Sentenza nº 224 da Constitutional Court (Italy), 19 Luglio 2013
Relatore | Luigi Mazzella |
Data di Resoluzione | 19 Luglio 2013 |
Emittente | Constitutional Court (Italy) |
SENTENZA N. 224
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI
- Sabino CASSESE
- Giuseppe TESAURO
- Paolo Maria NAPOLITANO
- Giuseppe FRIGO
- Alessandro CRISCUOLO
- Paolo GROSSI
- Giorgio LATTANZI
- Aldo CAROSI
- Marta CARTABIA
- Sergio MATTARELLA
- Mario Rosario MORELLI
- Giancarlo CORAGGIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dellart. 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per limpiego, di incentivi alloccupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), promosso dal Tribunale ordinario di Forlì nel procedimento vertente tra F.N. ed altri e il Comune di Forlì ed altro, con ordinanza del 27 giugno 2012 iscritta al n. 14 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2013.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2013 il Giudice relatore Luigi Mazzella.
Ritenuto in fatto
-
Il Tribunale di Forlì, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 27 giugno 2012, iscritta al n. 14 del registro ordinanze dellanno 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dellart. 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per limpiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), con riferimento agli articoli 10, 35, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, nonchè allart. 5, comma 2, dellaccordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997 (attuata con decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61),
1.1. Riferisce il giudice rimettente di avere riunito tre cause concernenti il controverso diritto di cinque ricorrenti alla conservazione del rapporto di lavoro part-time che le pubbliche amministrazioni convenute (Ministero di giustizia e Comune di Forlì) avevano sottoposto a rivalutazione in forza dellart. 16 della legge n. 183 del 2010, a tenore del quale «in sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dallarticolo 73 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di cui allarticolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sullordinamento del lavoro alle dipendenze della amministrazioni pubbliche), e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008»; che in tutti e cinque i casi sottoposti a giudizio, le ricorrenti avevano ricevuto comunicazioni dai rispettivi enti datori di lavoro che i loro rapporti di lavoro erano stati sottoposti a revisione ai sensi del citato art. 16 ed alcuni erano stati «ricostituiti a tempo pieno», mentre un altro rapporto era stato trasformato da tempo parziale orizzontale con prestazione lavorativa al 50% in tempo parziale orizzontale con prestazione lavorativa al 66,67%.
1.2. Osserva il rimettente, innanzitutto, che la questione è rilevante, perché concerne precisamente il «titolo» in forza del quale gli enti hanno agito: laddove la norma fosse ritenuta costituzionalmente illegittima, infatti, essa non potrebbe incidere sulla regolamentazione del rapporto, come invece pretendono il Ministero ed il Comune resistenti; la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno (ovvero la sua modifica ampliativa della durata della prestazione lavorativa) è avvenuta, infatti, contro il volere delle ricorrenti e precisamente in forza della disposizione sopra ricordata, sicché la valutazione di legittimità della pretesa datoriale presupporrebbe necessariamente la validità della norma dalla medesima applicata.
1.3. Ad avviso del giudice a quo, la questione non è neppure manifestamente infondata.
Ai sensi della clausola 5, punto 2, dellaccordo quadro sul lavoro a tempo parziale, allegato alla direttiva del Consiglio delle Comunità europee 97/81 del 15 dicembre 1997, «il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato». Ma che si possa procedere a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato, non parrebbe sterilizzare il pregiudizio della conversione autoritativa del rapporto.
Dissente sotto questo aspetto il rimettente da quellindirizzo della giurisprudenza di merito che ha riconosciuto la compatibilità della norma interna sul presupposto che «la disposizione va [ ] intesa nel senso che qualora vi siano esigenze organizzative o tecniche o produttive che impongano la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno o viceversa, il datore, a fronte del rifiuto del lavoratore a dette trasformazioni, potrebbe procedere al licenziamento per ragioni risultanti da «necessità di funzionamento dello stabilimento» (assimilabili alla nozione di giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante «Norme sui licenziamenti individuali»). Con la conseguenza che se poi il lavoratore non acconsentisse alla trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno e ciò integrasse un giustificato motivo oggettivo, si esporrebbe al rischio di esser licenziato. E ciò, con il conforto della migliore dottrina, che interpreta lart. 5 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 (Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa allaccordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dallUNICE, dal CEEP e dalla CES) là dove ha recepito la norma comunitaria prescrivendo che «il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento» nel senso che «vieta il licenziamento motivato di per sé (cioè, esclusivamente) dal rifiuto della trasformazione, ferma rimanendo la possibilità di pervenire ad un valido recesso in presenza di elementi che lo giustifichino per ragioni diverse, rispetto alle quali l'elemento della prestazione a tempo parziale rileva solo di riflesso» (è citata, in proposito, lordinanza del Tribunale di Trieste, 29 settembre 2011, in RG n. 632/11).
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