Legittimità

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Arch. loc. e cond. 3/2012
Legittimità
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
SEZ. II, 21 FEBBRAIO 2012, N. 2483
PRES. PICCIALLI – EST. CARRATO – P.M. DEL CORE (CONF.) – RIC. PANZINI ED
ALTRI (AVV.TI PETRONI, MICHETTI E GUARINO) C. SIMONETTI ED ALTRI
Uso della cosa comune y Modalità y Cause sca-
turenti in base a titolo differente dal rapporto di
condominio in senso proprio y Delimitazione.
. Nelle cause previste dall’art. 7, comma 3, n. 2, c.p.c.,
inerenti alle modalità di uso dei servizi e dei beni con-
dominiali, devono essere annoverate non solo quelle
che scaturiscono dal rapporto di condominio inteso in
senso proprio - e cioè quelle che insorgano tra il con-
dominio ed i singoli condòmini, ovvero fra i condòmini
-, ma anche quelle, con identico oggetto, che vengono
ad interessare soggetti diversi dai partecipanti alla col-
lettività condominiale e, pur tuttavia, legittimati, per
altro titolo (quale, ad esempio, la locazione di unità im-
mobiliari comprese nello stabile in condominio ovvero
l’esercizio di diritti di servitù sulle aree di pertinenza
condominiale, come nella specie), all’uso delle parti
comuni del condominio e dei servizi ad esso relativi.
(c.c., art. 1117; c.p.c., art. 7) (1)
(1) Cfr. Cass. civ., sez. II, 28 giugno 1995, n. 7295, in Giust. civ. Mass.
1995, fasc. 6, secondo cui la competenza del conciliatore sulle cause
relative alle modalità di uso dei servizi e dei beni condominiali si
estende non solo alle controversie tra i condòmini o tra il condominio
ed il condomino, ma anche a quelle che interessano soggetti diversi
dai partecipanti alla comunità condominiale, legittimati, per altro
titolo (quale, ad esempio, la locazione di unità immobiliari dell’edif‌i-
cio), all’uso delle parti o dei servizi comuni.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. Barboni Guido - sul presupposto di essere condo-
mino del fabbricato sito in Ancona, alla via Fanti n. 2/bis,
nonché dell’area antistante al fabbricato (individuato in
catasto al foglio 7 mappale 149) adibita a porticato e corte
prospiciente - conveniva in giudizio dinanzi al giudice di
pace di Ancona il condomino Panzini Giancarlo, nonché
Natalizi Sauro, Pierdicca Ido e Manzotti Cori Beatrice,
quali titolari di diritti di passaggio sull’area medesima,
chiedendo che venissero regolate le modalità d’uso della
corte con individuazione delle singole porzioni da destina-
re a parcheggio e ad operazioni di carico e scarico, poiché
il cortile veniva fatto oggetto di un uso non disciplinato con
notevoli disagi per i condòmini, anche sotto il prof‌ilo della
vivibilità delle abitazioni. Nella costituzione dei suddetti
convenuti, l’adito giudice di pace, con sentenza n. 492 del
2004, respingeva la domanda, accogliendo sia l’eccezione
di carenza di legittimazione proposta da Natalini Sauro,
Perdicca Ido e Manzotti Cori Beatrice che l’eccezione di
titolarità esclusiva della corte dedotta in controversia
avanzata dall’altro convenuto Panzini Giancarlo.
Interposto appello da parte del Barboni, nella resi-
stenza di tutti gli appellati, il Tribunale di Ancona, con
sentenza n. 1397 del 2009 (depositata il 23 ottobre 2009),
accoglieva il gravame e, in riforma dell’impugnata senten-
za, disponeva che l’uso dell’area per cui era causa doveva
avvenire secondo le modalità di cui all’allegato 5 della
consulenza tecnica di parte prodotta dal Barboni, redatta
il 19 gennaio 2009 ed acquisita agli atti, condannando gli
appellati, in solido fra loro, al pagamento delle spese del
doppio grado, oltre che di quelle occorse per la c.t.u.. A
sostegno dell’adottata sentenza il Tribunale marchigiano,
qualif‌icata la domanda originariamente proposta dal Bar-
boni come attinente alla materia delle modalità d’uso dei
servizi condominiali (ex art. 7, comma 3, n. 2, c.p.c.), da
riferire all’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1102
c.c., ne ravvisava la fondatezza sul presupposto della rico-
nosciuta titolarità “pro quota” dell’area in questione per
precedente giudicato opponibile anche al Panzini (quale
avente causa di Bevilacqua Mafalda) e della sussistenza
delle relative condizioni nel merito, in tal senso recepen-
do le indicazioni di apposita relazione tecnica prodotta in
appello dal Barboni con riguardo all’idonea sistemazione
delle singole aree adibite a parcheggio ed a zona di carico-
scarico.
