Sentenza nº 315 da Constitutional Court (Italy), 04 Dicembre 2009

RelatoreGiuseppe Tesauro
Data di Resoluzione04 Dicembre 2009
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 315

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

[ELG:PREMESSA]

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 5, 15, commi 3, 4 e 6, 16, commi 1, 4, 6 e 7 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-19 agosto 2008, depositato in cancelleria il 20 agosto 2008 ed iscritto al n. 47 del registro ricorsi 2008.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano;

udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2009 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano.

[ELG:FATTO]

Ritenuto in fatto

  1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 12-19 agosto 2008, depositato il successivo 20 agosto 2008, ha proposto questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art. 14, commi 1, 2 e 5, dell’art. 15, commi 3, 4 e 6, e dell’art. 16, commi 1, 4, 6 e 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4 (Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni), per contrasto con l’art. 117, commi primo, secondo, lettera s), e terzo della Costituzione e con gli articoli 8, 9 e 99 dello statuto speciale di autonomia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

  2. – Il ricorrente premette, in linea generale, che, sebbene la Provincia autonoma di Bolzano, ai sensi dell’art. 8, comma 1, punti nn. 5 e 6, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, sia titolare di una potestà legislativa primaria in materia di «tutela del paesaggio» e di «urbanistica» e, ai sensi dell’art. 9, punto n. 10, del medesimo statuto, di una competenza legislativa concorrente in materia di «igiene e sanità», spetta in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, secondo la giurisprudenza costituzionale. Compete, pertanto, allo Stato – ad avviso della difesa erariale – dettare le norme di tutela che hanno ad oggetto nel suo complesso l’ambiente, bene che inerisce ad un interesse di rango costituzionale primario, per il quale deve essere garantito, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, inderogabile da parte delle altre normative di settore. Il ricorrente aggiunge che tale disciplina unitaria del bene complessivo “ambiente” viene a configurarsi come limite all’intervento legislativo delle Regioni e delle Province autonome nelle materie di loro competenza, essendo queste ultime vincolate al rispetto dei livelli minimi ed uniformi di tutela posti in essere dalla legislazione statale, ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, oltre che al rispetto della normativa comunitaria di riferimento, secondo quanto disposto dall’art. 8, comma 1, dello statuto e dall’art. 117, primo comma, della Costituzione.

  3. – Sulla base di queste premesse, il ricorrente impugna, in primo luogo, l’art. 4, comma 2, della citata legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui, modificando la legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8 (Disposizioni sulle acque), provvede a definire le acque reflue urbane come «il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato», in difformità con la definizione che delle acque reflue urbane detta l’art. 74, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale), secondo cui devono essere definite acque reflue urbane le «acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato».

    A giudizio del ricorrente, così disponendo, la citata norma lederebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e gli artt. 8 e 9 dello statuto, di cui al d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto, ponendosi in contrasto con la definizione che delle acque reflue urbane detta l’art. 74, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 152 del 2006, violerebbe i livelli uniformi di tutela ambientale dettati dal legislatore statale.

    3.1. – Viene, poi, censurato l’art. 15, commi 3 e 4, della legge provinciale n. 4 del 2008, nella parte in cui sostituisce l’art. 5 della legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8, in materia di autorizzazione ed esercizio degli impianti che producono emissioni in atmosfera, consentendo che il gestore metta in esercizio impianti che producono emissioni, prima che l’Agenzia provinciale per l’ambiente esegua il collaudo e rilasci l’autorizzazione. Tale disposizione determinerebbe una lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e degli artt. 8 e 9 dello statuto, ponendosi in contrasto sia con l’art. 269 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale dispone che per tutti gli impianti che producono emissioni debba essere richiesta un’autorizzazione ai sensi della parte quinta dello stesso decreto, sia con l’art. 279 del medesimo decreto, che individua una specifica sanzione per chi inizi ad installare o metta in esercizio un impianto o eserciti un’attività in assenza della prescritta autorizzazione.

    3.2. – Analoghe censure sono, inoltre, rivolte nei confronti dell’art. 15, comma 6, della medesima legge provinciale n. 4 del 2008, il quale modifica l’art. 7 della legge provinciale n. 8 del 2000, stabilendo che un impianto termico possa definirsi civile quando la produzione di calore è “prevalentemente” destinata al riscaldamento di edifici o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari, in contrasto con l’art. 283, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale definisce come impianto termico civile «l’impianto termico la cui produzione di calore è destinata, anche in edifici ad uso non residenziale» – esclusivamente – «al riscaldamento o alla climatizzazione di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari». A giudizio del ricorrente, la mancata riproduzione di tale esclusività contemplata dalla norma statale non solo comprometterebbe l’esigenza di uniformità di disciplina perseguita dal legislatore nazionale, ma determinerebbe “discrasie” nella regolamentazione della materia, contrarie agli scopi della legge statale in punto di sicurezza degli impianti e di controllo delle emissioni. Ciò, in quanto sarebbe sottratto dal campo di applicazione del titolo I della parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, un numero elevato di impianti che, ove fossero qualificati come “termici civili”, sarebbero assoggettati alla disciplina meno rigorosa del titolo II della parte quinta del predetto decreto, non essendo tali impianti, ad esempio, assoggettabili alla preventiva autorizzazione di cui all’art. 269 del medesimo decreto, ma ad una mera denuncia di installazione o modifica.

    3.3. – Il ricorrente impugna, ancora, l’art. 16, comma 1, della legge citata, il quale, sostituendo la lettera c) del comma 1 dell’art. 3 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, provvede a riformulare la definizione di «sottoprodotto», prescrivendo, in particolare, al punto n. 5, che «la Giunta provinciale stabilisce i criteri secondo i quali le terre e rocce da scavo sono considerati come sottoprodotti».

    Tale disposizione sarebbe incostituzionale per le medesime ragioni poste a base della sentenza n. 62 del 2008 della Corte costituzionale, ponendosi in contrasto con la direttiva 5 aprile 2006, n. 2006/12/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti), «atta ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’ordinamento comunitario, in base all’art. 117, primo comma, della Costituzione».

    3.4. – Analoghe censure sono proposte, inoltre, dal ricorrente in ordine all’art. 16, comma 4, che sostituisce la lettera b) del comma 3 dell’art. 19 della citata legge provinciale n. 4 del 2006. La disposizione impugnata prevede l’esonero dall’obbligo di tenuta del formulario di trasporto dei rifiuti per «i trasporti di rifiuti che non eccedano la quantità di 30 chilogrammi o 30 litri al giorno, effettuati dal produttore di rifiuti stessi non a titolo professionale. In questo caso il gestore dell’impianto di trattamento deve lasciare una conferma scritta, secondo le modalità fissate dalla Giunta provinciale». Secondo il ricorrente tale norma contrasterebbe sia con l’art. 193 del d.lgs. n. 152 del 2006 che esonera dall’obbligo di tenuta del formulario soltanto «i trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri», sia con l’art. 5, comma 3, della direttiva 12 dicembre 1991, n. 91/689/CEE (Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi), il quale dispone che «i rifiuti pericolosi, qualora vengano trasferiti, devono essere accompagnati da un formulario di identificazione». Anche in questo caso, la disposizione sarebbe...

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