Ordinanza nº 61 da Constitutional Court (Italy), 24 Febbraio 2010

RelatorePaolo Maria Napolitano
Data di Resoluzione24 Febbraio 2010
EmittenteConstitutional Court (Italy)

ORDINANZA N. 61

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Ugo DE SIERVO Presidente

- Paolo MADDALENA Giudice

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 22 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promossi dal Tribunale ordinario di Tolmezzo con ordinanza del 15 maggio 2008, dal Tribunale ordinario di Udine con ordinanza del 27 gennaio 2009, dal Tribunale ordinario di Lucca con due ordinanze del 24 febbraio 2009 e dal Tribunale ordinario di Alessandria con ordinanza del 17 aprile 2009, rispettivamente iscritte ai nn. 41, 135, 191, 192 e 261 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8, 20, 28 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che con ordinanza depositata in data 15 maggio 2008 il Tribunale ordinario di Tolmezzo ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, comma 1, e 22, comma 4, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui «limitano in via transitoria l’applicazione retroattiva della disciplina in materia di esdebitazione ai soli fallimenti ancora pendenti» alla data del 16 luglio 2006, anziché estenderla «a tutti i fallimenti retti dall’originario testo» del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), a prescindere dalla data della loro chiusura;

che il rimettente, chiamato a decidere su di un ricorso volto alla concessione del beneficio della esdebitazione proposto da persona, il cui fallimento – dichiarato il 25 giugno 1990 dallo stesso Tribunale rimettente – era stato chiuso in data 16 aprile 2003, dopo aver riferito che erano stati resi in senso favorevole i prescritti pareri e che era stata definita, siccome non ostativa, una questione pregiudiziale, osserva che il punto da esaminare ai fini della decisione è relativo alla applicabilità del beneficio ai soggetti nei cui confronti la procedura fallimentare si sia interamente svolta sotto l’impero delle previgenti disposizioni del regio decreto n. 267 del 1942;

che, dato atto dell’esistenza, anteriormente alle innovazioni apportate dal d.lgs. n. 169 del 2007, di un contrasto nella giurisprudenza di merito fra quanti ritenevano inapplicabile la disciplina della esdebitazione a chi era stato dichiarato fallito prima della entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e quanti (fra i quali lo stesso organo giudiziario rimettente), invece, ritenevano applicabile tale disciplina anche alle procedure già chiuse al 16 luglio 2006, il giudice a quo osserva che, a decorrere dalla entrata in vigore del d.lgs. n. 169 del 2007, il quadro normativo rilevante è stato legislativamente definito, dato che l’art. 19 del detto d.lgs. n. 169 del 2007, contenente la disciplina transitoria della esdebitazione, prevede, al comma 1, che le disposizioni pertinenti a siffatto istituto si applichino «anche alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5», come, peraltro, ribadito, precisa il rimettente, dal comma 4 dell’art. 22 del medesimo d.lgs. n. 169 del 2007;

che, da ciò, il rimettente fa discendere che la esdebitazone possa essere richiesta anche in relazione a fallimenti la cui procedura si sia svolta in base alla previgente disciplina, purché si tratti di procedimenti ancora aperti al 16 luglio 2006, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006, restando, pertanto, escluse solo le procedure a tale data già definite;

che, sulla base di tali premesse, ritiene il rimettente di dover sollevare questione di legittimità costituzionale delle due disposizioni indicate per ultimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., apparendo a lui, infatti, irragionevole che il legislatore del 2007, nell’introdurre ex novo la disciplina transitoria della esdebitazione, stabilisca una disparità di trattamento fra i falliti le cui procedure si siano chiuse prima del 16 luglio 2006, esclusi dal beneficio, e quanti, invece, essendo le procedure ancora pendenti a tale data, possono giovarsene, sebbene, in ambedue i casi, si tratti di soggetti per i quali è stata, o deve essere, applicata la previgente disciplina fallimentare;

che, a fronte di tale identità di disciplina, la norma transitoria, senza apparente giustificazione, ha reso applicabile la esdebitazione solo a talune fattispecie – i fallimenti chiusi dopo il 15 luglio 2006 – sulla base di un dato cronologico arbitrario, tale da incidere, nel senso di consentirla ovvero di impedirla, sulla nuova modalità di tutela giudiziaria assicurata al fallito;

che, conclude il rimettente, non è possibile rimuovere il dedotto vizio di costituzionalità...

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