Sentenza nº 24 da Constitutional Court (Italy), 13 Febbraio 2014

RelatorePaolo Grossi
Data di Resoluzione13 Febbraio 2014
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 24

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gaetano SILVESTRI Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Sabino CASSESE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

- Giorgio LATTANZI "

- Aldo CAROSI "

- Marta CARTABIA "

- Sergio MATTARELLA "

- Mario Rosario MORELLI "

- Giancarlo CORAGGIO "

[ELG:PREMESSA]

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi per conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito della sentenza della Corte di cassazione, quinta sezione penale, del 19 settembre 2012, n. 46340, delle ordinanze della Corte d’appello di Milano, quarta sezione penale, del 28 gennaio 2013 e del 4 febbraio 2013 e della sentenza della Corte d’appello di Milano, quarta sezione penale, del 12 febbraio 2013, n. 985, promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 24 aprile ed il 24 ottobre 2013, depositati in cancelleria il 9 maggio e il 31 ottobre 2013 ed iscritti ai numeri 4 e 8 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2013, fase di merito.

Udito nell’udienza pubblica del 14 gennaio 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi gli avvocati dello Stato Massimo Giannuzzi e Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

[ELG:FATTO]

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso depositato, per la fase di ammissibilità, l’11 febbraio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione in riferimento alla sentenza n. 46340 del 19 settembre 2012, con la quale la quinta sezione penale della medesima Corte – in accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Milano e, parzialmente, dalle parti civili – ha annullato con rinvio la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Milano il 15 dicembre 2010, con la quale era stata confermata la declaratoria di improcedibilità della azione penale, ai sensi dell’art. 202 del codice di procedura penale, nei confronti di Pollari Nicolò, Di Troia Raffaele, Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e Di Gregori Luciano. La sentenza della Corte di cassazione viene censurata anche nella parte in cui – puntualizza il ricorso – aveva annullato «le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con cui la Corte d’appello di Milano aveva ritenuto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli allora indagati Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini nel corso degli interrogatori cui erano stati sottoposti nella fase delle indagini preliminari».

    Il ricorso viene proposto anche contro la Corte d’appello di Milano, quale giudice di rinvio, in riferimento, anzitutto, alla ordinanza emessa il 28 gennaio 2013, con la quale è stata accolta la richiesta di produzione dei verbali degli interrogatori resi dai predetti imputati, avanzata dalla locale Procura generale, in ossequio alla sentenza della Corte di cassazione di cui si è detto, ammettendo altresì la produzione, da parte della difesa dell’imputato Mancini, della nota dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) del 25 gennaio 2013, prot. n. 15631/2.24/GG.02, recante la comunicazione al predetto imputato del contenuto della nota del Dipartimento informazioni della sicurezza (DIS). In tale nota – sottolinea il ricorrente –, il DIS aveva rappresentato che il Presidente del Consiglio dei ministri aveva rilevato «la perdurante vigenza del segreto di Stato, così come apposto, opposto e confermato nel corso del procedimento penale avente ad oggetto il fatto storico del sequestro di Abu Omar dai Presidenti del Consiglio dei ministri pro tempore, su tutti gli aspetti attinenti a qualsiasi rapporto intercorso tra Servizi di intelligence nazionali e stranieri, ancorché in qualche modo collegati o collegabili con il fatto storico costituito dal sequestro in questione, nonché agli interna corporis, intesi quali modalità organizzative ed operative».

    Rievocate le articolate vicende che avevano contrassegnato l’iter del procedimento penale, il ricorrente osserva come tanto la sentenza della Corte di cassazione quanto l’ordinanza pronunciata dalla Corte d’appello di Milano, quale giudice di rinvio, il 28 gennaio 2013 (nella parte in cui ha ammesso la produzione degli atti di cui era stata disposta la restituzione al Procuratore generale da parte della stessa Corte con le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010) nonché l’ordinanza con cui, il 4 febbraio 2013, la medesima Corte territoriale ha omesso di procedere all’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati, a norma dell’art. 41 della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), risulterebbero «gravemente lesive delle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, quale autorità preposta all’apposizione, alla tutela ed alla conferma del segreto di Stato, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c) della legge n. 124/2007».

