Sentenza nº 208 da Constitutional Court (Italy), 16 Luglio 2014

RelatoreAldo Carosi
Data di Resoluzione16 Luglio 2014
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 208

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Sabino CASSESE Presidente

- Giuseppe TESAURO Giudice

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso dalla Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, nel procedimento vertente tra Pisani Giovanni, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), quale successore ex lege dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), ed altri, con ordinanza del 13 febbraio 2012, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 giugno 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Filippo Mangiapane per l’INPS e l’avvocato dello Stato Luca Ventrella per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 13 febbraio 2012 depositata il 20 aprile 2012, la Corte dei conti, terza sezione centrale d’appello, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente la revoca o la modifica del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento pensionistico anche nel caso di errore di diritto.

    1.1.– Il rimettente riferisce che l’appellante nel giudizio principale, dirigente superiore della Polizia di Stato collocato a riposo a far data dal 1° luglio 1995, aveva impugnato il decreto del Ministero dell’interno - Prefettura di Gorizia del 27 maggio 1999, n. 1274, registrato dalla Corte dei conti in data 22 febbraio 2001, con il quale era stato rideterminato, in senso peggiorativo, il trattamento pensionistico già attribuitogli in via definitiva con precedente decreto del 4 febbraio 1998, n. 1266, registrato dalla Corte dei conti il 3 agosto 1998. Sostenendo che il secondo decreto si fondava su una diversa interpretazione dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 29 giugno 1996, n. 341 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico di ufficiali delle Forze armate e di polizia) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 agosto 1996, n. 427 – di cui non contestava la correttezza, aveva chiesto che fosse dichiarata l’irripetibilità delle somme percepite in eccesso rispetto alla liquidazione operata dal secondo decreto e l’annullamento dello stesso, atteso che l’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 ammetterebbe la revoca o la modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza solo nei casi ivi previsti, tra cui non è annoverato l’errore di diritto. La sentenza impugnata aveva riconosciuto l’irripetibilità di quanto indebitamente percepito, ritenendo, tuttavia, legittimo il secondo decreto in virtù del generale potere della pubblica amministrazione di annullare d’ufficio i propri atti. In sede di impugnazione, nel ribadire la richiesta di annullamento l’appellante aveva lamentato l’erronea interpretazione dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973, in quanto inapplicabile al caso di errore di diritto, ed escluso che il decreto pensionistico n. 1274 del 1999 potesse essere qualificato come atto di annullamento d’ufficio. Si era costituito in giudizio l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), non contestando che nella fattispecie si trattasse di errore di diritto, ma sostenendo il legittimo esercizio del generale potere di annullamento d’ufficio spettante all’amministrazione.

    1.2.– Il rimettente sostiene che, come peraltro non contestato dalle parti, la rideterminazione del trattamento pensionistico sia dipesa da un precedente errore interpretativo dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 341 del 1996.

    A suo avviso la disciplina dettata dagli artt. 203 e seguenti del d.P.R. n. 1092 del 1973 risponderebbe all’esigenza di trovare un punto di equilibrio tra la necessità, riconducibile ai principi espressi dall’art. 97 Cost., di porre rimedio all’attribuzione di un trattamento di quiescenza superiore a quello dovuto e quella di tutelare il pensionato, che destina le prestazioni pensionistiche, anche se parzialmente indebite, al soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia.

    Tale disciplina, tuttavia, sarebbe il frutto di un’evoluzione normativa che originariamente attribuiva alla Corte dei conti la funzione «paragiurisdizionale» di liquidare il trattamento pensionistico – sulla base delle conclusioni del Procuratore generale e ad opera di una pronuncia collegiale in camera di consiglio – e, quindi, giustificava una disciplina della revocazione che escludesse l’errore di diritto. Tale esclusione, viceversa, rappresenterebbe una grave lacuna dal momento in cui la liquidazione del trattamento pensionistico è stata sottratta all’organo giurisdizionale ed attribuita all’amministrazione, il cui provvedimento ha continuato ad essere modificabile o revocabile solo in casi tassativamente indicati, tra cui non rientrerebbe l’errore di diritto.

    Peraltro, il rimettente evidenzia che – al di fuori del caso in cui il provvedimento di liquidazione sia modificato in ragione dell’illegittimità rilevata dalla Corte dei conti nell’esercizio del controllo successivo – la giurisprudenza delle sezioni d’appello della Corte dei conti sarebbe univoca nell’escludere che il generale regime di annullamento d’ufficio degli atti amministrativi illegittimi sia applicabile a quello definitivo di liquidazione del trattamento di quiescenza – in ciò corroborata da una pronuncia della medesima Corte a sezioni riunite in funzione nomofilattica – in ragione del principio di prevalenza dell’interesse alla stabilità e certezza del rapporto pensionistico.

    In simile contesto – nonostante sia consapevole del precedente rappresentato dalla sentenza di questa Corte n. 91 del 1984, che ha dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale di analogo tenore – il giudice a quo ritiene di sollevarla nuovamente.

    Preliminarmente, il rimettente sostiene di non poter dar luogo ad un’interpretazione dell’art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973 che elida i profili di illegittimità di cui lo stesso sarebbe affetto. Ciò, in particolare, potrebbe avvenire escludendo la tassatività dell’elencazione contenuta nella disposizione censurata. Essa, tuttavia, risulterebbe alla stregua...

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