Sentenza nº 251 da Constitutional Court (Italy), 24 Luglio 2009

RelatoreMaria Rita Saulle
Data di Resoluzione24 Luglio 2009
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 251

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 91, commi 1, lettera d), 2 e 6, 95, comma 5, prima parte, 96, 101, comma 7, 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, 114, commi 1 e 2, e 116 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Emilia-Romagna (n. 2 ricorsi), Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata, con ricorsi notificati il 24 aprile, l’8, il 12-21, il 12-27, il 12 ed il 13 giugno 2006, depositati in cancelleria il 27 aprile, il 10, il 14, il 15, il 16, il 17, il 20, il 21 ed il 23 giugno 2006, ed iscritti ai numeri 56, 68, 69, 70, 72, 73, 74, 75, 76, 78, 79 e 80 del registro ricorsi dell’anno 2006.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché gli atti di intervento dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, e della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;

udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Lucia Bora e Guido Meloni per la Regione Toscana, Luigi Manzi per la Regione Piemonte, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria, Giandomenico Falcon per la Regione Liguria, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Gustavo Visentini per la Regione Marche, Alessandro Giadrossi per l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con separati ricorsi, il primo notificato il 24 aprile 2006 e depositato il successivo 27 aprile (registro ricorsi n. 56 del 2006), il secondo notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 16 giugno (registro ricorsi n. 73 del 2006), la Regione Emilia-Romagna ha, fra l’altro, impugnato, dapprima, l’art. 101, comma 7, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), per violazione degli artt. 76 e 117, terzo comma, della Costituzione, e, successivamente, gli artt. 96, 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, e 114, comma 1, del medesimo decreto legislativo, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost.

    1.1. – Quanto all’art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, la difesa regionale premette che la norma impugnata «assimila alle acque reflue domestiche gli scarichi derivanti dalle imprese agricole», includendo in esse «anche quelle che svolgono attività di trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli, purché tale attività, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale, riguardi materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità».

    Nel ricorso si evidenzia in particolare che, a differenza di quanto previsto in precedenza dall’art. 28, comma 7, lettera c), del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), il quale fissava un «criterio certo», in quanto fondato su un «preciso rapporto minimo tra materia prima derivante dalla propria produzione e materia prima derivante da produzioni altrui», la disposizione impugnata ne avrebbe introdotto uno discrezionale, imperniato sul «concetto elastico di “misura prevalente”».

    L’art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, pertanto, secondo la ricorrente, provocherebbe «una riduzione del livello di tutela delle acque», contraddicendo i principi e i criteri direttivi fissati dall’art. 1, comma 8, lettera a), e dal successivo comma 9, lettera b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), concernenti, rispettivamente, l’obiettivo del «miglioramento della qualità dell’ambiente, della protezione della salute umana, dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali», e quello di «pianificare, programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi».

    Sotto altro profilo, osserva sempre la ricorrente, il medesimo articolo inciderebbe negativamente anche sulle funzioni già attribuite alla Regione dalla legislazione di settore e dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e ciò, ancora una volta, in violazione del «preciso vincolo posto dalla legge di delega».

    1.2. – Con riguardo alla asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la Regione Emilia-Romagna afferma che l’art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, potendo «provocare effetti irreversibili sul controllo dei reflui e sulla qualità delle acque», arrecherebbe pregiudizio agli «interessi pubblici ambientali che la Regione ha in carico, sia pure non in via esclusiva», nonché alla tutela del territorio e della salute umana; interessi rientranti nella competenza legislativa concorrente della Regione ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

    1.3. – Con riguardo all’art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006, la Regione Emilia-Romagna premette che il comma 1 di tale disposizione riscrive l’art. 7 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), concernente il procedimento per il rilascio delle concessioni di acqua pubblica.

    In particolare, la ricorrente evidenzia che il nuovo testo dispone che le domande relative sia alle grandi sia alle piccole derivazioni siano trasmesse alle Autorità di bacino territorialmente competenti le quali, entro il termine rispettivamente di novanta e di quaranta giorni, «comunicano il proprio parere vincolante al competente Ufficio istruttore in ordine alla compatibilità della utilizzazione con le previsioni del Piano di tutela, ai fini del controllo sull’equilibrio del bilancio idrico o idrologico, anche in attesa di approvazione del Piano anzidetto», disponendo altresì che, «decorsi i predetti termini senza che sia intervenuta alcuna pronuncia, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nomina un commissario ad acta che provvede entro i medesimi termini decorrenti dalla data della nomina».

    Nel ricorso si assume che «le competenze della Regione Emilia-Romagna» risulterebbero «concretamente incise» da tale disposizione, considerato che la Regione avrebbe «adottato una propria disciplina procedimentale» – con la legge regionale 21 aprile 1999, n. 3 (Riforma del sistema regionale e locale) e con il successivo regolamento regionale 20 novembre 2001, n. 41 (Regolamento per la disciplina del procedimento di concessione di acqua pubblica) – in attuazione del conferimento di funzioni operato dagli artt. 86-89 del d.lgs. n.112 del 1998.

    Inoltre, osserva la ricorrente, la previsione secondo la quale le nuove Autorità di bacino esprimono sulle grandi derivazioni un parere vincolante in un termine che passa da quaranta a novanta giorni e che, «in caso di mancata espressione del parere medesimo, non operi più il silenzio assenso, ma si proceda alla nomina di un commissario ad acta» che dispone di altri novanta giorni per esprimersi comporterebbe, altresì, una «enorme dilatazione dei tempi, in […] contrasto con gli obiettivi di semplificazione» stabiliti dall’art. 1, comma 9, lettera b), della legge n. 308 del 2004.

    1.4. – Quanto osservato con riguardo al comma 1 varrebbe, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, anche «in relazione agli altri commi dell’art. 96» del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto essi, contenendo una «disciplina analitica e dettagliata», non rispetterebbero quanto affermato dalla Corte costituzionale – in particolare, fra le altre, nella sentenza n. 31 del 2006 – secondo cui «alla luce del nuovo testo dell’art. 118 Cost., dopo la riforma del titolo V della parte II, l’attribuzione alle Regioni ed agli enti locali delle funzioni amministrative in materia è sorretta dal principio di sussidiarietà».

    Ciò posto, non sarebbe legittimo, ad avviso della Regione, che lo «Stato emani in materia norme legislative che entrano analiticamente nel dettaglio», sottoponendo «l’uso dei poteri normativi che residuano alla Regione» a direttive delle quali non sarebbero indicate «né l’autorità competente né le modalità di emanazione», e in una materia – quella delle derivazioni d’acqua – che non risulterebbe «contemplata nell’oggetto della delega».

    Per queste ragioni, l’art. 96 si porrebbe in contrasto, «nella sua interezza», con gli artt. 76, 117 e 118 Cost.

    1.5. – Con riguardo alle disposizioni degli artt. 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti misure di tutela delle acque, la ricorrente osserva, preliminarmente, che esse risulterebbero accomunate da una identica illegittima impostazione dei rapporti tra autonomia legislativa e amministrativa regionale e «direzione statale».

    1.6. – In particolare, quanto al citato art. 104, comma 3, esso attrarrebbe...

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