Sentenza nº 289 da Constitutional Court (Italy), 18 Luglio 2008

RelatorePaolo Maddalena
Data di Resoluzione18 Luglio 2008
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 289

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco BILE Presidente

- Giovanni Maria FLICK Giudice

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 22, 26, 27 e 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, promossi con ricorsi delle Regione Veneto (2 ricorsi), Toscana e Friuli-Venezia Giulia, notificati il 31 agosto, il 26 settembre, il 5 e il 9 ottobre 2006, depositati in cancelleria l’11 e il 26 settembre, l’11 e 14 ottobre 2006 ed iscritti ai nn. 96, 99, 103 e 105 del registro ricorsi 2006.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 giugno 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto, Andrea Manzi per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. Con ricorso notificato il 31 agosto 2006 e depositato nella cancelleria di questa Corte l’11 settembre 2006 (reg. ric. n. 96 del 2006), la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), e, tra esse, degli artt. 22, 26 e 29.

    L’art. 22 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, contiene disposizioni che stabiliscono la riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali.

    Sancisce il comma 1 di tale articolo che «Gli stanziamenti per l’anno 2006 relativi a spese per consumi intermedi dei bilanci di enti ed organismi pubblici non territoriali, che adottano contabilità anche finanziaria, individuati ai sensi dell’art. 1, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con esclusione delle Aziende sanitarie ed ospedaliere, degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, dell’Istituto superiore di sanità, dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, dell’Agenzia italiana del farmaco, degli Istituti zooprofilattici sperimentali e delle istituzioni scolastiche, sono ridotti nella misura del 10 per cento, comunque nei limiti delle disponibilità non impegnate alla data di entrata in vigore del presente decreto. Per gli enti ed organismi pubblici che adottano una contabilità esclusivamente civilistica, i costi della produzione, individuati all’art. 2425, primo comma, lett. b), nn. 6), 7) e 8), del codice civile, previsti nei rispettivi budget 2006, concernenti i beni di consumo e servizi ed il godimento di beni di terzi, sono ridotti del 10 per cento. Le somme provenienti dalle riduzioni di cui al presente comma sono versate da ciascun ente, entro il mese di ottobre 2006, all’entrata del bilancio dello Stato, con imputazione al capo X, capitolo 2961».

    Il comma 2 dello stesso art. 22 prevede poi che «Per le medesime voci di spesa e di costo indicate al comma 1, per il triennio 2007-2009, le previsioni non potranno superare l’ottanta per cento di quelle iniziali dell’anno 2006, fermo restando quanto previsto dal comma 57 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Le somme corrispondenti alla riduzione dei costi e delle spese per effetto del presente comma sono appositamente accantonate per essere versate da ciascun ente, entro il 30 giugno di ciascun anno, all’entrata del bilancio dello Stato, con imputazione al capo X, capitolo 2961. E’ fatto divieto alle Amministrazioni vigilanti di approvare i bilanci di enti ed organismi pubblici in cui gli amministratori non abbiano espressamente dichiarato nella relazione sulla gestione di avere ottemperamento alle disposizioni del presente articolo».

    Ad avviso della ricorrente, tali disposizioni non sarebbero applicabili agli enti pubblici non territoriali regionali.

    Se così non fosse, la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 119 della Costituzione.

    Ad avviso della Regione Veneto, con la disposizione in oggetto il decreto-legge impugnato avrebbe posto per le Regioni vincoli puntuali ad una singola voce di spesa, eccedendo in tal modo dai limiti della competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e violando l’autonomia finanziaria di spesa delle Regioni di cui all’art. 119 della Costituzione.

    La ricorrente ricorda che la Corte in numerose pronunce (ad esempio, nelle sentenze n. 376 del 2003, nn. 4, 36 e 390 del 2004, nn. 417 e 449 del 2005) ha avuto modo di precisare, dichiarando l’illegittimità costituzionale di norme statali, che lo Stato può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio – anche se con ciò si determina inevitabilmente una limitazione indiretta dell’autonomia di spesa degli enti – purché ciò avvenga attraverso una disciplina di principio e per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari. Più precisamente, se l’imposizione di vincoli alle politiche di bilancio di Regioni ed enti locali vuole rimanere nell’ambito della legittimità costituzionale, essa dovrebbe avere ad oggetto o l’entità del disavanzo di parte corrente, oppure, ma solo in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale, la crescita della spesa corrente. Alla legge statale, pertanto, viene consentito di stabilire unicamente un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. La previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, in quanto pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò in una indebita invasione, da parte dello Stato, dell’area riservata alle autonomie regionali e locali, alle quali il legislatore nazionale può prescrivere criteri ed obiettivi, come, ad esempio, il contenimento della spesa pubblica, ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

    Secondo la Regione Veneto, l’art. 22 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recando disposizioni che stabiliscono la riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali, se ritenuto applicabile agli enti non territoriali regionali, oltrepasserebbe i limiti imposti al legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

    Con l’art. 26 del medesimo decreto-legge sono stati previsti controlli e sanzioni per il mancato rispetto della regola sul contenimento delle spese da parte degli enti inseriti nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni.

    La disposizione prevede che «In caso di mancato rispetto del limite di spesa annuale di cui all’art. 1, comma 57, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, da parte degli enti individuati ai sensi dei commi 5 e 6 del medesimo articolo, fatte salve le esclusioni previste dal predetto comma 57, i trasferimenti statali a qualsiasi titolo operati a favore di detti enti sono ridotti in misura pari alle eccedenze di spesa risultanti dai conti consuntivi relativi agli esercizi 2005, 2006 e 2007. Gli enti interessati che non ricevono contributi a carico del bilancio dello Stato sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato, con imputazione al capo X, capitolo 2961, entro il 30 settembre rispettivamente degli anni 2006, 2007 e 2008, un importo pari alle eccedenze risultanti dai predetti conti consuntivi. Le amministrazioni vigilanti sono tenute a dare, rispettivamente, entro il 31 luglio degli anni 2006, 2007 e 2008, comunicazione delle predette eccedenze di spesa al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato».

    Osserva la ricorrente che tale norma impone anche agli enti che non hanno ricevuto contributi statali il versamento delle eccedenze di spesa risultanti dai consuntivi degli anni 2005, 2006 e 2007 entro il 30 settembre di ogni anno. Si tratterebbe di una disposizione irragionevole, dato che essa stabilisce il medesimo obbligo sia per gli enti che hanno ricevuto i contributi statali sia per quelli che non li hanno ricevuti. Siffatta disciplina, sottraendo risorse al bilancio dell’ente senza una base logica giustificativa, violerebbe la sfera di autonomia finanziaria e contabile riconosciuta alle Regioni e agli enti locali e sarebbe contraria al principio di buon andamento dell’azione amministrativa.

    Secondo la ricorrente, la norma in oggetto conterrebbe un precetto preciso (il versamento delle eccedenze di spesa, espressamente individuate, entro un termine stabilito), che richiede ai fini della propria concreta applicazione soltanto un’attività di materiale esecuzione. Non potrebbe quindi essere in alcun modo riconosciuta alla stessa la natura di norma di principio. Pertanto, l’art. 26 del decreto-legge impugnato violerebbe gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della...

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