Sentenza nº 107 da Constitutional Court (Italy), 29 Maggio 2013

RelatoreLuigi Mazzella
Data di Resoluzione29 Maggio 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 107

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco GALLO Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 11 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), promosso, in relazione agli articoli 3 e 77, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Trani nel procedimento vertente tra G.M. e la s.p.a. Poste Italiane con ordinanza del 21 febbraio 2011, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di costituzione di G.M. e della s.p.a. Poste Italiane nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 27 marzo 2013 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi gli avvocati Vincenzo De Michele e Sergio Galleano per G.M., Giampiero Proia e Luigi Fiorillo per la s.p.a. Poste Italiane e l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale di Trani in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 21 febbraio 2011, iscritta al n. 173 del Registro ordinanze 2011, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 3 e 77, primo comma, della Costituzione, degli articoli 1 e 11 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES).

    1.1. – Riferisce il giudice rimettente che, con domanda del 29 novembre 2010, G.M. ha convenuto in giudizio la s.p.a. Poste Italiane, chiedendo l’accertamento dell’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro sottoscritto il 20 maggio 2005, «per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio recapito presso la Regione Sud 1 UP Canosa di Puglia assente nel periodo dal 23 maggio 2005 all’8 luglio 2005», in quanto nel documento negoziale non sarebbero stati specificamente indicati i lavoratori sostituiti, «nonché la ragione per la quale questi» ultimi sarebbero «rimasti assenti dal lavoro», nonostante che, all’indomani del d.lgs. n. 368 del 2001 – applicabile alla fattispecie ratione temporis – l’assunzione a termine per ragioni sostitutive richiedesse ancora dette indicazioni; che la società convenuta ha contestato la necessità di tale adempimento, poiché la precedente norma di riferimento – e cioè l’art. 1, comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato) – è stata abrogata dall’art. 11, primo comma, del d.lgs. n. 368 del 2001, senza essere sostituita da altra disposizione di analogo contenuto.

    1.2. – Precisa il rimettente che la fattispecie contrattuale è pacificamente disciplinata ratione temporis dal d.lgs. n. 368 del 2011, il cui art. 11 ha abrogato «la legge 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni», ivi compreso l’art. 1, comma 2, lettera b), a mente del quale era «consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto: ... quando l’assunzione» avesse avuto «luogo, per sostituire lavoratori assenti e per i quali» fosse sussistito «il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine» fosse stato «indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione»; che, per effetto di tale abrogazione, la causale sostitutiva è oggi disciplinata dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 2001, il quale si limita a consentire «l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere ... sostitutivo», senza più richiedere – quantomeno espressamente – che, nel contratto, siano indicati il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione.

    1.3. – Il giudice a quo passa, dunque, a ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale in subiecta materia, rammentando che la Corte costituzionale, investita illo tempore dallo stesso Tribunale di Trani delle questioni di legittimità delle disposizioni succitate in relazione agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., ne aveva ritenuto la non fondatezza (sentenza n. 214 del 2009, seguita dalle ordinanze n. 325 del 2009 e n. 65 del 2010), in quanto l’onere di specificazione previsto dall’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 implica che, ogni qual volta l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, debbano risultare per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. Ed infatti secondo il giudice delle leggi – continua il rimettente – poiché per «ragioni sostitutive» si devono intendere motivi connessi con l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la specificazione di tali motivi impone anche l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione, onde realizzare la finalità, sottesa all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001, di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Donde l’insussistenza della violazione dell’art. 77 Cost., non avendo gli impugnati artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 innovato, sotto questo profilo, rispetto alla disciplina contenuta nella legge n. 230 del 1962, ed essendo stato il Governo autorizzato – dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2000) – ad apportare modifiche o integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di evitare disarmonie tra le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie e, appunto, quelle già vigenti. Solo così si sarebbe garantita la piena coerenza della nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico, in conformità con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega.

    Neppure la denunciata lesione dell’art. 76 Cost. era stata riscontrata, poiché – secondo la valutazione della Corte – le norme censurate, limitandosi a riprodurre la disciplina previgente, non determinano alcuna diminuzione della tutela già garantita ai lavoratori dal precedente regime e, pertanto, non si pongono in contrasto con la clausola n. 8.3 dell’accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale l’applicazione dell’accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per ridurre il livello generale di tutela già goduto dai lavoratori. Dopo queste pronunce interpretative di rigetto del Giudice delle leggi che sembravano aver risolto ogni problema ermeneutico – prosegue il rimettente – la Corte di cassazione, con due sentenze del 26 gennaio 2010 (n. 1576 e n. 1577), ha ritenuto di poter «interpretare» la sentenza «interpretativa di rigetto» del Giudice delle leggi e, sulla base di questa, di essere abilitata ad operare un distinguo, nel senso «che, nella illimitata casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e “l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori” deve passare necessariamente attraverso la “specificazione dei motivi”, mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma». Con sentenza 28 aprile 2010, n. 10175, la Suprema Corte ha ribadito il suddetto orientamento (ulteriormente confermato da Cass. 7 febbraio 2011, n. 2990), aggiungendo che il contratto a termine «in una situazione aziendale complessa è configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta; in quest’ultimo caso, il requisito della specificità può così ritenersi soddisfatto non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che, per quella stessa funzione, si sono realizzate per il periodo dell’assunzione».

    Dalle sopra richiamate pronunce...

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