Sentenza nº 160 da Constitutional Court (Italy), 27 Giugno 2013

RelatoreAldo Carosi
Data di Resoluzione27 Giugno 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 160

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco GALLO Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

- Giorgio LATTANZI "

- Aldo CAROSI "

- Marta CARTABIA "

- Sergio MATTARELLA "

- Mario Rosario MORELLI "

- Giancarlo CORAGGIO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1-ter, del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125 (Misure urgenti per il settore dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria), aggiunto dalla legge di conversione 1° ottobre 2010, n. 163, promosso dal Tribunale di Roma nel procedimento vertente tra Z.M. e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con ordinanza del 22 febbraio 2012, iscritta al n. 96 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione di Z.M., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Giorgio Cosmelli per Z.M. e l’avvocato dello Stato Giovanni Lancia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 22 febbraio 2012 il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125 (Misure urgenti per il settore dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria.), aggiunto dalla legge di conversione 1° ottobre 2010 n. 163, denunciandone il contrasto con l’art. 3, primo comma, della Costituzione.

    Detto art. 2, comma 1-ter, stabilisce che «L’articolo 45, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, si interpreta nel senso che l’incarico onorario di esperto del servizio consultivo ed ispettivo tributario si intende in ogni caso cessato ad ogni effetto, sia giuridico sia economico, a decorrere dalla data di entrata in vigore della predetta disposizione».

    Riferisce il giudice a quo che la questione è sorta nella causa in materia di lavoro promossa dal dott. Z.M. contro il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF).

    Si legge nell’ordinanza di rimessione che il ricorrente era stato nominato nel 2007, con incarico di durata triennale, componente esperto a tempo pieno, esterno ai ruoli della pubblica amministrazione, del Servizio Consultivo ed Ispettivo Tributario (SECIT), originariamente istituito dalla legge 24 aprile 1980 n. 146 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 1980) e regolato, quanto a funzioni, composizione e funzionamento, da svariate fonti normative successive; che, in seguito, l’art. 45 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, stabiliva, con decorrenza dal 26 giugno 2008, la soppressione del SECIT, attribuiva le relative funzioni al Dipartimento delle finanze del MEF e disponeva che il relativo personale di ruolo fosse restituito alle amministrazioni di appartenenza (ovvero, se già personale del ruolo del MEF, assegnato al Dipartimento stesso); che, conseguentemente, al dott. Z.M. veniva comunicata, verbalmente, la cessazione immediata dell’incarico di esperto SECIT.

    Riferisce il giudice a quo che il ricorrente, sostenendo la natura subordinata a termine del suo rapporto con il SECIT, si era rivolto al giudice del lavoro lamentando l’illegittimità della risoluzione così intervenuta e l’inadempienza del MEF rispetto alle obbligazioni retributive assunte con il conferimento dell’incarico, domandandone la condanna al pagamento delle spettanze economiche dal momento della sua anticipata cessazione sino a quella di scadenza contrattualmente prevista. In subordine, e per l’ipotesi che il rapporto con il SECIT dovesse essere qualificato come autonomo, il ricorrente aveva invocato l’applicazione dell’art. 2227 del codice civile sul recesso unilaterale del committente e aveva domandato la condanna della controparte al pagamento del relativo indennizzo.

    Nel giudizio davanti al giudice del lavoro di Roma – prosegue il giudice a quo – si era costituito il MEF, negando la configurabilità di un rapporto subordinato di pubblico impiego e rilevando che la disposizione legislativa che aveva soppresso il SECIT costituiva una causa sopravvenuta d’impossibilità totale della prestazione, ai sensi dell’art. 1463 cod. civ., ed in ogni caso segnalando l’entrata in vigore, sin dal 6 ottobre 2010, dell’art. 2 comma 1-ter del d.l. n. 125 del 2010, introdotto dalla legge di conversione n. 163 del 2010, norma d’interpretazione autentica che aveva chiarito la natura onoraria dell’incarico di esperto SECIT e la definitiva cessazione del medesimo incarico, ad ogni effetto giuridico ed economico, alla data di soppressione legislativa del Servizio.

    Espone il rimettente, nel sollevare la questione, che, con particolare riguardo alla disciplina vigente all’atto della nomina del ricorrente (giugno 2007), i compiti e finalità del SECIT, risultanti dall’art. 22, comma 1, del d.P.R. 26 marzo 2001 n. 107, recante «Regolamento di organizzazione del Ministero delle finanze», consistevano nell’elaborazione di studi di politica economica e tributaria e di analisi fiscale in conformità agli indirizzi del Ministro (già delle finanze, poi dell’economia e delle finanze). Il giudice a quo provvede, poi, a ricostruire il quadro normativo.

    Il servizio esplicava le sue attività mediante un organico composto di cinquanta esperti (art. 22, comma 1, del d.P.R. n. 107 del 2001), scelti (art. 10, secondo comma, della legge n. 146 del 1980, tra i funzionari dell’amministrazione finanziaria e delle altre pubbliche amministrazioni con qualifica non inferiore a dirigente, tra il personale di magistratura avente almeno la ex qualifica di appello (esperti già di ruolo), e tra soggetti non appartenenti alla pubblica amministrazione in possesso di elevate competenze ed esperienza professionale nelle discipline economico-finanziarie, statistiche, contabili o aziendalistiche (esperti non di ruolo, esterni alla pubblica amministrazione, quale appunto il ricorrente dott. Z.M.).

    Per soddisfare esigenze di studio del dipartimento, il Ministro suddetto poteva distaccare presso lo stesso – come accaduto per il dott. Z.M. – esperti del SECIT sino alla concorrenza di metà dell’organico; esperti posti in tal caso alle dipendenze funzionali del capo dipartimento (art. 22, comma 1, del d.P.R. n. 107 del 2001).

    Gli esperti erano tutti nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle finanze (art. 10, terzo comma, della legge n. 146 del 1980).

    La durata massima dell’incarico – antecedentemente stabilita (dall’art. 10, quarto comma, della legge n. 146 del 1980) mediante richiamo alla disciplina sulla temporaneità degli incarichi dei dirigenti della P.A. – era triennale, rinnovabile per non più di una volta (art. 3, comma 1, lettera d, terza proposizione, del decreto legislativo 3 luglio 2003, recante «Riorganizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze e delle agenzie fiscali, a norma dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137»).

    Gli esperti appartenenti a ruoli diversi dall’Amministrazione delle finanze erano collocati fuori ruolo, od in posizione equivalente, per la durata dell’incarico (art. 10, quarto comma, della legge n. 146 del 1980).

    Gli esperti (art. 11, settimo comma, della legge n. 146 del 1980) dovevano osservare il segreto d’ufficio, ed astenersi relativamente ad affari nei quali essi stessi o parenti o affini avessero interesse; non potevano esercitare attività professionali o di consulenza né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura, pena la decadenza dall’incarico, salvo che per gli esperti a tempo parziale.

    Gli esperti a tempo parziale (art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, recante «Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate», convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178) potevano essere assunti o con rapporto dipendente a tempo parziale, o mediante rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

    Per quanto riguarda lo stato giuridico, agli esperti del SECIT non appartenenti alla P.A. si applicavano, indipendentemente dalla loro provenienza, le disposizioni in materia riguardanti gli impiegati civili dello Stato (art. 18, comma 3, del d.P.R. 27 marzo 1992 n. 287, recante...

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