Sentenza nº 94 da Constitutional Court (Italy), 22 Maggio 2013

RelatoreGiuseppe Tesauro
Data di Resoluzione22 Maggio 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 94

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco GALLO Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 40, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), promossi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con tre ordinanze del 13 dicembre 2011 rispettivamente iscritte al n. 85, al n. 86 ed al n. 87 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti gli atti di costituzione di Rina Services s.p.a., Rina s.p.a. e di Rina Organismo di Attestazione s.p.a., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture;

udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi gli avvocati Maria Alessandra Sandulli, Roberto Damonte, Giuseppe Giacomini e Massimo Luciani per le società predette e l’avvocato dello Stato Salvatore Messineo per il Presidente del Consiglio dei ministri e per la Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con tre ordinanze del 13 dicembre 2011, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 40, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE» (di seguito: Codice dei contratti pubblici).

  2. – Nel giudizio in cui è stata emessa la prima ordinanza (reg. ord. n. 85 del 2012), Rina Services s.p.a. (infra: Rina Services) ha proposto ricorso contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Consiglio di Stato, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, la Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero per le politiche europee, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero per i beni culturali ed ambientali, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero degli affari esteri, chiedendo che sia annullato il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»), nella parte in cui, all’art. 66, ha incluso tra i soggetti che non possono possedere, a qualsiasi titolo, direttamente o indirettamente, una partecipazione al capitale di una società organismo di attestazione (SOA) quelli di cui all’articolo 3, comma 1, lettera ff), e cioè gli «organismi di certificazione: gli organismi di diritto privato che rilasciano i certificati di conformità del sistema di gestione per la qualità conformi alle norme europee serie UNI EN ISO 9000». La ricorrente ha, altresì, impugnato l’art. 64 di detto d.P.R., laddove stabilisce che la SOA deve avere sede legale nel territorio della Repubblica (comma 1) e che «lo statuto deve prevedere come oggetto esclusivo lo svolgimento dell’attività di attestazione» (comma 3), nonché, in linea gradata, l’art. 357, comma 21, ed ogni altro atto, anche istruttorio o consultivo, preordinato o presupposto, conseguente o connesso, con condanna delle convenute all’integrale risarcimento dei danni.

    Rina Services, espone l’ordinanza di rimessione, ha dedotto di essere una società accreditata alla certificazione di qualità, facente parte del Gruppo Rina, che svolge attività di certificazione, progettazione e validazione attraverso le proprie controllate aventi sede in tutto il mondo. La SOA Rina s.p.a. (d’ora in poi: SOA Rina) è, invece una società organismo di attestazione, avente quale oggetto esclusivo lo svolgimento dell’attività di attestazione, ai fini della qualificazione ai sensi dell’art. 8 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) – ora art. 40 del d.lgs. n. 163 del 2006 – ed è partecipata al 99 % da Rina s.p.a. ed all’1 % dalla ricorrente.

    La ricorrente, in riferimento all’art. 66 del d.P.R. n. 207 del 2010 (in prosieguo: Regolamento), ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), in relazione all’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 ed all’art. 41 Cost., in quanto lo schema di regolamento approvato dal Consiglio dei ministri il 13 luglio 2007 non prevedeva il divieto per gli organismi di certificazione di partecipare al capitale sociale di una SOA e, nonostante che «il parere espresso dalla Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato nell’adunanza del 17 settembre 2007» non avesse ritenuto di introdurlo, lo stesso è stato inserito nel Regolamento. Detta disposizione violerebbe, inoltre, l’art. 40, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione all’art. 76 Cost., nonché l’art. 41 Cost., in quanto stabilisce un divieto che esorbita dai criteri direttivi del Codice dei contratti pubblici e pone una regola illogica e contraddittoria. Inoltre, secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea, le situazioni di controllo tra società diverse vanno verificate in concreto e sarebbero illegittimi i divieti stabiliti esclusivamente in ragione di un collegamento tra soggetti giuridicamente distinti. La ratio della disciplina dell’Unione europea (UE) sarebbe di garantire indipendenza ed imparzialità delle SOA e degli organismi di certificazione e la facoltà attribuita agli Stati membri di demandare a determinati soggetti l’attività di certificazione non potrebbe essere esercitata in violazione del principio di proporzionalità.

    Il divieto per un organismo di certificazione di possedere una quota minoritaria del capitale sociale di una SOA sarebbe ingiustificato rispetto allo scopo di garantirne autonomia ed indipendenza di giudizio. La verifica dell’imparzialità dovrebbe, infatti, essere effettuata con riferimento all’impresa da certificare ed attestare e, secondo la ricorrente, qualora si ritenga che la disposizione del Codice dei contratti pubblici legittimi il divieto in esame, occorrerebbe accertarne – eventualmente, mediante rinvio pregiudiziale – la compatibilità con il diritto dell’UE. Ad avviso di Rina Services, sarebbero state violate e falsamente applicate le norme in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE – e direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, recante «Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno»), in relazione ai principi di necessità e proporzionalità. Inoltre, sarebbero lesi gli artt. 3, 41 e 117, primo comma, Cost., ed i principi di eguaglianza, ragionevolezza, proporzionalità, affidamento e di libertà dell’iniziativa economica.

    Secondo la ricorrente, il citato art. 357, comma 21, sarebbe illegittimo anche a causa dell’incongruità del termine semestrale dallo stesso fissato. L’obbligo della SOA di avere sede legale in Italia sarebbe in contrasto con l’art. 40, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, con l’art. 41 Cost., con i principi in materia di tutela della concorrenza, con la direttiva n. 2006/123/CE e con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno). Il divieto per gli organismi di certificazione di svolgere attività di attestazione violerebbe, infine, l’art. 41 Cost., le direttive 31 marzo 2004, n. 2004/18/CE, recante «Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi» (in particolare l’art. 52) e n. 2006/13/CE (specie l’art. 25), nonché i principi di necessità e proporzionalità.

    2.1.– Sintetizzati i motivi di impugnazione, secondo il TAR, la ricorrente ha un interesse attuale e concreto ad impugnare le norme regolamentari, poiché esse costituiscono «volizioni azioni», applicabili indipendentemente da qualunque provvedimento attuativo e sussiste, inoltre, la legittimazione passiva di tutte le amministrazioni convenute nel giudizio.

    2.2.– Ad avviso del giudice a quo, sono infondate alcune censure concernenti il citato art. 66, comma 1. Il Consiglio di Stato, nel rendere parere sullo schema di regolamento, sottolineando che, «in relazione al divieto di partecipazione al capitale di una SOA recato dall’articolo 66 per gli organismi di certificazione, l’articolo 357 prevede ora, in via transitoria, un termine di 180 giorni per l’adeguamento della composizione azionaria, termine che può ritenersi congruo» (Sezione consultiva per gli atti normativi, 24 febbraio 2010, n. 313/2010), ha implicitamente reputato legittimo il divieto, in quanto non ha formulato specifiche osservazioni.

    L’art. 4, comma 2, lettera b) (recte: art. 8, comma 4, lettera b, della legge n. 109 del 1994, nel testo sostituito dall’art. 2 della legge 18 novembre 1998, n. 415, in vigore fino al 2002) prevedeva che il regolamento di esecuzione avrebbe dovuto stabilire modalità e criteri di...

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