Sentenza nº 36 da Constitutional Court (Italy), 23 Febbraio 2012

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione23 Febbraio 2012
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 36

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso QUARANTA Presidente

- Franco GALLO Giudice

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 7, primo comma, primo periodo, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, promosso dalla Corte di cassazione, sezione controversie di lavoro, nel procedimento vertente tra P.A.M. e l’INPS con ordinanza del 20 ottobre 2010, iscritta al n. 15 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di costituzione di P. A. M. e dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per P.A.M., Antonietta Corsetti per l’INPS e l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — La Corte di cassazione, sezione controversie di lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, primo comma, primo periodo, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini) convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, «nella parte in cui, in sede di computo del numero di contributi settimanali da accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso dell’anno solare al fine delle prestazioni pensionistiche, non prevede che la soglia minima di retribuzione utile per l’accredito del singolo contributo ivi prevista venga ricondotta al valore dell’ora lavorativa del lavoratore a tempo pieno e quindi rapportata al numero di ore settimanali del lavoratore a tempo parziale».

    1.1.— La rimettente premette che la signora P.A.M., invocando la disciplina di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155, e successive modificazioni, aveva chiesto, in data 17 dicembre 1996, all’Istituto nazionale della previdenza sociale (d’ora in avanti, INPS) l’indennità ordinaria di disoccupazione, essendo rimasta disoccupata a partire dal 4 dicembre del medesimo anno e avendo prestato attività lavorativa per nove ore settimanali nel biennio precedente fino al 4 dicembre 1996, per cinquantadue settimane nell’anno 1995 e per ventisei settimane nel 1996.

    L’ente aveva respinto la domanda, invocando per il calcolo dei contributi necessari per ottenere il beneficio richiesto (anzianità contributiva di almeno un anno nel biennio precedente la presentazione della domanda) l’art. 7, secondo comma, del d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983.

    Al riguardo, la parte privata aveva sostenuto una possibile interpretazione estensiva della disciplina di cui all’art. 1, comma 4, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, relativa alla previsione, per il calcolo della contribuzione previdenziale in caso di lavoro a tempo parziale, di un minimale retributivo orario, realizzato attraverso un meccanismo di riparametrazione della retribuzione minima giornaliera – prevista per il lavoro a tempo pieno – in base alla quantità di lavoro effettivamente prestato.

    A detta della ricorrente, tale criterio legale di riparametrazione su base oraria doveva estendersi al lavoro part-time anche in sede di determinazione della quantità di contributi settimanali utili per ottenere la prestazione previdenziale che, per il lavoro a tempo pieno, sarebbe stata limitata al caso in cui la retribuzione settimanale, su cui tali contributi erano calcolati, non fosse inferiore al 40 per cento dell’importo minimo del trattamento mensile di pensione a carico del Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti, ai sensi dell’art. 7, primo comma, del d.l. n. 463 del 1983, convertito dalla legge n. 638 del 1983. Diversamente opinando, la disciplina, come interpretata e applicata dall’INPS, essendo discriminatoria nei confronti dei lavoratori a tempo parziale, non si sarebbe sottratta a censure di illegittimità costituzionale.

    La Corte rimettente riferisce che la domanda proposta dall’interessata in sede giudiziaria era stata rigettata in entrambi i gradi di merito. In particolare, la Corte di appello di Bologna, con sentenza del 22 agosto 2006, aveva sottolineato come la disciplina di cui all’art.1, comma 4, del d.l. n. 338 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 389 del 1989, concernente il calcolo del minimale imponibile per la determinazione dei contributi dovuti dal datore di lavoro nel caso di lavoro a tempo parziale, fosse chiaramente estranea alla disciplina di cui all’art. 7 del d.l. n. 463 del 1983, correttamente applicata dall’INPS, disciplina relativa al sistema di accredito dei contributi utili per accedere alle prestazioni previdenziali.

    La Corte aggiunge che avverso la sentenza della Corte di appello la parte privata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 638 del 1983 e dell’art. 1, comma 4, della legge n. 389 del 1989, sostitutivo dell’art. 5, quinto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali).

    A sostegno dell’impugnazione, la ricorrente ha ribadito la propria tesi in ordine alla applicabilità dell’art. 7 della legge n. 638 del 1983 solo ai rapporti di lavoro a tempo pieno e alla possibile estensione, in via interpretativa, dell’art.1, comma 4, della legge n. 389 del 1989 anche al tema del calcolo dei contributi nel rapporto di lavoro a tempo parziale, non disciplinato specificamente all’epoca della legge del 1983.

    Con il secondo subordinato motivo la ricorrente ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del d.l. n. 463 del 1983, come interpretato dai giudici di merito, per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost.

    La Corte rimettente, ritenuto infondato il primo motivo del ricorso, quanto al secondo motivo svolge le seguenti considerazioni.

    Dopo avere riportato i commi primo, secondo, terzo e quarto dell’art. 7 del d.l. n. 463 del 1983, come convertito, la Corte di cassazione rileva che la disciplina in esame attiene sia al regime relativo al numero di contributi settimanali da accreditare ai fini dell’attribuzione delle prestazioni previdenziali ai lavoratori assicurati (prima parte del primo comma e secondo comma del citato art. 7), sia al regime attinente al limite minimo di retribuzione giornaliera imponibile ai fini della determinazione della misura dell’obbligazione contributiva (seconda parte del primo comma).

    La Corte sottolinea come, mentre il primo regime non è stato modificato fino all’epoca cui si riferiscono i fatti di causa (1995-1996), il secondo, fondato sulla regola della commisurazione della contribuzione dovuta ad un minimale retributivo giornaliero, è stato integrato con la previsione di un diverso criterio, valevole per i contratti a tempo parziale, ad opera dell’art. 5, quinto comma, del d.l. n. 726 del 1984, convertito in legge 19 dicembre 1984, n. 863, poi sostituito dall’art. 1, comma 4, del d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, in legge n. 389 del 1989, con la formulazione ripresa dall’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 (Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES).

    La rimettente ricorda che mentre, nella prima versione, il minimale retributivo giornaliero era stato sostituito, nel settore del lavoro a tempo parziale, da un minimale retributivo orario, rapportato ad un sesto di quello giornaliero di cui all’art. 7 del d.l. n. 463 del 1983, il legislatore del 1989 (poi ripreso da quello del 2001) ha sostituito l’art. 5, quinto comma, del d.l. n. 726 del 1984, convertito dalla legge n. 863 del 1984, con la formula: «La retribuzione minima oraria da...

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