Sentenza nº 199 da Constitutional Court (Italy), 16 Luglio 2014

RelatoreSergio Mattarella
Data di Resoluzione16 Luglio 2014
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 199

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Sabino CASSESE Presidente

- Giuseppe TESAURO Giudice

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, 8, comma 2, 13 e 18 della legge della Regione autonoma Sardegna 17 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali e settori diversi), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 18-20 febbraio 2013, depositato in cancelleria il 25 febbraio 2013 ed iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2013.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 10 giugno 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella;

uditi l’avvocato dello Sato Cristina Gerardis per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso spedito per la notifica il 18 febbraio 2013, ricevuto dalla resistente il successivo 20 febbraio e depositato nella cancelleria di questa Corte il 25 febbraio 2013 (reg. ric. n. 25 del 2013), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 97, 117, primo comma, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, e 3 e 4, lettere a) ed e), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché per contrasto con gli artt. 10 e 16 del decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 106 (Riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della salute, a norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183), con gli artt. da 20 a 28, nonché con gli Allegati III, lettere b), s) ed u), e IV, punti 2, lettera b), 7, lettera o), 8, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, ed 8, comma 2, 13 e 18 della legge Regione autonoma Sardegna 17 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali e settori diversi).

    Osserva preliminarmente l’Avvocatura dello Stato che, con le disposizioni di legge regionale impugnate, la Regione autonoma Sardegna interviene in una serie di settori nei quali è stata riscontrata la necessità di adottare disposizioni urgenti.

    1.1.– Deduce, in particolare, il ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri che l’art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, disponendo che gli enti locali affidano lo svolgimento dei servizi di interesse generale non soltanto a società «a totale partecipazione pubblica», ma anche a società «a partecipazione mista pubblica privata», si porrebbe in contrasto con il diritto dell’Unione europea, violando in tal modo l’art. 117, primo comma, della Costituzione.

    Il testo della disposizione impugnata è il seguente: «1. Gli enti locali affidano lo svolgimento dei servizi di interesse generale, ad eccezione del servizio di distribuzione di energia elettrica, del servizio di distribuzione di gas naturale e dei servizi aperti ad una effettiva concorrenza nel mercato, dei servizi strumentali connessi alla loro attività o all’esercizio delle funzioni amministrative e fondamentali ad essi conferite ai sensi degli articoli 117, comma 2, lettera p), e 118 della Costituzione, nonché di ogni altra attività d’interesse pubblico regionale e locale, mediante procedure di evidenza pubblica o, in alternativa, ad organismi a partecipazione mista pubblica privata o a totale partecipazione pubblica, nel rispetto della normativa comunitaria».

    Osserva anzitutto la difesa dello Stato che la sentenza n. 199 del 2012 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, recante disposizioni per l’«Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea». Quest’ultimo, limitando le ipotesi di affidamento in house dei servizi pubblici locali senza gara al di sotto di 900.000 euro alle società a capitale interamente pubblico, reintroduceva la disciplina contenuta nell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, che era stato abrogato dal referendum del 12-13 giugno 2011, riproducendone i medesimi principi ispiratori e le medesime modalità di applicazione, lesivi delle competenze regionali in tema di servizi pubblici locali e di organizzazione degli enti locali. Da ciò seguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento nazionale della normativa europea sulle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica, ricompresi nei «servizi di interesse generale», allo svolgimento dei quali si riferisce la disposizione censurata.

    L’Avvocatura dello Stato richiama i principi di diritto affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che consentono l’affidamento diretto di un servizio, senza gara ad evidenza pubblica volta all’attuazione dei principi di libera concorrenza, in favore delle società in house soltanto a determinate condizioni: a) il capitale sociale sia interamente pubblico; b) l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale pubblico esercitino un controllo sulle richiamate società analogo a quello esercitato sui propri servizi; c) dette società realizzino la parte più importante della loro attività con l’ente o gli enti pubblici che le controllano. Secondo la giurisprudenza comunitaria più recente, ad avviso del ricorrente il requisito della «totale partecipazione pubblica» non sarebbe quindi soddisfatto nel caso di una società al cui capitale partecipino soci privati; sarebbe invece ammesso l’affidamento diretto soltanto qualora non vi sia il coinvolgimento degli operatori economici nell’esercizio del servizio; diversamente, dovrebbero trovare applicazione le regole della concorrenza previste dal diritto dell’Unione europea e da quello interno da esso derivato.

    Al riguardo, è richiamata la sentenza 11 gennaio 2005, in causa C-26/03, Stadt Halle ed altri contro RPL Lochau, della Corte di giustizia dell’Unione europea, con la quale è stato affermato che la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipa anche l’amministrazione aggiudicatrice, esclude, in ogni caso, che quest’ultima possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.

    La difesa dello Stato richiama altresì l’interpretazione dei menzionati principi del diritto dell’Unione europea avvalorata, per quanto in maniera meno rigorosa, dal Consiglio di Stato, secondo il quale l’affidamento diretto può ritenersi legittimo alle seguenti condizioni: a) esista un’apposita norma che consenta il ricorso alla società mista; b) con la gara indetta per la scelta del socio privato sia realizzato anche l’affidamento dell’attività operativa della società al privato (cosiddetta gara “a doppio oggetto”); c) siano adeguatamente delimitate le finalità della società mista cui affidare il servizio senza gara; d) siano motivate, in modo approfondito, le ragioni di questa scelta organizzativa; e) sia stabilito un limite temporale ragionevole alla durata del rapporto sociale, al quale si accompagni la previsione espressa della «scadenza del periodo di affidamento», evitando, in tal modo, che il socio divenga socio stabile della società mista, prevedendo che dagli atti di gara siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso, nel caso in cui all’esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario.

    Da ciò seguirebbe che, configurandosi l’affidamento diretto sempre come eccezione di stretta interpretazione al sistema delle gare, l’art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, nella parte in cui esclude il ricorso a procedure competitive di evidenza pubblica per l’affidamento di servizi di interesse generale non solo «a società a totale partecipazione pubblica» ma anche a «società a partecipazione mista pubblica privata» si porrebbe in contrasto con il diritto dell’Unione europea che prescrive, nel caso di specie, una selezione con gara “a doppio oggetto” del socio privato.

    1.2.– Con un secondo motivo di ricorso, il ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 che inserisce il comma 7-bis all’art. 6 della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale).

    Il testo della disposizione impugnata è il seguente: «Dopo il comma 7 dell’articolo 6 della legge regionale n. 3 del 2009 è introdotto il seguente: “7-bis. La realizzazione di nuovi impianti eolici o di ampliamenti di impianti esistenti è consentita, oltre la fascia dei 300 metri, anche negli ambiti di paesaggio costieri, purché non ricadenti in beni paesaggistici e ricompresi:

    allinterno degli agglomerati industriali gestiti dai consorzi industriali provinciali di cui alla tabella A, e delle aree industriali e ZIIR di cui alla tabella B della legge regionale 25 luglio 2008, n. 10 (Riordino delle funzioni in materia di aree industriali), e successive modifiche ed integrazioni, nonché allinterno delle aree circoscritte da una fascia di pertinenza pari a 4 km dal...

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