Sentenza nº 220 da Constitutional Court (Italy), 19 Luglio 2013

RelatoreGaetano Silvestri
Data di Resoluzione19 Luglio 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 220

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco GALLO Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis, 21 e 22 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, promossi dalle Regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Molise, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalle Regioni Lazio e Campania, e dalle Regioni autonome Sardegna e Friuli-Venezia Giulia, e degli articoli 17 e 18 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promossi dalle Regioni Molise, Lazio, Veneto, Campania, Lombardia, dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e dalle Regioni Piemonte e Calabria, rispettivamente iscritti ai nn. 18, 24, 29, 32, 38, 44, 46, 47, 50, e ai nn. 133, 145, 151, 153, 154, 159, 160, 161 e 169 del registro ricorsi 2012.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri (fuori termine nei giudizi relativi ai ricorsi iscritti ai nn. 29, 46 e 50 del registro ricorsi 2012), nonché gli atti di intervento delle Province di Latina, Frosinone, Viterbo, della Unione delle Province d’Italia, delle Province di Isernia, di Avellino e del Comune di Mantova;

udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2013 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi gli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli per l’Unione delle Province d’Italia, Giancarlo Viglione per la Provincia di Avellino, Federico Sorrentino per la Provincia di Isernia, Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Luca Antonini, Bruno Barel e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Giovanna Scollo per la Regione Piemonte, Beniamino Caravita di Toritto per le Regioni Lombardia e Campania, Vincenzo Colalillo per la Regione Molise, Ulisse Corea per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e per la Regione Lazio, Piero D’Amelio per la Regione Lazio, Massimo Luciani per la Regione autonoma della Sardegna, Graziano Pungì per la Regione Calabria e gli avvocati dello Stato Maria Elena Scaramucci e Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso spedito per la notifica il 19 gennaio 2012, ricevuto e depositato il successivo 23 gennaio (reg. ric. n. 18 del 2012), la Regione Piemonte ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis e 21, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, per violazione degli artt. 5, 114, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, del principio di leale collaborazione, anche «in relazione agli artt. 3, 77 e 97 della Costituzione».

    1.1.– La Regione ricorrente individua l’oggetto della normativa impugnata nella «abolizione delle province», cioè in una compressione funzionale e strutturale delle Province stesse così intensa da annullarne, in sostanza, il ruolo costituzionalmente assegnato. Il ricorso sarebbe legittimato dalla diretta lesione delle prerogative regionali, ma anche dal vulnus recato alle attribuzioni provinciali, che le Regioni sarebbero ammesse a denunciare quando si risolva in una indebita compressione dei poteri loro conferiti dalla Costituzione.

    È impugnato anzitutto il comma 14 dell’art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, che assegna alle Province «esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».

    Sono impugnate, poi, le norme che fondano la nuova disciplina degli organi provinciali: il comma 15, che individua gli organi di governo nel Consiglio provinciale e nel Presidente della Provincia, con durata della carica pari per entrambi a cinque anni; il comma 16, che fissa nel numero massimo di dieci i componenti del Consiglio, da eleggere a cura degli organi elettivi dei Comuni insediati nel territorio di pertinenza, secondo modalità da fissare con legge dello Stato; il comma 17, che regola l’elezione del Presidente ad opera dei componenti del Consiglio provinciale, sempre in applicazione di legge statale da approvarsi ad hoc.

    La Regione Piemonte censura, di seguito, le disposizioni che regolano il trasferimento di funzioni e risorse dalle Province ai Comuni ed alle Regioni: il comma 18 dell’art. 23 citato, il quale prevede che la legislazione statale e regionale provveda, entro il 31 dicembre 2012, a trasferire le funzioni provinciali ai Comuni, «salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza», configurando l’intervento sostitutivo dello Stato in caso di inadempimento regionale; il comma 19, che dispone il trasferimento, a cura della legislazione statale o regionale, «delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operatività degli organi della provincia».

    Sono impugnati, infine, il comma 20 (che disciplina la tempistica di attuazione della riforma degli organi provinciali), il comma 20-bis (che esclude dalla novella le Province autonome ed assegna alle Regioni a statuto speciale un termine semestrale per l’adeguamento dei rispettivi ordinamenti), il comma 21 (che consente ai Comuni di istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrative, garantendo l’invarianza della spesa).

    1.2.– A parere della ricorrente le norme censurate, tutte «in stretta connessione tra loro», violerebbero in primo luogo l’art. 5 Cost., applicando una logica inversa a quella del decentramento e dell’autonomia, con diretta lesione delle prerogative regionali.

    Sarebbe poi vanificato il riconoscimento delle Province come enti costitutivi della Repubblica, dotati di autonomia e funzioni proprie, secondo il disposto dell’art. 114 Cost. Ciò in ragione, tra l’altro, dell’eliminazione del principale organo di governo (la Giunta) e della stessa funzione di governo, ridotta a compito di coordinamento dell’attività comunale, ed accompagnata dalla spoliazione delle funzioni amministrative provinciali e delle relative risorse. Inoltre, il decreto governativo – volto a realizzare una vera e propria riforma istituzionale mediante la legislazione sulla spesa – avrebbe privato Regioni e Province di ogni autonomia decisionale riguardo al relativo percorso di modificazione legislativa, «in aperta violazione del secondo comma dell’art. 114 Cost.».

    La Regione Piemonte assume, ancora, l’intervenuta violazione del disposto di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., che riserva allo Stato, tra l’altro, la competenza esclusiva in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali delle Province. Tale competenza non potrebbe che esercitarsi entro i limiti tracciati dagli artt. 5 e 114 Cost., cioè rispettando la «esistenza» degli enti interessati, e lasciando intatte le potestà regolamentari ed amministrative di cui agli artt. 117, sesto comma, e 118 Cost. In realtà il decreto impugnato avrebbe realizzato una violazione trasversale delle competenze legislative concorrenti o residuali delle Regioni. Sarebbero compresse le stesse funzioni amministrative di competenza regionale, dato che la Costituzione prevede il relativo esercizio anche mediante delega alle Province (art. 118, secondo comma), mentre la riforma concentra sulle stesse Regioni, oltreché sui Comuni e sullo Stato, le funzioni già attribuite alle Province medesime.

    La disciplina censurata, ad avviso della ricorrente, impone un modello indifferenziato di conferimento di funzioni agli enti locali, tale da menomare le attribuzioni delle Regioni di cui all’art. 118 Cost., anche in relazione alla correlata autonomia finanziaria (art. 119 Cost.).

    L’intervento dello Stato non potrebbe trovare giustificazione nelle allegate esigenze di riordino dei conti pubblici, anche perché le modeste economie risultanti dalla riforma, riguardanti le indennità di carica degli assessori e di parte dei consiglieri provinciali, sarebbero riferibili alle finanze regionali. Quello anzidetto costituirebbe, pertanto, un ulteriore profilo di lesione, secondo la ricorrente, dell’autonomia amministrativa ed organizzativa delle Regioni nei loro rapporti con gli enti territoriali minori.

    Da ultimo, la Regione Piemonte denunzia la violazione del principio di leale collaborazione, in rapporto all’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). Il comma 18 dell’art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, infatti, regolerebbe l’intervento sostitutivo dello Stato in radicale contrasto con i principi fissati dalla citata legge n. 131 del 2003 per l’attuazione di quanto disposto nel testo novellato dell’art. 120 Cost., e comunque senza prevedere alcuna forma di concertazione fra Stato...

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