Sentenza nº 280 da Constitutional Court (Italy), 12 Dicembre 2012

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione12 Dicembre 2012
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 280

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso QUARANTA Presidente

- Franco GALLO Giudice

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 30, comma 5, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, nel procedimento vertente tra C.G. e il Ministero della salute, con ordinanza del 7 settembre 2011, iscritta al n. 269 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto in fatto

  1. — Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sede di Palermo (d’ora in avanti, TAR), con ordinanza depositata il 7 settembre 2011, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 24, 103 e 113 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 30, comma 5, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo).

  2. — Il rimettente premette che, con ricorso per esecuzione di giudicato notificato il 25 marzo 2011, depositato il successivo 31 marzo, il prof. C.G. ha chiesto l’esecuzione della sentenza pronunciata dal medesimo TAR il 20 dicembre 2006, n. 4140, confermata con decisione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana del 15 dicembre 2008, n. 1042.

    Come il giudice a quo riferisce, il prof. C.G. ha esposto la seguente vicenda:

    egli, in data 5 aprile 2006, era stato designato componente del collegio sindacale dell’Azienda Ospedaliera «Civico-Fatebenefratelli-M.Ascoli-DiCristina», quale rappresentante del Ministero della salute;

    lo stesso Ministero, con nota del 29 maggio 2006, aveva revocato la designazione;

    la revoca, impugnata dal designato, era stata annullata dalla citata sentenza del TAR, n. 4140 del 2006, confermata dalla detta pronuncia del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana;

    il prof. C.G. era stato insediato quale componente del collegio sindacale soltanto in data 21 luglio 2007, ma non gli erano stati corrisposti i compensi relativi alla menzionata funzione, concernenti il periodo dal 16 ottobre 2006 (data d’insediamento dell’organo) al 31 luglio 2007.

    Su tali premesse il prof. C.G., con il ricorso indicato, ha chiesto che, in esecuzione del giudicato formatosi sulle citate sentenze di primo e di secondo grado, il Ministero fosse condannato al pagamento: a) della somma di euro 11.641,05 (corrispondente ai compensi non riscossi), oltre interessi e rivalutazione, ai sensi dell’art. 112, comma 3, del codice del processo amministrativo; b) delle spese del giudizio di annullamento della revoca, liquidati in complessivi euro 1.500,00, mai corrisposti dall’amministrazione (con interessi e rivalutazione).

  3. — Il giudice a quo continua ad esporre che, nel processo così instaurato, il Ministero della salute si è costituito, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o improcedibile sulla base delle seguenti argomentazioni: 1) l’Amministrazione ha pienamente ottemperato alla sentenza che ha annullato la revoca della designazione, provvedendo ad immettere il ricorrente nelle relative funzioni; 2) per conseguenza, non vi sarebbe materia per il giudizio di ottemperanza, in quanto il ricorrente in realtà non lamenta la mancata esecuzione del giudicato di annullamento, ma domanda il risarcimento per equivalente monetario del danno da illegittimo esercizio della funzione; 3) l’art. 112, comma 3, cod. proc. amm.vo non sarebbe invocabile, in quanto nella fattispecie non si discuterebbe di un danno da mancata esecuzione o da violazione o elusione del giudicato (dal momento che il ricorrente è stato reintegrato nella funzione addirittura prima dell’intervenuta formazione del giudicato di annullamento, conseguente alla sentenza di secondo grado, e quindi già in sede di esecuzione della sentenza di primo grado, gravata, ma non sospesa); 4) il quarto comma del citato art. 112, in astratto invocabile, sarebbe però in concreto rimedio non percorribile, stante la proposizione della domanda ben al di là della scadenza del termine decadenziale di 120 giorni dalla formazione del giudicato di annullamento, stabilito dall’art. 30, comma 5, del codice del processo amministrativo, richiamato dal comma 4, dell’art. 112.

  4. — La causa è stata riservata per la decisione all’udienza camerale del 5 luglio 2011.

  5. — Tanto premesso, il TAR, «in punto di qualificazione della domanda e di conseguente individuazione del suo regime», osserva «come la prospettazione posta a fondamento della memoria dell’Amministrazione sia pienamente condivisibile».