    Da qui il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto per violazione degli artt. 1, 5, 52, 94 e 95 della Costituzione e con riguardo agli artt. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (sostitutivo dell’art. 202 cod. proc. pen.) e 41 della richiamata legge n. 124 del 2007.

    In punto di ammissibilità, il ricorrente rievoca la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di legittimazione attiva del Presidente del Consiglio dei ministri, mentre, quanto alla legittimazione delle altre parti del conflitto – certamente competenti a manifestare in via definitiva la volontà del potere cui appartengono –, si sottolinea la funzione costituzionale della Corte di cassazione come organo di ultima istanza cui è deputato il controllo della legittimità delle sentenze e dei provvedimenti in materia di libertà personale, e la competenza della Corte d’appello ad adottare provvedimenti istruttori destinati a diventare definitivi.

    Quanto alla ammissibilità del ricorso sotto il profilo oggettivo, si rivendica il ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri in tema di sicurezza dello Stato – nella specie concretizzatosi nella apposizione del segreto di Stato e nella conferma di esso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e la Central intelligence agency (CIA) nonché agli interna corporis del Servizio, anche in ordine al fatto storico del sequestro di Nasr Osama Mustafà, alias Abu Omar – che nella specie sarebbe stato leso dai provvedimenti giurisdizionali oggetto di censura.

    Nel merito, si osserva come, a far tempo dalla sentenza n. 86 del 1977, la Corte costituzionale, nell’evidenziare il livello supremo dei valori tutelabili con il presidio del segreto di Stato, ha individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri il titolare del potere, di natura squisitamente politica, di segretazione: la strumentalità di tale potere alla salvaguardia dei valori supremi per la salus rei publicae giustifica, poi, la «non segretabilità dei fatti eversivi dell’ordine costituzionale». Di ciò è espressione la legge n. 124 del 2007 che, all’art. 1, attribuisce appunto al Presidente del Consiglio dei ministri la responsabilità generale della politica della informazione per la sicurezza ed il compito di apporre e tutelare il segreto di Stato e di confermarne la opposizione. Il ricorrente puntualizza, poi, il contenuto degli artt. 39, 40 e 41 della stessa legge, segnalandone i profili di rilevanza agli effetti dell’oggetto del ricorso.

    Ebbene, alla luce del richiamato quadro normativo, la Corte di cassazione, mentre afferma correttamente – secondo quanto precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 106 del 2009 – che il segreto di Stato è stato apposto su documenti e notizie riguardanti i rapporti tra Servizi italiani e stranieri e sugli interna corporis, anche se relativi alla vicenda delle renditions e del sequestro di Abu Omar, erra nel ritenere che il segreto sia limitato ai rapporti tra Servizi che si siano estrinsecati nella realizzazione di operazioni comuni, dal momento che una simile conclusione non può fondarsi sulla circostanza – risultante da una nota dell’11 novembre 2005 – della assoluta estraneità del Governo italiano e del Servizio al sequestro di Abu Omar. Sarebbe dunque arbitrario circoscrivere il segreto alle sole operazioni cogestite dai Servizi e legittimamente approvate dai vertici dei Servizi italiani, con conseguente lesione della sfera delle attribuzioni spettanti in materia al Presidente del Consiglio dei ministri, in particolare per ciò che attiene alla determinazione in concreto dell’ambito di operatività del segreto di Stato.

    Risulterebbe a sua volta lesivo di tali prerogative, ancorché sotto altro profilo, anche l’annullamento delle statuizioni con cui la Corte d’appello di Milano aveva dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale esercitata nei confronti degli imputati italiani che avevano opposto il segreto di Stato, nonché delle ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali la medesima Corte d’appello aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese, quali indagati, da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, malgrado il segreto di Stato da loro opposto fosse stato confermato; annullamento cui ha fatto seguito, da parte del giudice del rinvio, la pronuncia della ordinanza del 28 gennaio 2013, con la quale è stata ammessa la produzione di tali dichiarazioni. Ciò avrebbe determinato la arbitraria esclusione della operatività del segreto in ordine ai rapporti tra Servizio italiano e CIA e in merito alle direttive impartite dal direttore del SISMI circa il fatto storico del sequestro di Abu Omar, dal momento che era precluso per l’autorità giudiziaria utilizzare, anche indirettamente, le notizie coperte dal segreto. Non sarebbe corretta l’affermazione – contenuta nella richiamata...

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