Sentenza nº 81 da Constitutional Court (Italy), 08 Aprile 2014

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione08 Aprile 2014
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 81

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gaetano SILVESTRI Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 31 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), parzialmente trasfuso nell’art. 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trapani nel procedimento penale a carico di C.T. con ordinanza del 23 gennaio 2013, iscritta al n. 52 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2014 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 23 gennaio 2013, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trapani ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 42 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 31 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), parzialmente trasfuso nell’art. 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui prevede, per il reato di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali, la pena minima di due anni di reclusione e di euro 10.329 di multa, nonché la confisca obbligatoria del bene acquistato o del corrispettivo dell’alienazione.

    Il giudice a quo premette di essere investito, a seguito di richiesta di giudizio abbreviato, del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato di cui agli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982.

    Al riguardo, il rimettente riferisce che con decreto del 20 aprile 2006, divenuto definitivo il 13 marzo 2007, l’imputato era stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di quattro anni, in quanto indiziato di appartenenza ad una associazione di tipo mafioso.

    A seguito di accertamenti della Guardia di finanza, era emerso che il 28 dicembre 2007 – e, dunque, in data successiva a quella in cui il provvedimento era divenuto definitivo – l’imputato, a mezzo dell’institore nominato al fine di amministrare la sua impresa individuale, aveva venduto ad un privato, mediante atto pubblico rogato da un notaio, un fabbricato (di legittima provenienza) per il prezzo di euro 480.000.

    Né l’imputato né l’institore avevano peraltro effettuato, nei trenta giorni successivi e comunque entro il 31 gennaio dell’anno seguente, la prescritta comunicazione alla polizia tributaria della variazione patrimoniale determinata dalla compravendita. Di qui l’esercizio dell’azione penale per il reato dianzi indicato.

    Tanto premesso, il giudice a quo osserva come, tramite gli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982, sia stata introdotta una speciale forma di «monitoraggio» delle variazioni del patrimonio di persone da ritenere socialmente pericolose.

    L’art. 30 ha previsto, in particolare, che le persone condannate con sentenza definitiva per il delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis cod. pen.) o sottoposte con provvedimento definitivo a misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), in quanto indiziate di appartenenza ad una delle associazioni previste dall’art. 1 della medesima legge, debbano comunicare al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, per un periodo di dieci anni a partire dalla data del decreto di applicazione della misura o della sentenza definitiva di condanna, tutte le variazioni nell’entità e nella composizione del loro patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Per tale comunicazione è previsto sia un termine decorrente dal compimento del singolo atto di disposizione – trenta giorni – che un termine riferito al complesso degli atti dispositivi compiuti nell’anno solare, fissato nel 31 gennaio dell’anno successivo.

    L’art. 31 della medesima legge n. 646 del 1982 punisce la violazione dell’obbligo di comunicazione con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 10.329 ad euro 20.568, stabilendo, altresì, che alla condanna consegua la confisca obbligatoria dei beni a qualunque titolo acquistati o del corrispettivo proveniente dall’atto di alienazione.

    Il novero dei soggetti gravati dall’obbligo di comunicazione è stato successivamente ampliato dalla legge 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia), il cui art. 7, comma 1, lettera b), sostituendo il primo comma dell’art. 30 della legge n. 646 del 1982, vi ha aggiunto le persone condannate con sentenza definitiva per taluno dei delitti previsti dall’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale o per il reato di cui all’art. 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356. La medesima legge n. 136 del 2010, novellando l’art. 31 della legge n. 646 del 1982, ha inoltre previsto che, nel caso in cui risulti impossibile la confisca del bene acquistato o del corrispettivo di quello venduto, la confisca ha luogo “per equivalente”.

    Il quadro normativo è stato ulteriormente modificato dal d.lgs. n. 159 del 2011 (emanato in base alla delega conferita dalla stessa legge n. 136 del 2010), il quale ha scisso in due parti la fattispecie originariamente prevista dalle norme in questione. Le disposizioni, precettiva e sanzionatoria, contenute negli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982 sono state, infatti, trasfuse negli artt. 80 e 76, comma 7, del suddetto decreto legislativo, limitatamente ai soggetti sottoposti a misure di prevenzione. I predetti artt. 30 e 31 sono rimasti, di conseguenza, in vigore con riguardo ai soli soggetti condannati con sentenza definitiva.

    Nel caso di specie, risulterebbe applicabile l’art. 31 della legge n. 646 del 1982, essendo i fatti anteriori sia alla legge delega del 2010 che al decreto delegato del 2011. I dubbi di legittimità costituzionale originati da detta norma si trasferirebbero, peraltro, automaticamente sull’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011, che ne ha integralmente recepito il contenuto con riguardo ai sorvegliati speciali.

    Il giudice a quo dubita, in specie, della legittimità costituzionale del citato art. 31 nella parte in cui prevede, per la violazione dell’obbligo di comunicazione, una pena edittale minima di due anni di reclusione e di euro 10.329 di...

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