Sentenza nº 125 da Constitutional Court (Italy), 30 Aprile 2009

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione30 Aprile 2009
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 125

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA “

- Alfio FINOCCHIARO “

- Alfonso QUARANTA “

- Franco GALLO “

- Luigi MAZZELLA “

- Gaetano SILVESTRI “

- Sabino CASSESE “

- Maria Rita SAULLE “

- Giuseppe TESAURO “

- Paolo Maria NAPOLITANO “

- Giuseppe FRIGO “

- Alessandro CRISCUOLO “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 9, lett. a), ultima parte, e 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) in combinato disposto con l’art. 15 del regolamento del Consiglio delle Comunità europee n. 659/1999 (recante modalità di applicazione dell’art. 93 del Trattato CE) promosso dal Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento vertente tra la Medcenter Container Terminal s.p.a. e l’I.N.P.S. ed altri con ordinanza dell’11 febbraio 2008, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti l’atto di costituzione della Medcenter Container Terminal s.p.a. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Giampiero Proia e Camillo Paroletti per la Medcenter Container Terminal s.p.a. e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — Il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza depositata l’11 febbraio 2008 ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 9, lettera a), ultima parte, e 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), in combinato disposto con l’art. 15 del regolamento del Consiglio delle Comunità europee n. 659/1999 del 22 marzo 1999 (recante modalità di applicazione dell’art. 93 del Trattato CE).

    Il rimettente premette che, con ricorso depositato il 26 luglio 2007, la società Medcenter Container Terminal s.p.a. (d’ora in avanti Medcenter s.p.a) ha adito il giudice del lavoro di Reggio Calabria impugnando una cartella esattoriale relativa alla somma di euro 14.168.650,17, «emessa per recupero sgravi, oltre accessori, in applicazione della decisione dell’Unione Europea dell’11.5.1999 concessi per i contratti di formazione lavoro dal novembre 1995 al maggio 2001».

    Dopo avere riassunto i numerosi motivi addotti a sostegno dell’opposizione, tra cui in primo luogo «la prescrizione dei diritti di credito vantati ex artt. 3 e 9 legge n. 335/1995» (recte art. 3, comma 9, lettera a, ultima parte, della legge n. 335 del 1995), il rimettente prosegue osservando che, nel giudizio così introdotto, si sono costituiti l’Istituto nazionale di previdenza sociale (d’ora in avanti INPS) e la S.C.C.I. s.p.a., mentre è rimasta contumace Equitalia ETR s.p.a., concessionaria del servizio di riscossione dei tributi.

    Le parti convenute hanno dedotto – tra l’altro – che, secondo la giurisprudenza comunitaria, la normativa interna non può essere invocata per escludere il diritto dell’INPS e l’obbligo della Repubblica Italiana di recuperare gli aiuti di stato illegittimamente concessi, dovendo il giudice interpretare la normativa interna in modo da dare attuazione al diritto comunitario e non applicare le norme di diritto interno idonee ad impedire l’effettività del recupero; che la prescrizione non era operante perché la Corte di giustizia delle Comunità europee, con la sentenza del 20 marzo 1997, causa C–24/95, aveva ritenuto che il principio della certezza del diritto non poteva precludere la restituzione di un aiuto di Stato per il ritardo col quale le autorità nazionali si erano conformate alla decisione della Commissione europea che imponeva tale restituzione, decisione immediatamente efficace e non richiedente alcuna procedura di recepimento; che, in ogni caso, si sarebbe dovuta applicare la prescrizione decennale, versandosi in tema di restituzione d’indebito ai sensi dell’art. 2953 del codice civile.

