Sentenza nº 153 da Constitutional Court (Italy), 04 Giugno 2014

RelatoreSergio Mattarella
Data di Resoluzione04 Giugno 2014
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 153

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gaetano SILVESTRI Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), promosso dal Tribunale di Brescia, nel procedimento vertente tra F.D. ed altra e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione provinciale del lavoro di Brescia, con ordinanza del 21 marzo 2012, iscritta al n. 170 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione di Airest s.p.a. (già Airest s.r.l.), nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella;

uditi l’avvocato Andrea Bortoluzzi per l’Airest s.p.a. (già Airest s.r.l.) e l’avvocato dello Stato Filippo Bucalo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — Nel corso di un giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro per l’irrogazione di sanzioni amministrative in materia di lavoro, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 21 marzo 2012 ha sollevato, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro).

    1.1.— Il giudice remittente precisa, in punto di fatto, che l’ordinanza ingiunzione oggetto di opposizione è stata emessa per le seguenti violazioni: art. 4, commi 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 66 del 2003, per superamento della durata massima dell’orario di lavoro settimanale; art. 5, comma 3, del medesimo decreto, per svolgimento di lavoro straordinario oltre il limite di 250 ore annuali; art. 7, comma 1, del medesimo decreto, per mancata fruizione del riposo giornaliero di undici ore ogni ventiquattro nel periodo dal 1° ottobre 2007 al 26 aprile 2008; art. 9, comma 1, del medesimo decreto, per mancata concessione del riposo settimanale di almeno ventiquattro ore nel medesimo periodo appena riportato.

    Rileva poi il Tribunale che la parte privata ricorrente ha eccepito l’illegittimità costituzionale del regime sanzionatorio applicabile nella specie, e che l’accoglimento della questione determinerebbe l’applicazione di un regime «diverso e migliore», in base alla normativa in precedenza vigente.

    In particolare, per le violazioni degli artt. 7 e 9 del d.lgs. n. 66 del 2003, se si applicasse nella specie l’art. 9 del regio decreto-legge 15 marzo 1923, n. 692 (Limitazione dell’orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 1925, n. 473 la sanzione sarebbe compresa tra 25 e 154 euro ovvero, qualora si tratti di più di cinque lavoratori, tra i 154 e i 1.032 euro; la disciplina introdotta nel 2003, invece, individua limiti compresi tra euro 104 ed euro 630 per ciascun lavoratore e non più per singola violazione, mentre la violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 66 del 2003 prevede una sanzione oscillante tra 130 e 780 euro per ogni lavoratore e per ciascun periodo.

    1.2.— Tanto premesso, il giudice a quo osserva che il d.lgs. n. 66 del 2003 è stato emanato sulla base della delega contenuta nella legge 1° marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001), la quale prevedeva, fra l’altro, nel suo art. 2, comma 1, lettera c), il criterio direttivo per cui le sanzioni amministrative dovevano essere regolate secondo la previsione per cui in ogni caso «saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi». Sulla base di simile previsione, il remittente pone a confronto le regole previste in materia di orario di lavoro nella disciplina previgente e quelle contenute nel d.lgs. n. 66 del 2003, allo scopo di verificare se si possa parlare di violazioni «omogenee e di pari offensività», pervenendo alla conclusione affermativa.

    Ed infatti, la regolazione dell’orario di lavoro di cui all’art. 4 del decreto n. 66 del 2003 trova un’evidente rispondenza alle previsioni di cui agli artt. 1 e 5 del r.d.l. n. 692 del 1923 (orario di lavoro massimo di otto ore, pari a quarantotto ore settimanali, con non più di due ore al giorno di straordinario); queste ultime norme prevedevano un regime dell’orario di lavoro la cui violazione implicava l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923. Allo stesso modo, l’art. 4 del decreto n. 66 del 2003 «non si differenzia dalla disciplina previgente se non limitatamente al computo complessivo inderogabile settimanale», per cui la violazione del medesimo dovrebbe comportare l’applicazione della sanzione di cui al menzionato art. 9 del r.d.l. menzionato.

    Considerazioni analoghe possono essere svolte – secondo il Tribunale – a proposito della disciplina sul riposo giornaliero di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 66 del 2003, nonché per quella del riposo settimanale di cui all’art. 9 del medesimo decreto. Rimanendo ferma, rispetto alla regolazione precedente, la regola del riposo settimanale di ventiquattro ore, si aggiungono modeste differenze rispetto alla disciplina contenuta nella legge 22 febbraio 1934, n. 370 (Riposo domenicale e settimanale).

    La conclusione cui perviene il Tribunale di Brescia è nel senso che, pure in assenza di una «perfetta identità» tra le fattispecie di cui al decreto n. 66 del 2003 e quelle di cui alle leggi previgenti sopra richiamate, «sotto il profilo della omogeneità si tratta di discipline regolanti entrambe il rispetto di minimi irrinunciabili nel rapporto tra tempo lavorativo e riposo». Analogamente, sotto il profilo delle sanzioni, la disciplina vigente e quella pregressa sono animate dal medesimo fine, che è quello di «salvaguardare le condizioni del singolo lavoratore, senza che possa farsi derivare una diversa conclusione in relazione al differenziato regime della disciplina previgente nel caso di violazioni relative ad un numero di lavoratori superiori ai cinque». Sicché, secondo il Tribunale, l’unicità della materia e la semplice differenziata modulazione dei sistemi di conteggio dei limiti massimi consentono di ritenere che la nuova disciplina sia omogenea rispetto alla precedente.

    Ciò comporta la necessità della rimessione alla Corte costituzionale, attesa la violazione dell’art. 76 della Costituzione.

  2. — Nel giudizio si è costituita la parte privata Airest s.p.a., ricorrente avverso l’ordinanza...

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