Sentenza nº 216 da Constitutional Court (Italy), 18 Luglio 2014

RelatoreSergio Mattarella
Data di Resoluzione18 Luglio 2014
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 216

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Sabino CASSESE Presidente

- Giuseppe TESAURO Giudice

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, nel procedimento vertente tra T.M. e l’ASP – Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria ed altri, con ordinanza dell’8 maggio 2012, iscritta al n. 180 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti gli atti di costituzione di T.M. e della Federfarma – Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani, nonché gli atti di intervento della LI.F.I., Liberi farmacisti italiani e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 giugno 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella;

uditi gli avvocati Attilio Luigi Maria Toscano per T.M., Massimo Luciani per la Federfarma – Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani e l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — Nel corso di un giudizio amministrativo promosso da una farmacista per l’annullamento di un provvedimento emesso dall’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria relativo all’autorizzazione alla vendita di medicinali, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza dell’8 maggio 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, «nella parte in cui non consente agli esercizi commerciali ivi previsti (c.d. parafarmacie) la vendita di medicinali di fascia C soggetti a prescrizione medica».

    1.1.— Il giudice remittente precisa, in punto di fatto, che la ricorrente ha chiesto al Ministero della salute ed all’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria di essere autorizzata alla vendita anche dei medicinali non soggetti a rimborso previsti dall’art. 8, comma 10, lettera c), della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ma che la richiesta è stata respinta sul rilievo che le cosiddette parafarmacie possono effettuare soltanto la vendita di farmaci da banco o di automedicazione di cui all’art. 9-bis del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 16 novembre 2001, n. 405; con esclusione, quindi, di tutti i farmaci soggetti ad obbligo di prescrizione medica, anche se non soggetti a rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale.

    1.2.— Tanto premesso, il giudice a quo osserva che non è possibile procedere – come pure sollecitato dalla parte ricorrente – ad un’interpretazione adeguatrice della norma impugnata, poiché il testo della medesima dispone che le parafarmacie nell’attuale quadro normativo non sono abilitate alla vendita dei farmaci della cosiddetta fascia C.

    Sempre in via preliminare, il TAR rileva di non potere aderire alla richiesta della ricorrente di rimettere la questione, in via pregiudiziale, alla Corte di giustizia dell’Unione europea, benché su identica questione il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia abbia già rimesso la decisione a detta Corte, con ordinanza del 22 marzo 2012, n. 896.

    1.3.— In punto di rilevanza il TAR – dopo aver accennato al fatto che la legislazione in materia di farmacie è costruita, da sempre, intorno ad un obiettivo di pianificazione territoriale delle medesime – precisa che il citato art. 8, comma 10, della legge n. 537 del 1993 ha diviso i farmaci in tre fasce, a seconda che essi siano a totale carico del servizio sanitario nazionale o, viceversa, a totale carico dell’assistito. L’art. 87 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 [Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE], invece, classifica i farmaci a seconda che gli stessi siano soggetti o meno all’obbligo di ricetta medica, stabilendo che nella categoria dei farmaci non soggetti a tale prescrizione rientrino i medicinali da banco o di automedicazione, che sono quelli ai quali fa riferimento l’art. 9-bis del d.l. n. 347 del 2001, ossia gli unici che possono essere venduti anche nelle parafarmacie. E che tale sia il senso univoco del sistema vigente è confermato anche dall’art. 32 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento del conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, il quale – nel consentire che nelle parafarmacie vengano venduti senza ricetta i medicinali di cui all’art. 8, comma 10, della legge n. 537 del 1993 – espressamente affida (comma 1-bis) al Ministro della salute il compito di redigere periodicamente un elenco dei farmaci di fascia C per i quali permane l’obbligo di ricetta medica, sicché gli stessi non possono essere venduti nelle parafarmacie.

    Ritiene, pertanto, il TAR che, poiché è indubbia la permanenza del divieto di vendita dei farmaci soggetti a prescrizione medica da parte delle parafarmacie, tanto dia conto della rilevanza dell’odierna questione, in quanto solo attraverso la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006 si potrebbe accogliere il ricorso oggetto del giudizio principale, che allo stato attuale della normativa dovrebbe essere respinto.

    1.4.— Il TAR per la Calabria procede, a questo punto, alla valutazione della non manifesta infondatezza della prospettata questione.

    A tale proposito, il remittente rileva che la violazione degli artt. 3 e 41 Cost. emerge sulla base dei due elementi che caratterizzano i farmaci in questione: il fatto che essi siano a totale carico del cittadino ed il fatto che per il loro acquisto sia necessaria la prescrizione del medico. Ed infatti, anche la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato che l’attività del farmacista è un’attività imprenditoriale (sentenza n. 87 del 2006), finalizzata però all’erogazione ai cittadini di un servizio di fondamentale importanza. Ora, che nelle parafarmacie sia consentita solo la vendita dei farmaci a totale carico del cittadino si giustifica in nome della necessità di tenere sotto controllo la spesa pubblica destinata all’assistenza farmaceutica; ma l’art. 5, comma 1, oggetto di censura non si limita ad escludere dalla possibilità di vendita nelle parafarmacie i soli farmaci che sono a carico integrale del Servizio sanitario nazionale, bensì estende tale divieto anche ai farmaci per i quali, pur essendo necessaria la prescrizione medica, l’onere economico è a totale carico del cittadino.

    Tale limitazione appare in contrasto con l’art. 41 Cost., perché in un sistema affidato al principio della libertà dell’iniziativa economica, i limiti che ad essa possono essere posti debbono essere in funzione di tutela dell’utilità sociale, della libertà, sicurezza e dignità umana; in altri termini, i limiti all’iniziativa economica devono essere armonizzati in modo da consentire di raggiungere fini sociali e di benessere collettivo, come la Corte costituzionale ha ribadito in numerose occasioni. Nel caso specifico, invece, la limitazione della libera vendita da parte delle parafarmacie non trova un ragionevole fondamento sotto il profilo della tutela della salute; nel sistema attuale, infatti, i farmaci di cui all’art. 87, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 219 del 2006 possono essere venduti nelle farmacie tradizionali solo dietro presentazione di ricetta medica, sicché il controllo sull’idoneità del farmaco allo scopo terapeutico è affidato “a monte” al medico che lo prescrive, con conseguente esonero del farmacista da ogni responsabilità che non sia quella di consegnare il farmaco prescritto nella ricetta. Nelle parafarmacie, l’art. 5, comma 2, del d.l. n. 223 del 2006 prescrive che la vendita dei medicinali ammessi alla libera distribuzione abbia luogo sotto la direzione di un farmacista abilitato all’esercizio della professione ed iscritto all’albo; è vero che i farmaci somministrabili senza prescrizione possono apportare danni ben minori alla salute, ma è pur vero che si tratta, comunque, di medicine; sicché – ad avviso del giudice a quo – pare del tutto illogico che la legge consenta la vendita nelle parafarmacie dei farmaci che non richiedono prescrizione del medico – con evidente maggiore responsabilità in...

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