    Ciò posto, il rimettente chiarisce che la causa è stata messa in discussione in ordine a «profili di possibile illegittimità costituzionale della lettura della legge n. 335 del 1995 alla luce della normativa comunitaria» ed osserva che la controversia de qua prende le mosse dalla decisione della Commissione europea n. 2000/128/CE dell’11 maggio 1999, con la quale, traendo spunto dalla notifica del disegno di legge che avrebbe dato vita alla legge 24 giugno 1997, n. 196 (Norme in materia di promozione dell’occupazione), detta Commissione, estendendo l’esame a tutta la normativa nazionale relativa ai contratti di formazione e lavoro, aveva avviato la procedura d’infrazione di cui all’art. 88, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea del 25 marzo 1957, reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203 (come modificato dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001, reso esecutivo con legge 11 maggio 2002, n. 102), (ex art. 93, paragrafo 3, dell’originario Trattato CE), in relazione alla disciplina che accordava benefici contributivi in caso di contratti di formazione e lavoro e, in particolare, per quella parte di sgravio contributivo differenziale rispetto alla misura fissa ed uniforme di cui alla legge 19 dicembre 1984, n. 863 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, recante misure urgenti a sostegno ed incremento dei livelli occupazionali) e pari al 25%. Ad avviso della Commissione (che indicava pure dei criteri cui i contratti dovevano uniformarsi per essere conformi alla normativa comunitaria) gli sgravi accordati in misura superiore, in ragione del luogo d’insediamento dell’impresa beneficiaria, del settore di appartenenza e della dimensione, costituivano misure selettive capaci d’incidere sulla concorrenza sia all’interno dello Stato sia tra imprese insediate in Stati diversi.

    Avverso tale decisione l’Italia aveva proposto ricorso alla Corte di giustizia, che lo aveva respinto con sentenza del 7 marzo 2002, C–310/99, nella quale il giudice comunitario si era espresso anche in ordine al legittimo affidamento e lo aveva escluso in capo allo Stato, avuto riguardo alla comunicazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, con la quale la Commissione informava i potenziali beneficiari di aiuti statali della precarietà degli aiuti stessi che fossero stati loro illegittimamente concessi, nel senso che essi potevano essere tenuti a restituirli, pur senza escludere la possibilità, per il beneficiario di un aiuto illegittimamente concesso, d’invocare circostanze eccezionali sulle quali fondare il proprio affidamento circa la regolarità dell’aiuto e di opporsi alla sua restituzione.

    Per la perdurante inerzia dell’Italia era poi seguito il giudizio, conclusosi con la sentenza di condanna della Corte di giustizia della Comunità europea del 1° aprile 2004, C–99/02, con la quale la Corte aveva ribadito il carattere obbligatorio del recupero delle somme erogate a titolo di aiuto illegittimo ed aveva precisato che non era configurabile l’impossibilità assoluta di dare esecuzione alla decisione. Le mere difficoltà operative avrebbero dovuto comportare un diligente intervento presso la Commissione stessa, proponendo appropriate modifiche della decisione in termini tali da renderla suscettibile di ottemperanza in ragione del principio di leale collaborazione e buona fede che informa i rapporti tra gli Stati e le istituzioni comunitarie.

  2. — In questo quadro, il rimettente rileva che la domanda dell’INPS non va qualificata come ripetizione d’indebito, bensì «come azione promossa dall’ente previdenziale per il recupero di contributi omessi poiché il diritto nasce dall’affermazione del ripristino dell’obbligo contributivo che scaturirebbe per effetto dell’impatto della normativa comunitaria sul diritto interno che autorizzava lo sgravio».

    Per ragioni di ordine logico, quindi, afferma di dovere esaminare con priorità la questione preliminare relativa alla prescrizione della pretesa azionata, postulante la soluzione di problemi connessi «all’interferenza ed impatto del diritto comunitario sul diritto interno, non solo e non tanto in ordine alle norme di legge ordinaria, ma anche e soprattutto in relazione a principi fondamentali aventi rilevanza e riconoscimento nel sistema costituzionale italiano».

    Dopo avere posto in rilievo che l’efficacia diretta della fonte comunitaria nel caso in esame non potrebbe essere messa in questione – traendo essa fondamento dalla decisione della Corte di giustizia 7 marzo 2002, C–310/99, che aveva avallato l’orientamento già espresso dalla Commissione europea – il rimettente procede all’esame dei principi che governano i rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale ed afferma che, pur in presenza del primato da riconoscere al primo, avente come destinatario non soltanto lo Stato ma lo stesso giudice interno, quest’ultimo dovrebbe porsi il dubbio circa la conformità della normativa comunitaria «ai principi fondamentali ed ai limiti che in ragione della certezza del diritto devono riconoscersi anche ad interventi conformativi del giudice delle leggi quali il limite del diritto quesito e delle situazioni esaurite o irrevocabili che la stessa Corte nazionale intervenendo con pronunce ablative non può...

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