Legittimità

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Arch. nuova proc. pen. 5/2012
Legittimità
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. VI, 5 GIUGNO 2012, N. 21840
(C.C. 24 MAGGIO 2012)
PRES. GARRIBBA – EST. GARRIBBA – P.M. VOLPE (DIFF.) – RIC. CAVA ED ALTRI
Indagini preliminari y Udienza preliminare y
Poteri del Gup y Eliminazione di aggravanti erro-
neamente contestate y Ammissibilità y Decreto di
citazione a giudizio y Declaratoria del giudice di-
battimentale di nullità e restituzione degli atti al
Gup y Abnormità.
. In tema di abnormità, posto che non può non ricono-
scersi al giudice dell’udienza preliminare il potere-
dovere di attribuire al fatto addebitato la sua corretta
qualif‌icazione giuridica, anche con la eliminazione, se
del caso, delle circostanze aggravanti che si ritengano
erroneamente contestate, deve riguardarsi come ab-
norme il provvedimento del giudice del dibattimento
che, investito del giudizio in ordine al reato depurato di
una circostanza aggravante, dichiari per questa ragione
la nullità del decreto di rinvio a giudizio e disponga la
restituzione degli atti al giudice dell’udienza prelimi-
nare. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 422; c.p.p., art. 423;
c.p.p., art. 552) (1)
(1) Cfr. Cass. pen., sez. VI, 19 dicembre 2007, Arrabino, in questa
Rivista 2008, 748, secondo cui è abnorme, e quindi ricorribile per
cassazione, il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento
dichiari la nullità del decreto che dispone il giudizio e ordini la tra-
smissione degli atti al G.u.p., a causa della mancata formale conte-
stazione di un’aggravante compiutamente descritta nel capo di im-
putazione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l. Con decreto del 13 ottobre 2010 il giudice dell’udien-
za preliminare del Tribunale di Napoli, esclusa la sussi-
stenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n.
152/1991, disponeva il rinvio a giudizio di Cava Biagio +
38 avanti al Tribunale di Avellino per rispondere dei reati
loro ascritti.
Il Tribunale di Avellino, avanti al quale la difesa de-
gli imputati eccepiva la violazione dell’art. 22 c.p.p., as-
sumendo che il giudice dell’udienza preliminare avrebbe
dovuto trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica
di Avellino, con ordinanza del 4 maggio 2011, ritenuto che
soltanto il giudice del dibattimento può sindacare la sussi-
stenza delle circostanze aggravanti contestate, dichiarava
la nullità assoluta ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett.
b), e 179, comma 1, c.p.p. del decreto che dispone il giudi-
zio e restituiva gli atti al giudice dell’udienza preliminare
del Tribunale di Napoli.
Contro l’anzidetta ordinanza ricorre la difesa di Cava
Biagio (e degli altri imputati) denunciandone l’abnormi-
tà, sull’assunto che il Tribunale avrebbe dovuto annullare
il decreto che dispone il giudizio non perché il giudice
dell’udienza preliminare non avesse il potere di esclude-
re l’aggravante speciale, bensì perché, una volta esclusa
l’aggravante che fondava la competenza funzionale del
tribunale distrettuale, avrebbe dovuto dichiararsi incom-
petente ai sensi dell’art. 22, comma 3, c.p.p. e quindi tra-
smettere gli atti al pubblico ministero presso il Tribunale
di Avellino.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.
Il controllo del giudice sul corretto esercizio dell’azio-
ne penale trova nella fase delle indagini preliminari il
suo punto culminante nella decisione di rinvio a giudizio,
che f‌issa il thema probandum, dopo avere verif‌icato che
l’imputazione contesti un fatto descritto con chiarezza e
precisione, riscontrabile negli atti processuali, supportato
da specif‌ici elementi di prova.
