Sentenza nº 38 da Constitutional Court (Italy), 15 Marzo 2013

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione15 Marzo 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 38

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco GALLO Presidente

- Gaetano SILVESTRI Giudice

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell’articolo 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7 (Liberalizzazione dell’attività commerciale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-21 maggio 2012, depositato in cancelleria il 21 maggio 2012 ed iscritto al n. 79 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano;

udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Romano Vaccarella per la Provincia autonoma di Bolzano.

Ritenuto in fatto

  1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso consegnato per la notifica il 17 maggio 2012 (previa deliberazione del Consiglio dei ministri in data 11 maggio 2012), notificato il 21 maggio 2012 mediante il servizio postale e depositato in cancelleria il 21 maggio 2012, ha impugnato l’articolo 5 (commi 1, 2, 3, 4 e 7) e l’articolo 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7 (Liberalizzazione dell’attività commerciale), pubblicata nel B.U.R. del 20 marzo 2012, n. 7.

    Dopo aver trascritto le disposizioni censurate, il ricorrente, in primo luogo, denunzia, in relazione all’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, violazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, nonché violazione dell’art. 41 Cost. e degli artt. 4, 5, 8 e 9 dello statuto del Trentino-Alto Adige, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

    La difesa dello Stato richiama l’orientamento di questa Corte, in forza del quale rientrano nel concetto di concorrenza – previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – le misure «che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese» (sono richiamate le sentenze n. 401 e n. 430 del 2007). In sintesi, farebbero parte del concetto di concorrenza, previsto in Costituzione, non soltanto le misure di tutela in senso proprio, ma anche quelle pro-concorrenziali.

    Le disposizioni di cui all’art. 5, commi 1, 2 e 3, della legge provinciale impugnata, considerate singolarmente e in combinato disposto, nel prevedere che il commercio al dettaglio nelle zone produttive sia ammesso soltanto come eccezione, nei limiti delle categorie merceologiche individuate e dei relativi accessori (questi ultimi, a loro volta, determinati da una successiva deliberazione della Giunta provinciale), traducendosi in disposizioni restrittive della concorrenza (nel significato emergente dalla giurisprudenza richiamata), si porrebbero in contrasto con i principi e le regole dettati dall’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, norma introdotta dal legislatore statale nell’esercizio della competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

    Il detto art. 31, comma 2 – prosegue il ricorrente – sancisce il principio (nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi) della libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali, senza contingenti e limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura. Le uniche restrizioni ammesse attengono alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente (incluso l’ambiente urbano) e dei beni culturali. La previsione normativa si conclude con l’indicazione, cogente per le Regioni e gli altri enti locali, di adeguare i propri ordinamenti ai principi così declinati entro il 30 settembre 2012.

    Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, risulterebbe evidente che le limitazioni previste dalla normativa impugnata sarebbero in palese contrasto con le richiamate disposizioni statali, perché si tradurrebbero nell’introduzione di restrizioni all’apertura di nuovi esercizi per il commercio al dettaglio nelle zone produttive, apertura ammessa soltanto per la vendita di alcune categorie merceologiche. Il che verrebbe ad integrare gli estremi di un vincolo inammissibile, perché non giustificato dagli interessi indicati in modo espresso dal citato art. 31, comma 2, quali uniche ipotesi legittimanti la permanenza di limitazioni alla libertà di apertura di esercizi commerciali.

    Invero, l’apodittico riferimento contenuto nelle norme impugnate alle esigenze di tutelare l’ambiente urbano, nonché la pianificazione ambientale e culturale (pur volendo prescindere dalla vaghezza dei concetti richiamati), non varrebbe a rendere tali norme conformi ai principi in materia di liberalizzazioni dettati dal legislatore nazionale; ciò, da un lato, proprio in ragione della rilevata assenza di motivazione in ordine alla necessità di prevedere limiti all’apertura di esercizi di commercio al dettaglio, al fine di salvaguardare gli interessi indicati dal legislatore provinciale e, dall’altro, in considerazione della circostanza che non risulterebbe comprensibile in qual modo possa venire in rilievo l’esigenza di tutelare «l’ambiente urbano» e «la pianificazione ambientale e culturale» in zone già destinate agli insediamenti produttivi, cioè già di per sé aventi vocazione tipicamente commerciale.

    Le disposizioni in esame, peraltro, risulterebbero anche in palese contrasto con l’art. 3, comma 1, lettera c), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

    Ai sensi di tale norma, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonché quelle di somministrazione di alimenti e bevande, si svolgono senza limitazioni quantitative all’assortimento merceologico offerto negli esercizi.

    Né sarebbe utile obiettare che la materia disciplinata dalla legge in esame, siccome relativa al «commercio» e, quindi, rientrante nella competenza regionale, non potrebbe essere censurata dal ricorrente per violazione delle regole sul riparto di competenze tra legislatore nazionale e provinciale. Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, anche se una disciplina regionale sia riconducibile alla materia del commercio «è comunque necessario valutare se la stessa nel suo contenuto determini o meno un vulnus alla tutela della concorrenza, tenendo presente che è stata riconosciuta la possibilità per le regioni, nell’esercizio della potestà legislativa nei loro settori di competenza, di dettare norme che, indirettamente, producano effetti pro-concorrenziali. Infatti la materia “tutela della concorrenza”, di cui all’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost., non ha soltanto un ambito oggettivamente individuabile, attinente alle misure legislative di tutela in senso proprio, quali ad esempio quelle che hanno ad oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese incidenti in senso negativo sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, ma, dato il suo carattere “finalistico”, anche una portata più generale e trasversale, non preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al momento dell’esercizio della potestà legislativa sia dello Stato che delle Regioni nelle materie di loro rispettiva competenza» (è richiamata la sentenza n. 150 del 2011). In tale pronuncia si è altresì affermato, tra l’altro, che «è illegittima una disciplina che, se pure in astratto riconducibile alla materia “commercio” di competenza legislativa delle Regioni, produca, in concreto, effetti che ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o ulteriori limiti o barriere all’accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale» (è richiamata la sentenza n. 18 del 2012).

    Nel caso di specie non si potrebbe dubitare che le disposizioni dettate dal legislatore provinciale si traducano nella violazione dei principi pro-concorrenziali posti dal legislatore nazionale. Ciò varrebbe, a maggior ragione, con riferimento al comma 3 della norma censurata, che, ai fini dell’individuazione degli accessori delle categorie merceologiche di cui è ammessa la vendita, rinvia ad una determinazione della Giunta provinciale, in tal modo operando una delegificazione della materia che rende ancor più evidente la violazione dell’ambito di competenza statale nella materia in esame.

  2. — La difesa dello Stato prosegue osservando che la Provincia autonoma di Bolzano esercita, ai sensi dell’art. 8, comma 1, nn. 3, 4, 5, 9 e 12 del d.P.R. n. 670 del 1972, potestà legislativa primaria in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale, usi e costumi locali, urbanistica, artigianato, fiere e mercati. Inoltre, ai sensi dell’art. 9, n. 3, esercita potestà legislativa concorrente in materia di...

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