (Omissis)

@CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. VI, 15 gennaio 2010, n. 1938 (Ud. 23 ottobre 2009). Pres. De Roberto – Est. Carcano – P.M. Selvaggi (Conf.) – Ric. Porta ed altro

Peculato - Per appropriazione - Assenza di vantaggio economico per il P.U. - Configurabilità del reato - Esclusione - Fattispecie in tema di appropriazione di somme pagate per infrazioni al codice stradale

Esula la configurabilità del delitto di peculato quando manchi una condotta di tipo appropriativo, tale non potendosi ritenere quella del pubblico ufficiale dalla quale non derivi a costui alcun vantaggio economico. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso la sussistenza del peculato in un caso in cui il sindaco di un Comune ed il comandante della locale polizia municipale, d’intesa tra loro, ritenendo che illegittimamente le somme costituenti provento di sanzioni amministrative a carico di contravventori alle norme del codice della strada fossero state versate alle casse comunali, in mancanza di un servizio di tesoreria del consorzio intercomunale per la gestione unitaria dei servizi di polizia locale, cui dette somme sarebbero state destinate, avevano disposto per la loro restituzione agli stessi contravventori, ferma restando la permanenza del rapporto obbligatorio a carico di costoro). (Mass. Redaz.) (C.p., art. 314) (1)

    (1) Cfr. Cass. pen., sez. I, 20 febbraio 1992, Soggiu, in Giust. pen. 1992, II, 435. Secondo tale precedente, in una fattispecie di peculato militare commesso da sottufficiale dei carabinieri appropriatosi di somme provenienti da sanzioni pecuniarie inflitte per trasgressioni al codice della strada, le somme di danaro versate, a titolo di sanzioni pecuniarie, da persone responsabili di infrazioni al codice stradale, appartengono allo Stato, ma non all’amministrazione militare di esso, non essendo destinate a far parte del capitolo delle entrate di tale amministrazione neppure nel periodo intercorrente tra la loro riscossione e il versamento nelle casse dello Stato, durante il quale rimangono nella materiale disponibilità di colui che le ha ricevute.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Marilena Porta e Simona Saladini impugnano la sentenza in epigrafe indicata con la quale furono condannate per i delitti di falso e peculato, in tal modo riformando la decisione di primo grado che ebbe ad assolvere entrambe dal delitto di falso ideologico e Simona Saladini anche dal delitto di peculato e, invece, condannò Marilena Porta per il delitto di abuso d’ufficio, così qualificato il fatto di peculato ab origine ascrittole.

In particolare, Marilena Porta e Simona Saladini furono rinviate a giudizio con l’accusa di peculato e falso ideologico per essersi appropriate - nelle rispettive qualità, l’una, di comandante dei vigili urbani e, l’altra, di sindaco del Comune di Cernobbio - della somma complessiva di euro 4.419,44 di proprietà del Consorzio di polizia locale Breggia-Lario, costituito da sei Comuni, tra cui quello di Cernobbio, per la gestione unitaria del servizio di polizia locale e per l’accertamento delle violazioni al codice della strada; somma della quale ebbero la disponibilità, in ragione del loro ufficio, poiché il consorzio, nelle more della attivazione di una propria tesoreria e in attuazione di un accordo tra i Comuni interessati e la precedente giunta municipale di Cernobbio, fece versare ai contravventori su un conto corrente postale intestato a vigili urbani di tale Comune le somme relative alle sanzioni applicate; condotta...

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