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (non
notif‌icata) hanno proposto ricorso per cassazione Panzini
Giancarlo, Natalizi Sauro, Manzotti Beatrice Cori, nonché,
quali eredi di Pierdicca Ido, Penna Luisa, Pierdicca Paola
e Pierdicca Marco, articolato in sei motivi, al quale non
hanno resistito in questa sede gli eredi di Barboni Guido
(nelle more deceduto) Simonetti Filomena, Barboni Fa-
bio e Barboni Alberto (rappresentandosi che le dedotte
qualità di eredi erano comprovate dalla documentazione
prodotta ex art. 372 c.p.c.).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno censurato la
sentenza impugnata per assunta violazione e falsa appli-
cazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., avendo il giudice di
appello ravvisato l’ammissibilità della produzione delle
relazione tecnica di parte del Barboni Guido (sulla quale,
poi, lo stesso giudice aveva basato la sua sentenza), mal-
grado la stessa fosse intervenuta poco prima della cele-
brazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni.
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2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la
violazione degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c. riferita al do-
cumento denominato consulenza tecnica di parte, datato
19 gennaio 2009 a f‌irma dell’arch. Fabio Agostinelli, depo-
sitato in cancelleria il 20 gennaio 2009, prospettando l’ine-
sistenza del suddetto documento, non risultando allegato
agli atti del processo secondo le modalità di produzione
prescritte dalle richiamate disposizioni normative.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno denunciato la
violazione dell’art. 24 Cost., nonché la nullità dell’intero giu-
dizio e della sentenza impugnata, sulla scorta dell’irritualità
ed inammissibilità della sopravvenuta produzione del pre-
detto documento denominato relazione tecnica di parte.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno dedotto la
violazione dei principi del giusto processo e del contrad-
dittorio tra le parti in condizioni di parità di cui all’art.
111, commi 1 e 2, Cost., oltre che la nullità del procedi-
mento e della sentenza, alla stregua della stessa ragione di
doglianza prospettata con riferimento al terzo motivo.
4.1. I primi quattro motivi esposti possono essere trat-
tati congiuntamente siccome strettamente connessi. Essi
sono infondati e devono, perciò, essere rigettati.
Secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte
(cfr. Cass. n. 9441 del 1987; Cass. n. 5687 del 2001; Cass.
n. 20821 del 2006 e, da ultimo, Cass. n. 30610 del 2011)
la consulenza di parte non è un mezzo di prova ma vale
come semplice argomentazione difensiva e, come tale,
può essere prodotta anche dopo che si siano verif‌icate le
preclusioni istruttorie, alla stregua di una qualsiasi altra
allegazione difensiva (come, del resto, correttamente
ritenuto dal Tribunale di Ancona nella sentenza impugna-
ta: cfr. pag. 9). In altri termini (cfr., anche, Cass. n. 3405
del 1988), la consulenza tecnica di parte, costituendo
una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico,
priva di autonomo valore probatorio, può essere prodotta
sia da sola che nel contesto degli scritti difensivi e, nel
giudizio di appello celebrato con il rito ordinario, anche
dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni. Tale prin-
cipio, affermato sotto il previgente art. 345 c.p.c., risulta
applicabile anche in seguito alla sopravvenuta modif‌ica
(per effetto della legge n. 353 del 1990 e, poi, della legge
n. 69 del 2009) del terzo comma di detta norma, proprio
perché a tale allegazione, in quanto non equiparabile ad
un documento, non é estensibile la disciplina processuale
propria dei documenti, sia con riferimento alle modalità
di produzione che agli aspetti inerenti il regime delle pre-
clusioni e di necessaria valutazione di indispensabilità in
sede di gravame (secondo i principi dettati dalla sentenza
delle S.U. n. 8203 del 2005; in proposito v., da ultimo, Cass.
