Sentenza nº 314 da Constitutional Court (Italy), 17 Dicembre 2013

RelatorePaolo Grossi
Data di Resoluzione17 Dicembre 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 314

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gaetano SILVESTRI Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Sabino CASSESE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

- Giorgio LATTANZI "

- Aldo CAROSI "

- Marta CARTABIA "

- Sergio MATTARELLA "

- Mario Rosario MORELLI "

- Giancarlo CORAGGIO "

- Giuliano AMATO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35, promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, nel procedimento vertente tra Esposito Andrea Pietro e il Ministero della giustizia ed altro, con ordinanza del 22 marzo 2013, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto in fatto

  1. – Nel corso di un giudizio amministrativo – proposto da un magistrato ordinario, che ha impugnato la delibera del 7 febbraio 2013 (con cui il Consiglio superiore della magistratura ha pubblicato le sedi vacanti ai fini della procedura di trasferimento), chiedendone l’annullamento della lettera a), in cui è stabilito il termine del decorso di un triennio di servizio nel posto ricoperto quale requisito di legittimazione al trasferimento per tutti gli aspiranti senza distinzioni – il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sospeso l’atto impugnato, ma non esaurita la fase cautelare), con ordinanza emessa il 22 marzo 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35, che dispone che l’art. 194 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), «si interpreta nel senso che il rispetto del termine ivi previsto è richiesto per tutti i trasferimenti o conferimenti di funzioni, anche superiori o comunque diverse da quelle ricoperte, dei magistrati ordinari». Secondo il rimettente, il censurato art. 35 si pone in contrasto con gli artt. 3, 102 e 111, primo comma, della Costituzione, «nella parte in cui esso rende l’art. 194 del R.d. n. 12 del 1941 applicabile ai magistrati (tra cui il ricorrente) trasferiti d’ufficio a sede disagiata, ai sensi della legge n. 133 del 1998, prima dell’entrata in vigore della norma impugnata».

    Premette, in fatto, il Tar che il ricorrente ha prestato servizio in una tale sede per un periodo superiore a due anni alla data di deliberazione e pubblicazione del bando, e che ha perciò maturato il requisito della permanenza biennale nell’ufficio, in virtù di quanto previsto (ove la legge non stabilisca diversamente), dal paragrafo V, punto 20, della circolare del Consiglio superiore della magistratura, terza commissione, 8 giugno 2009, n. 12046; e ritiene che il bando impugnato (del 7 febbraio 2013), nello stabilire (alla lettera a) che «il termine di legittimazione per tutti gli aspiranti è quello triennale», escluda che il magistrato proveniente da sede disagiata possa sottrarsi a tale previsione. E che quindi – nonostante che, all’epoca della assegnazione a sede disagiata, al ricorrente si potesse opporre, per tale profilo, esclusivamente il limite di permanenza biennale discrezionalmente introdotto dal Consiglio per i trasferimenti d’ufficio, con la menzionata circolare n. 12046 del 2009 – l’art. 194 dell’ordinamento giudiziario, come autenticamente interpretato dalla norma censurata, impone oggi di affermare che il requisito di permanenza triennale ivi indicato trovi applicazione ogni qual volta il magistrato venga trasferito, e perciò anche a chi sia stato trasferito d’ufficio a seguito di consenso o disponibilità.

    Il rimettente precisa che il dubbio di costituzionalità non riguarda affatto la scelta “a regime” del legislatore di applicare anche al magistrato in sede disagiata il limite indicato dal citato art. 194, ma la investe per la sola parte in cui tale scelta pretende di applicarsi anche a chi fosse stato assegnato d’ufficio a tale sede prima dell’entrata in vigore della norma impugnata. Da ciò, la rilevanza della questione giacché, in applicazione della norma censurata, la domanda giudiziale proposta dal ricorrente dovrebbe essere rigettata, essendo egli soggetto all’art. 194 dell’ordinamento giudiziario; al contrario, la domanda dovrebbe essere accolta, qualora fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma medesima in parte qua.

    Quanto alla non manifesta infondatezza della questione – premesse ampie ed articolate argomentazioni circa la natura, caratteri ed effetti della normazione interpretativa, nonché circa la sua coerenza con l’impianto costituzionale – il rimettente rileva che, «quale che sia l’approccio più convincente sul piano teorico, […] in ogni caso la autoqualificazione in termini interpretativi della legge non è priva di conseguenze normative», essendo «noto, infatti, che un limite alla retroattività della legge è stato enucleato dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento alla tutela dell’affidamento che i consociati riponevano in un certo assetto normativo, quando il legislatore pretenda invece di alterarlo anche per il passato».

    Il rimettente denuncia quindi la norma interpretativa, innanzitutto, per violazione degli artt. 3, 102 e 111, primo comma, Cost. dubitando, «in termini generali, che il legislatore possa pretendere di dettare una norma per il passato, e nel contempo di escludere che essa sia retroattiva in senso proprio, in forza della natura interpretativa che le viene conferita (e ciò a prescindere dal fatto che l’intervento in oggetto sia davvero interpretativo, o...

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