Ordinanza nº 91 da Constitutional Court (Italy), 27 Marzo 2009

RelatorePaolo Maria Napolitano
Data di Resoluzione27 Marzo 2009
EmittenteConstitutional Court (Italy)

ORDINANZA N. 91

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 25 novembre 2003, n. 339 (Norme in materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato), promosso dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Brandi Massimo ed altra e la Presidenza del Consiglio dei ministri con ordinanza del 24 giugno 2008, iscritta al n. 315 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di costituzione di Brandi Massimo e dell’ADIP – Avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato Daniele Perna per Brandi Massimo e per l’ADIP – Avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale e l’avvocato dello Stato Sergio Sabelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Napoli, con ordinanza del 24 giugno 2008, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 25 novembre 2003, n. 339 (Norme in materia di incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato), nella parte in cui prevedono, rispettivamente, che il divieto di esercizio della professione di avvocato per i dipendenti pubblici a tempo parziale ridotto (non superiore al 50 per cento del tempo pieno) si applichi anche ai dipendenti già iscritti negli albi degli avvocati alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 339 del 2003, e che solo per un breve periodo di tempo è possibile esercitare l’opzione imposta fra pubblico impiego ed esercizio della professione;

che il rimettente riferisce che un dipendente dell’Avvocatura dello Stato, con qualifica di operatore amministrativo e in possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione forense, aveva chiesto all’amministrazione, ai sensi dell’art. 1, comma 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), la trasformazione del proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale (part-time), al fine di esercitare la professione di avvocato;

che l’amministrazione, con decreto del 16 dicembre 2002, gli aveva negato tale trasformazione, motivando il diniego con il conflitto d’interessi che sarebbe scaturito dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con l’Avvocatura e dal contestuale esercizio della professione forense;

che il dipendente, lamentando l’illegittimità del diniego opposto dall’amministrazione, poiché questa, ai sensi del citato art. 1, comma 58, avrebbe solo dovuto prendere atto dell’opzione formulata dal ricorrente, chiedeva dichiararsi l’avvenuta trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno con l’Avvocatura, in rapporto di lavoro part-time, con condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno per perdita di chance;

che, sempre secondo quanto riferisce il rimettente, la Presidenza del consiglio dei Ministri si era ritualmente costituita nel giudizio a quo, eccependo l’infondatezza delle ragioni poste a base della domanda e concludendo per il suo rigetto, e si era altresì costituita, in qualità di interventore volontario, l’associazione Adip-Avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale, chiedendo che venisse sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 339 del 2003;

che il rimettente aveva disposto una prima volta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ravvisando la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 339 del 2003 in riferimento agli artt. 3 e 4 della Costituzione;

che la questione era stata decisa dalla Corte costituzionale con pronuncia di inammissibilità emessa in data 22 novembre 2006 (sentenza n. 390 del 2006);

che il rimettente, dopo aver riassunto il procedimento e riesaminato gli atti, ha nuovamente ritenuto necessario sottoporre al vaglio della Corte la questione di costituzionalità delle disposizioni richiamate, ancorché sotto il diverso profilo del legittimo affidamento ingenerato in coloro che avevano già usufruito della precedente possibilità di esercitare la professione;

che il Tribunale di Napoli, nel motivare la non manifesta infondatezza della questione, ricostruisce l’evoluzione legislativa della disciplina della compatibilità dell’impiego pubblico con l’esercizio delle professioni evidenziando come il legislatore abbia progressivamente abbandonato l’originario criterio della esclusività della prestazione a favore della pubblica amministrazione fino a consentire, con la legge n. 662 del 1996, la...

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