Sentenza nº 229 da Constitutional Court (Italy), 06 Ottobre 2014

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione06 Ottobre 2014
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 229

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Sabino CASSESE Presidente

- Giuseppe TESAURO Giudice

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 29 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’art. 7, comma 1, lettera e, della legge 28 novembre 2005, n. 246), promossi dalla Corte di cassazione con ordinanze del 16 ottobre e del 20 dicembre 2012 (numero due ordinanze), rispettivamente iscritte ai nn. 8, 44 e 45 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 11, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti gli atti di costituzione del Consiglio notarile dei distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovì e Saluzzo, del Consiglio notarile distrettuale di Arezzo e del Consiglio notarile di Reggio Emilia, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 giugno 2014 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Paolo Mazzoli per il Consiglio notarile dei distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovì e Saluzzo e il Consiglio notarile distrettuale di Arezzo, Guglielmo Saporito per il Consiglio notarile di Reggio Emilia e l’avvocato dello Stato Diego Giordano per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – La Corte di cassazione, con ordinanza del 16 ottobre 2012 (r.o. n. 8 del 2013), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 29 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’art. 7, comma 1, lettera e, della legge 28 novembre 2005, n. 246), in riferimento all’art. 76 della Costituzione.

    La Corte ha esposto che il notaio V.T., ai sensi dell’art. 158 della legge n. 89 del 1913, come sostituito dall’art. 45 del d.lgs. n. 249 del 2006, aveva proposto reclamo avverso la decisione, depositata il 18 gennaio 2010, con la quale la Commissione regionale di disciplina gli aveva irrogato la sanzione di euro 2.500,00 «in ordine alla violazione di cui all’art. 28 della legge notarile, in essa assorbita quella ulteriormente contestatagli di cui all’art. 48 della medesima legge, ritenendo la sussistenza della prima consistita nell’aver ricevuto, in data 10 luglio 2007, due procure generali nelle quali era stata inserita la clausola che prevedeva la facoltà del rappresentante di “stipulare convenzioni matrimoniali, ed in particolare convenzioni di separazioni dei beni, di comunioni convenzionali, di costituzione di fondi patrimoniali, e le medesime convenzioni modificare”».

    La decisione era stata impugnata dal notaio dinanzi alla Corte d’appello di Torino. Quest’ultima, con sentenza 15 dicembre 2010, n. 123, aveva respinto il gravame, affermando la nullità delle due procure per impossibilità dell’oggetto e respingendo la tesi difensiva secondo cui gli atti compiuti dal notaio non avrebbero potuto essere considerati manifestamente contrari all’ordine pubblico, non essendosi ancora formato un consolidato orientamento interpretativo, contrario all’ammissibilità della rappresentanza volontaria in materia di convenzioni matrimoniali.

    La Corte territoriale, inoltre, aveva respinto anche il reclamo incidentale, formulato dal Ministero della giustizia e dall’Archivio notarile distrettuale di Cuneo, confermando la decisione circa l’assorbimento della seconda contestazione, sul rilievo che i vincoli di forma imposti dall’art. 48 della legge notarile non potevano valere per i negozi nulli.

    Avverso tale sentenza (non notificata), il notaio V.T. aveva proposto ricorso per cassazione. Il Ministero della giustizia, intimato, si era costituito in giudizio, con controricorso.

    Tanto premesso, la Corte di legittimità ha esaminato due questioni: la prima attinente all’individuazione del rito applicabile ai ricorsi proposti dinanzi alla Corte di cassazione in materia disciplinare notarile; la seconda relativa all’eccezione di intempestività del ricorso, avanzata dal Ministero della giustizia sul presupposto che, nella specie, dovesse trovare applicazione il termine semestrale di decadenza dall’impugnazione attualmente previsto dall’art. 327, primo comma, del codice di procedura civile, come novellato dall’art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), e non più il termine annuale.