    Invero, se si eccettua «la parte (del tutto marginale) relativa al mancato pagamento delle spese del processo di cognizione, che inerisce ad un profilo di mancata esecuzione del giudicato formatosi all’esito di tale giudizio, la domanda proposta con il ricorso in esame non attiene propriamente né alla esecuzione del giudicato di annullamento, né ad un danno da mancata esecuzione del giudicato».

    Ad avviso del giudice a quo, la statuizione caducatoria contenuta nella sentenza resa all’esito del giudizio di primo grado, confermata in appello, risulterebbe eseguita mediante attuazione dell’effetto ripristinatorio. Infatti, l’attuale ricorrente sarebbe stato reintegrato nella funzione nel corso del giudizio di appello, sicché il detto giudicato di annullamento sarebbe stato già eseguito in relazione a tutti i suoi effetti.

    Pertanto, si sarebbe fuori dall’ambito applicativo dell’art. 112, comma 3, cod. proc. amm.vo. In questi casi, l’effetto conformativo del giudicato di annullamento, e quello ripristinatorio, non si spingerebbero «al punto da imporre all’amministrazione, oltre al reintegro, anche la corresponsione degli emolumenti economici per la durata dell’efficacia del provvedimento annullato (nel qual caso la pretesa sarebbe azionabile in sede esecutiva entro il termine decennale consentito dall’actio iudicati): tale adempimento attiene alla refusione di danno da provvedimento illegittimo e non costituisce effetto naturale del giudicato di annullamento (anzi, è proprio la non riparabilità di tale pregiudizio mediante la rimozione del provvedimento lesivo a rendere necessario il ricorso alla tecnica di tutela complementare a quella caducatoria, consistente nel ripristino per equivalente monetario delle situazioni lese)».

    Secondo il TAR, il ricorrente chiederebbe, in realtà, proprio il risarcimento del danno patrimoniale subito per effetto dell’emanazione di un provvedimento amministrativo (poi dichiarato) illegittimo, per il periodo in cui detto provvedimento ha avuto esecuzione. Tale fattispecie, inerente ad un danno non risarcibile né risarcito (per ragioni diacroniche) mediante la mera esecuzione del giudicato di annullamento, si inquadrerebbe perfettamente nell’ambito precettivo dell’art. 112, comma 4, cod. proc. amm.vo, che così dispone: «Nel processo di ottemperanza può essere altresì proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all’art. 30, comma 5, nel termine ivi stabilito. In tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario».

    In questo quadro, il rimettente osserva che andrebbe disposta, in primo luogo, la conversione del rito, ai sensi dell’ultimo periodo della norma ora trascritta. Tuttavia, la praticabilità di tale soluzione (vale a dire, l’ammissibilità dell’azione risarcitoria mediante conversione del rito) sarebbe subordinata alla verifica del rispetto del termine decadenziale stabilito dall’art. 30, comma 5, cod. proc. amm.vo, ai sensi del quale «Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza».

    Nel caso in esame, il ricorso risulta notificato il 25 marzo 2011: pertanto, il detto termine risulterebbe superato sia che si assuma come dies a quo il passaggio in giudicato della sentenza (coincidente con la pubblicazione della decisione in grado di appello: 15 dicembre 2008), sia che si faccia decorrere il medesimo termine dalla data di entrata in vigore del processo amministrativo (16 settembre 2010).

    Invece l’azione risarcitoria sarebbe tempestiva se, in assenza del termine decadenziale posto dal citato art. 30, essa fosse subordinata soltanto al rispetto del termine quinquennale di prescrizione. Da ciò deriverebbe la rilevanza, ai fini del decidere, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 5, cod. proc. amm.vo, non essendo neppure condivisibile l’opzione ermeneutica orientata a sostenere che il termine di decadenza previsto dalla disposizione censurata trovi applicazione soltanto per i giudicati di annullamento formatisi dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo.

    Al fine di mitigare il rigore delle conseguenze derivanti dall’entrata in vigore (16 settembre 2010) del nuovo codice in materia risarcitoria nelle fattispecie di...

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