Infatti il giudice dell’udienza preliminare, nel momento
in cui riceve la richiesta di rinvio a giudizio, viene investito
della cognizione sull’imputazione e dei correlativi poteri di
decisione. Funzionali a tale scopo sono le disposizioni no-
vellate degli artt. 421 bis e 422 c.p.p., che attribuiscono al
giudice dell’u dienza preliminare poteri di iniziativa proba-
toria per rendere effettivo il principio di completezza delle
indagini ed evitare situazioni di stallo decisorio, nonché
le disposizioni dell’art. 423 c.p.p., che vogliono assicurare
il perfetto adeguamento dell’imputazione alle risultanze
processuali preesistenti e sopravvenute.
Il giudice dell’udienza preliminare, nell’esercizio del
potere di ius dicere, ha dunque il potere di apportare al
fatto contestato le integrazioni, precisazioni e riduzioni
che si rendono necessarie per descrivere con completezza
e precisione alla stregua degli elementi di prova allo stato
acquisiti il fatto storico oggetto dell’imputazione e, inol-
tre, di dare al fatto contestato una diversa qualif‌icazione
giuridica, riconducendo così la fattispecie concreta allo
schema legale che le è proprio in forza della valenza ge-
nerale della regola contenuta nell’art. 521, comma 1, c.p.p.
(cfr. Cass., Sez. un., n. 5307 del 20 dicembre 2007, Batti-
stella).
In particolare, approssimandosi al caso in esame, va
precisato che al giudice dell’udienza preliminare compete
sicuramente il potere di ridurre l’imputazione: può deru-
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bricare il reato da consumato a tentato, da complesso a
semplice, da aggravato a non aggravato, soddisfacendo
l’esigenza, immanente in ogni fase processuale, di assi-
curare la costante corrispondenza dell’imputazione alle
emergenze processuali (v. Corte cost. n. 88 del 1994; Cass.,
Sez. VI, n. 548 del 29 gennaio 1996, Verde, Rv. 204383).
In conclusione va affermato il principio che il giudice
dell’udienza preliminare, all’esito dell’udienza, nell’eser-
cizio del potere di cognizione attribuitogli dalla legge,
può escludere la sussistenza delle circostanze aggravanti
eventualmente contestate e disporre il rinvio a giudizio
per il reato semplice residuato.
È incorsa dunque in errore l’ordinanza impugnata,
che, per negare al giudice dell’udienza preliminare il po-
tere di escludere la circostanza aggravante, ha evocato il
principio dell’irretrattabilità dell’azione penale codif‌icato
nell’art. 50, comma 3, c.p.p.. Detto principio, infatti, non
riguarda il giudice, ma il pubblico ministero, il quale, una
volta iniziata l’azione penale, non può revocarla, ma deve
proseguirla f‌ino alla conclusione del processo segnata
dalla decisione irrevocabile del giudice.
Passando a trattare dell’aspetto patologico dell’ordi-
nanza in discorso, si rammenta che questa Corte Supre-
ma, con una decisione di self restraint, ha recentemente
precisato che non è abnorme il provvedimento emesso dal
giudice in assenza dei presupposti stabiliti dalla legge,
nell’esercizio di un potere attribuitogli dall’ordinamento,
che determini la regressione del procedimento, a meno
che “gli effetti di esso non siano tali da pregiudicare in
concreto lo sviluppo successivo del processo” (Sez. un., n.
25957 del 26 marzo 2009, Toni).
Nella fattispecie il giudice del dibattimento ha eser-
citato il potere di annullamento del decreto che dispone
il giudizio al di fuori delle ipotesi previste dalla legge
(v. artt. 178 e 429, comma 2, c.p.p.), determinando la
regressione del processo davanti al giudice dell’udienza
preliminare che, per adeguarsi alla decisione, sarebbe
stato illegittimamente vincolato a omettere la doverosa
verif‌ica dell’esatta corrispondenza tra elementi di prova
acquisiti e impu tazione contestata e, quindi, ad abdicare
all’autonomo esercizio della funzione giurisdizionale con
inammissibile lesione della propria prerogativa istituzio-
nale di ius dicere.
