Sentenza nº 120 da Constitutional Court (Italy), 09 Maggio 2014

RelatoreGiuliano Amato
Data di Resoluzione09 Maggio 2014
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 120

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gaetano SILVESTRI Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12 del regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971, promosso dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nel procedimento vertente tra P.L. e il Senato della Repubblica, con ordinanza del 6 maggio 2013, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti gli atti di costituzione di P.L. e del Senato della Repubblica, nonché gli atti di intervento della Camera dei deputati e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2014 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Aldo Sandulli per P.L., Gaetano Pelella per la Camera dei deputati e l’avvocato dello Stato Federico Basilica per il Senato della Repubblica e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. − Con ordinanza del 6 maggio 2013, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno sollevato d’ufficio, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, secondo comma, 111, primo, secondo e settimo comma, e 113, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del regolamento del Senato della Repubblica approvato il 17 febbraio 1971, e successive modifiche, nella parte in cui attribuisce al Senato il potere di giudicare in via esclusiva e definitiva i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti adottati dall’amministrazione di quel ramo del Parlamento nei confronti dei propri dipendenti.

    La Corte riferisce di essere chiamata a decidere in ordine al ricorso proposto, ai sensi dell’art. 111 Cost., da un dipendente del Senato avverso la decisione resa, in grado di appello, dal Consiglio di garanzia del Senato, nell’ambito di un giudizio di ottemperanza relativo ad una causa di lavoro.

    1.1.− Osserva la Corte che il citato art. 12 del regolamento del Senato stabilisce che il Consiglio di Presidenza, presieduto dal Presidente del Senato, «[…] approva i Regolamenti interni dell’Amministrazione del Senato e adotta i provvedimenti relativi al personale stesso nei casi ivi previsti». Tale norma è stata sempre interpretata nel senso dell’attribuzione al Senato dell’autodichia, con conseguente esclusione del sindacato di qualsiasi giudice esterno in ordine alle controversie che attengono allo stato ed alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti. Da ciò conseguirebbe l’inammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost. spiegato dal ricorrente nel giudizio a quo.

    1.2.− Le sezioni unite si dichiarano pienamente consapevoli dei principi enunciati dalla Corte costituzionale con la risalente sentenza n. 154 del 1985, cui hanno fatto seguito le ordinanze di manifesta inammissibilità n. 444 e n. 445 del 1993; con la sentenza sopra indicata, la Corte ha dichiarato la medesima questione inammissibile alla stregua del tenore letterale dell’art. 134 Cost., che fa riferimento − come oggetto del giudizio della Corte − alle leggi ed agli atti aventi forza di legge, e non indica i regolamenti parlamentari. Rammentano le sezioni unite che, all’epoca, la Corte costituzionale ritenne che i regolamenti parlamentari avrebbero potuto essere ricompresi nel disposto dell’art. 134 Cost. soltanto in via interpretativa e che siffatta interpretazione non era coerente, ed appariva anzi in contrasto, con la natura di democrazia parlamentare propria del nostro ordinamento.

    Nell’auspicare la riconsiderazione di tali conclusioni, le sezioni unite richiamano le motivazioni della relativa ordinanza di rimessione dell’11 luglio 1977, laddove si affermava la possibilità di assoggettare a sindacato di legittimità costituzionale i regolamenti parlamentari, in quanto fonti (fonti-atto) di diritto oggettivo, assimilabili alle leggi formali, con le quali versano in rapporto di distribuzione (costituzionale) di competenza normativa a pari livello.

    1.3.− Nel rifarsi integralmente a tale prospettazione, le sezioni unite sottolineano la differenza tra l’esercizio delle funzioni legislative o politiche delle Camere, da un lato, e gli atti con cui le Camere provvedono alla propria organizzazione, dall’altro. Il Collegio riconosce la necessità di garantire alle stesse Camere una posizione di indipendenza affinché le stesse siano libere da vincoli esterni suscettibili di condizionarne l’azione; la Corte rimettente ritiene tuttavia che l’autodichia sui propri dipendenti non costituisca una prerogativa necessaria a garantire l’indipendenza del Parlamento e non sia affatto coessenziale alla natura costituzionale degli organi supremi; ed invero la Costituzione non tollera l’esclusione dalla tutela giurisdizionale di una categoria di cittadini e l’autonomia che spetta al Parlamento non comprende il potere di stabilire norme contrarie alla Costituzione.

    1.4.− In particolare, le sezioni unite osservano che l’autodichia del Senato si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto una categoria di cittadini viene esclusa dalla tutela giurisdizionale in ragione di un elemento (l’essere dipendenti del Senato) non significativo ai fini del trattamento differenziato. A ciò la Corte di cassazione riconduce anche la violazione dell’art. 24 Cost., secondo cui «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti […]» e che, al secondo comma, definisce la difesa «diritto inviolabile».

    1.5.− Le sezioni unite denunciano inoltre la violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., essendo gli stessi soggetti sottoposti ad un giudice speciale − quanto alle loro cause di lavoro − istituito dopo l’entrata in vigore della Costituzione.

    1.6.− Ad avviso della Corte rimettente sarebbe altresì ravvisabile la violazione dell’art. 111 Cost., recentemente novellato; in particolare il vulnus viene ravvisato con riferimento al principio del giusto processo (primo comma), non potendo definirsi «giusto» un processo che si svolge dinanzi ad una delle parti; alla necessità che il contraddittorio si svolga davanti ad un giudice terzo e imparziale (secondo comma), ciò che non si verificherebbe nell’autodichia; al fatto che contro le sentenze è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge (settimo comma).

    Proprio riguardo alla dedotta violazione dell’art. 111 Cost., la Corte di cassazione evidenzia che la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza 28 aprile 2009, Savino ed altri c. Italia, ha affermato che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, è «tribunale» non soltanto una giurisdizione di tipo...

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