n. 12731 del 2011). Alla luce di ciò, quindi, non può rite-
nersi conf‌igurata alcuna delle violazioni prospettate con
le prime quattro doglianze, basate proprio sull’erroneo
presupposto dell’equiparazione della relazione tecnica di
parte ad un documento in senso stretto.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno prospettato il
vizio di omessa, insuff‌iciente o contraddittoria motivazio-
ne circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in
relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.), con riguardo all’esame
del “punto nodale della controversia” dell’eff‌icacia della
sentenza, passata in giudicato, pronunciata nella con-
troversia tra il Barboni Guido e la dante causa del Panzini
Giancarlo dal Pretore di Ancona il 13 febbraio 1976 con
riferimento alla individuazione della comproprietà ricono-
scibile in capo allo stesso Barboni.
5.1. Il motivo è inammissibile poiché con esso risulta
dedotto un vizio di motivazione, nel mentre, avuto riguardo
alla ragione di doglianza prospettata, sarebbe stato neces-
sario denunciare, semmai, il vizio di violazione di legge,
con riferimento all’art. 2909 c.c.. È risaputo, infatti, che il
giudicato va assimilato agli elementi normativi, cosicché
la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua
dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi
giuridici; ne consegue che gli eventuali errori interpreta-
tivi sono sindacabili solo sotto il prof‌ilo della violazione
di legge. In altre parole, costituendo, invero, l’interpreta-
zione del giudicato operata dal giudice del merito non un
apprezzamento di fatto ma una “questio iuris”, la stessa è
sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero prof‌ilo
del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della
violazione di legge, donde gli eventuali errori di valuta-
zione ermeneutica degli effetti e dei limiti del giudicato
rilevano quali errori di diritto (cfr. Cass., S.U., n. 24664 del
2007; Cass. n. 21200 del 2009 e Cass. n. 10537 del 2010).
6. Con il sesto motivo i ricorrenti hanno censurato la
sentenza oggetto del ricorso per violazione o falsa applica-
zione delle norme in materia di uso di cosa comune, consi-
derato che, rientrando l’instaurata controversia in quelle
riguardanti le modalità di uso dei servizi condominiali (ai
sensi dell’art. 7, comma 3, n. 2, c.p.c.), essa avrebbe potuto
essere estesa a soggetti non in rapporto di condominio,
inteso in senso proprio, a condizione che gli stessi aves-
sero esercitato sul bene condominiale un diritto identico a
quello del condomino, nel mentre essi ricorrenti (quali ap-
pellati) non avevano alcun interesse a partecipare ad una
causa riguardante i limiti qualitativi e quantitativi di eser-
cizio delle facoltà contenute nel diritto di comunione, non
potendo vantare alcun diritto condominiale assimilabile a
quello del partecipante alla comunità condominiale.
6.1. Anche quest’ultimo motivo è privo di pregio e deve,
quindi, essere respinto. Gli attuali ricorrenti sono stati ri-
tenuti dal Tribunale marchigiano, con motivazione logica
ed adeguata (e non specif‌icamente censurata) poggiante
anche sulla non contestazione degli stessi (quali originari
convenuti), titolari di altrettanti diritti di passaggio sul-
l’area di cortile in ordine alla regolamentazione del cui uso
era stata intentata l’azione in discorso (cfr., ai f‌ini della ri-
conducibilità dell’instaurata azione in quelle di cui all’art.
7, comma 3, n. 2, c.p.c., Cass. n. 2402 del 1999). Sulla scorta
di tale esatto presupposto lo stesso Tribunale ha ritenuto
che gli odierni ricorrenti fossero muniti di autonoma le-
gittimazione passiva in ordine all’azione esperita proprio
perché, in virtù dell’invocata regolamentazione dell’uso
della suddetta area, l’eventuale disciplina giudizialmente
imposta avrebbe inciso sul godimento del loro menzionato
diritto inerente il bene condominiale.

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