Sentenza nº 72 da Constitutional Court (Italy), 28 Marzo 2008

RelatoreAlfio Finocchiaro
Data di Resoluzione28 Marzo 2008
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 72

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco BILE Presidente

- Giovanni Maria FLICK Giudice

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005 n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di usura e di prescrizione), promossi con ordinanze del 24 marzo 2006 dalla Corte di appello di l’Aquila, del 20 dicembre 2006, del 10 gennaio e del 19 febbraio 2007 dalla Corte di appello di Roma e del 22 gennaio 2007 dalla Corte di appello di Palermo rispettivamente iscritte al n. 273 del registro ordinanze 2006 ed ai nn. 105, 106, 107, 347, 383 e 642 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2006 e nn. 12, 20, 21 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti l’atto di costituzione di Medici Giacomo nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 15 gennaio 2008 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi l’avvocato Fabrizio Lemme per Medici Giacomo e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. – Con ordinanza del 24 marzo 2006 (r.o. n. 273 del 2006), la Corte d’Appello di L’Aquila ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui esclude l’applicabilità della nuova disciplina della prescrizione nei processi pendenti dinanzi alla corte d’appello.

Afferma il rimettente che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, anche la durata della prescrizione rientra nella normativa disciplinata dal principio di retroattività della norma più favorevole di cui all’art. 2 del codice penale, e che la nuova disciplina della materia crea una disuguaglianza di trattamento non giustificabile, in quanto irragionevolmente rimessa a criteri di selezione assolutamente distonici rispetto alla ratio dell’istituto della prescrizione, quale permane anche dopo la novella del 2005.

Rileva il giudice a quo che, qualora si applicasse la nuova normativa, il reato per cui è processo dovrebbe essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione.

1.2. – Nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Secondo l’Avvocatura generale, la questione sarebbe inammissibile, perché dalla lettura dell’ordinanza di rimessione non sarebbe possibile ricostruire l’iter logico seguito dal giudice a quo per sostenere l’incompatibilità, con la ratio della prescrizione, dei criteri adottati dal legislatore per delimitare l’àmbito di operatività della nuova disciplina della prescrizione, introdotta dalla legge n. 251 del 2005.

Nel merito, la questione sarebbe infondata in quanto, ferma restando la necessità di rispettare il principio di retroattività della legge più favorevole al reo, il legislatore può graduare nel tempo e differenziare l’applicazione di nuovi e più favorevoli termini di prescrizione dei reati in relazione ai diversi stati e gradi dei procedimenti pendenti.

2.1. – Con tre distinte, ma sostanzialmente identiche, ordinanze del 20 dicembre 2006 (r.o. n. 105, n. 106 e n. 107 del 2007), la Corte d’Appello di Roma ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui esclude l’applicazione dei termini di prescrizione più brevi ai processi già pendenti in grado di appello alla data di entrata in vigore della medesima legge.

Con la prima di tali ordinanze, la rimettente fa presente di dover giudicare dell’appello di un imputato condannato dal giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Roma con sentenza dell’8 febbraio 2001 per il reato di cui agli artt. 453 e 455 cod. pen., commesso il 7 febbraio 2005.

Con la seconda, il giudice a quo espone di dover giudicare dell’appello di un imputato condannato dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma con sentenza 18 aprile 2000 (per il reato di cui all’art. 368 cod. pen., commesso il 9 aprile 1998), a séguito della sentenza della Corte di cassazione 30 settembre 2002, che ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma 25 ottobre 2001, con la quale è stata confermata la sentenza del giudice dell’udienza preliminare.

Con la terza, infine, la rimettente fa presente di dover giudicare dell’appello di un imputato condannato dal Tribunale di Chieti con sentenza 17 dicembre 1997 (per i reati di cui agli artt. 110, 61, numero 2, 423 cod. pen. e agli artt. 110, 56, 640, 61, numero 7, cod. pen., commessi il 29 novembre 1993), a séguito della sentenza della Corte di cassazione 28 gennaio 2005, che ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila 2 febbraio 2001, con la quale è stata confermata la sentenza del Tribunale di Chieti.

A sostegno della rilevanza della questione, il giudice a quo osserva, con identica motivazione nelle tre ordinanze, che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 157 e 161, secondo comma, cod. pen., come sostituiti dall’art. 6, commi 1 e 5, della legge n. 251 del 2005, il reato risulterebbe prescritto de plano, mentre, in virtù dell’art. 10, comma 3, della stessa legge, applicabile ai procedimenti de quibus, in quanto pendenti in appello alla data di entrata in vigore della legge medesima, il termine di prescrizione non si è ancora compiuto, dovendosi applicare la pregressa normativa, giusto il richiamo ad essa fatto dal comma censurato.

Ritiene, pertanto, la rimettente che la questione è rilevante ai fini della decisione in quanto, nel caso di applicazione della nuova disciplina ai processi de quibus, deriverebbe la pronuncia di sentenza di non doversi procedere per prescrizione, pronuncia di cui, invece, alla stregua della disciplina originaria, l’imputato non potrebbe usufruire.

La questione, inoltre, ad avviso del giudice a quo, non è manifestamente infondata, poiché la scelta di non rendere applicabile la disciplina della legge n. 251 del 2005 ai procedimenti pendenti in appello non appare sorretta da giustificazioni di ordine logico e giuridico né ispirata a finalità tali da giustificare il diverso trattamento riservato a diverse categorie di cittadini.

Afferma ancora lo stesso giudice che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 393 del 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2006, limitatamente alle parole «dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché», ritenendo non ragionevole la scelta del legislatore di non applicare la disciplina ai processi di primo grado già in corso, alla data di entrata in vigore della legge medesima. La Corte costituzionale, dopo aver rilevato che anche le norme sulla prescrizione costituiscono legge più favorevole, ha statuito che «lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza», in quanto, sebbene il principio della retroattività della lex mitior non sia costituzionalmente garantito, tuttavia lo stesso è sancito sia dalla normativa interna (art. 2 cod. pen.), per la quale la retroattività della legge più favorevole è la regola (salvo il giudicato), sia dalle norme internazionali (articolo 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, recante Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici) ed europee (Trattato sull’Unione Europea nel testo risultante dal Trattato sottoscritto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, ratificato e reso esecutivo con la legge 16 giugno 1998, n. 209, recante Ratifica ed esecuzione del trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione europea; decisioni della Corte di giustizia delle comunità europee, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000).

Conclude, infine, la rimettente, affermando che non risulta ragionevole non applicare la nuova disciplina della prescrizione ai processi già pendenti in appello, non essendo indicata la pendenza in appello tra gli atti interruttivi della prescrizione e dipendendo la pendenza stessa dalla data in cui il processo perviene presso il giudice ad quem, data che dipende a sua volta da una pluralità di fattori esterni (gli incombenti di cancelleria per la trasmissione del fascicolo) e non da attività puramente giurisdizionale, e che, inoltre, il fatto da giudicare nel processo d’appello, proprio per l’ulteriore decorso del termine rispetto a quello di primo grado, sarebbe connotato da minore allarme sociale e al contempo renderebbe più difficile l’esercizio del diritto di difesa.

2.2. Nei giudizi introdotti con le citate ordinanze di rimessione, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato, con tre...

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