Si può dunque affermare che è abnorme il provvedi-
mento del giudice dibattimentale che, investito del giudi-
zio in ordine al reato depurato della circostanza aggravan-
te, dichiari la nullità del decreto che dispone il giudizio
e restituisca gli atti al giudice dell’udienza preliminare
sull’erroneo presupposto che detto giudice non abbia il
potere di sindacare la sussistenza delle circostanze ag-
gravanti contestate.
Orbene, dall’applicazione al caso in esame dei principi
di diritto testé enunciati, risulta evidente l’abnormità
dell’ordinanza impugnata che, muovendo dall’erronea opi-
nione che il giudice dell’udienza preliminare, nell’esclu-
dere l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991, avesse
travalicato il proprio potere di cognizione, ha annullato il
provvedimento di rinvio a giudizio. La ridetta ordinanza va
dunque cassata.
2.2. Resta da vedere se il giudice dell’udienza prelimi-
nare, una volta esclusa la nota circostanza aggravante,
doveva rinviare gli imputati a giudizio avanti al tribunale
di Avellino competente per materia e territorio (come ha
fatto) o trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il
menzionato tribunale (come sostengono i ricorrenti).
Va subito detto che la tesi sostenuta in ricorso è infon-
data, perché la disciplina prevista dall’art. 22 c.p.p. non si
applica al caso in esame.
Infatti nella fattispecie non si versa in un’ipotesi di-
sciplinata dall’art. 22 cit., giacché il giudice distrettuale,
osservando i criteri ordinari di competenza stabiliti dal-
l’art. 8 e segg., c.p.p., ha semplicemente disposto il rinvio a
giudizio, indicando - come previsto dall’art. 429, comma 1,
lett. e), c.p.p. - il giudice competente per il giudizio, senza
che fosse necessario pronunciare quella dichiarazione di
incompetenza che costituisce il presupposto indefettibile
per l’applicazione degli artt. 22, 23 e 24 c.p.p.. Si rammenta
solo che, in tema di reati previsti dall’art. 51, commi 3 bis e
3 quater, c.p.p., la competenza funzionale del giudice per
le indagini preliminari (e dell’udienza preliminare) cessa
nel momento in cui il procedimento passa dalla fase delle
indagini preliminari a quella del giudizio e subentra ope
legis la competenza ordinaria del tribunale circondariale.
Né si può pretendere che il giudice, modif‌icata all’esito
del giudizio l’imputazione, debba rivalutare retrospetti-
vamente la propria competenza alla stregua della nuova
formulazione del capo d’imputazione.
Infatti il potere-dovere del giudice di verif‌icare la
propria competenza si esercita preliminarmente, prima
che inizi il giudizio di merito, in base a una valutazione
condotta allo stato degli atti, che, per ragioni di economia
processuale, in osservanza del principio della c.d. per-
petuatio iurisdictionis, non deve essere ripetuta all’esito
delle risultanze processuali successivamente acquisite o
alla stregua dei sopravvenuti cambiamenti dell’imputa-
zione, che rilevano invece soltanto per l’individuazione
della competenza del giudice avanti al quale gli imputati
devono essere rinviati per il giudizio (v. Cass., Sez. VI, n.
33435 del 4 maggio 2006, Battistella, Rv. 234350; idem, n.
22426 del 22 aprile 2008, Sarandria, Rv. 240512).
Pertanto, in materia di procedimenti per i delitti indi-
cati dall’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., non è abnorme, ma
legittimo e valido il decreto con cui il giudice dell’udienza
preliminare distrettuale, dopo avere escluso la sussistenza
della circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991
(o dopo avere dichiarato non luogo a procedere per reati
elencati nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p.), dispone il rinvio
a giudizio davanti al tribunale territorialmente competen-
te secondo le regole ordinarie.
Nella fattispecie il giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Napoli è stato ab initio legittimamente inve-
stito del procedimento, perché l’imputazione riguardava
reati aggravati ex art. 7 d.l. n. 151/1991 commessi nel di-
stretto del quale Napoli è capoluogo, e il fatto che, al ter-
mine dell’udienza preliminare, abbia ritenuto di escludere

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