    Circa la prima questione «(che investe direttamente la valutazione sulla legittimità del rito instaurato in questa sede e la conseguente legittimazione della II Sezione ordinaria ad esaminare i motivi del ricorso)», il Collegio rimettente, con articolata motivazione non implausibile, ha ritenuto che il procedimento a quo «sia stato ritualmente incardinato presso questa Sezione per la conseguente trattazione camerale e la correlata decisione».

    Quanto alla seconda questione, il rimettente, con motivazione ancora una volta non implausibile, ha ritenuto infondata l’eccezione di intempestività del ricorso, «dal momento che, nella fattispecie, il comma 2 del citato art. 158-ter della legge n. 89 del 1913 (come introdotto dall’art. 46 del d.lgs. n. 249 del 2006), applicabile appunto “ratione temporis”, prevede che, in difetto della notificazione della sentenza impugnata, il ricorso per cassazione deve essere proposto nel termine di un anno dal deposito della predetta sentenza, con ciò contemplando una disciplina “ad hoc” per la materia dei procedimenti disciplinari notarili, la cui specialità, perciò, non può ritenersi (anche in difetto della previsione di specifiche disposizioni contrarie) derogata dalla sopravvenuta previsione del novellato art. 327, comma 1, c. p. c., applicabile, invece, in generale, ove non diversamente disposto».

    Superate così le questioni preliminari, la Corte ha osservato che il ricorrente, al fine di potersi giovare della prescrizione dell’infrazione ascrittagli, ha chiesto, con il primo motivo, di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge n. 89 del 1913.

    La rimettente ha ricostruito sinteticamente il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, evidenziando, in particolare, quanto segue: a) l’art. 146, primo comma, della legge notarile n. 89 del 1913, «nella sua originaria formulazione, prevedeva, per le violazioni disciplinari in essa indicate, un termine prescrizionale di quattro anni, senza contemplare alcuna ipotesi di interruzione né di sospensione della prescrizione, neppure per l’eventualità in cui l’infrazione avesse rilievo penale»; b) secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenze 15 gennaio 2007, n. 644; 28 marzo 2006, n. 7088; 17 dicembre 2004, n. 23515 e 17 febbraio 1998, n. 1766), detta prescrizione doveva considerarsi compiuta decorsi quattro anni dalla commissione dell’infrazione, «ancorché vi fossero stati atti di procedura»; c) nessuna interruzione, quindi, poteva ipotizzarsi «a causa del procedimento disciplinare, della contestazione delle violazioni, delle pronunce del Consiglio notarile o in sede giurisdizionale»; d) la Corte costituzionale, con sentenza n. 40 del 1990, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 146 della legge n. 89 del 1913 «nella parte in cui non prevede che l’azione disciplinare rimanga sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza quando, per il fatto illecito, sia promosso processo penale»; e) secondo la giurisprudenza di legittimità il decorso del termine prescrizionale costituisce causa di improcedibilità dell’azione disciplinare, operante ex lege, da rilevarsi anche d’ufficio e in sede di legittimità, con conseguente cassazione senza rinvio delle sentenze impugnate e, per altro verso, la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 249 del 2006, in virtù dell’art. 54 dello stesso decreto legislativo, è applicabile ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore solo se più favorevole (Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenza 15 gennaio 2007, n. 644 e ordinanza 29 gennaio 2010, n. 2031).

    La Corte rimettente ha quindi posto in evidenza che l’art. 7, comma 1, lettera e), della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), indica, tra i principi e i criteri di delega, la «previsione della sospensione della prescrizione in caso di procedimento penale e revisione dell’istituto della recidiva», mentre l’art. 146 della legge n. 89 del 1913, come sostituito dall’art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006, composto da quattro commi, contempla, al primo comma, «l’allungamento del termine di prescrizione da quattro a cinque anni» e al secondo comma «prevede una disciplina del tutto nuova in tema di interruzione della prescrizione, risultando stabilito che essa è, per l’appunto, interrotta dalla richiesta di apertura del procedimento disciplinare e dalle decisioni che applicano una sanzione disciplinare, aggiungendosi, altresì, che la prescrizione, se interrotta, ricomincia a...

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