Legittimità

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Rivista penale 1/2012
Legittimità
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 4 NOVEMBRE 2011, N. 40012
(UD. 22 SETTEMBRE 2011)
PRES. SQUASSONI – EST. AMORESANO – P.M. (CONF.) – RIC. P.G. IN PROC. N. R.
Atti contrari alla pubblica decenza y Nozione di
pubblica decenza y Condotta consistente nell’orina-
re in luogo pubblico y Sussistenza del reato.
. La condotta di orinare in luogo pubblico o esposto al
pubblico, indipendentemente dal fatto che i genitali
siano visibili oppure no, costituisce un atto contrario
alla pubblica decenza (c.p., art. 726), in quanto si
pone in spregio ai criteri di convivenza e di decoro che
debbono essere osservati nei rapporti tra i consociati,
provocando in questi ultimi disgusto o disapprovazione.
Né rileva, ai f‌ini della conf‌igurabilità del reato de quo la
circostanza che il gesto contrario alla pubblica decenza
sia stato effettivamente percepito, essendo suff‌iciente
che, per la condizione di luogo, esso possa essere per-
cepito. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 726) (1)
(1) Giurisprudenza conforme. Si veda Cass. pen. sez. III, 23 aprile
2010, Tassinari, in questa Rivista 2011, 442. In dottrina cfr. PICCINI-
NI SILVIA, Sulla nozione giurisprudenziale di pubblica decenza, in
Giur. it. 1994, 12, 849.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con sentenza in data 15 luglio 2010 il Giudice di
Pace di Pontremoli assolveva N. R. dal reato di cui all’art.
726 c.p. ascritto per insussistenza del fatto.
Dopo aver ricordato che all’imputato risultava conte-
stato di aver compiuto atti contrari alla pubblica decenza,
consistiti nell’orinare nei pressi della discoteca (omissis)
e quindi in luogo esposto al pubblico in modo percepibile
da terzi, assumeva il Giudice di pace che dall’istruttoria
dibattimentale era emerso che la condotta posta in essere
dal prevenuto non era stata neppure percepita dai presen-
ti, essendosi N. R. allontanato dall’ingresso della discoteca
dove numerosi ragazzi erano intenti a fare la f‌ila ed es-
sendo la zona poco illuminata.
Aggiungeva il Giudice di pace che l’atto andava valu-
tato nella sua portata complessiva, essendo ben diversa
la condotta di chi ostentatamente orina in pubblico in ore
diurne, da quella mossa da una impellente necessità di
soddisfare un bisogno f‌isiologico. Inoltre il N. R. riteneva,
secondo la dichiarazione resa ai Carabinieri, che il gesto
non fosse vietato.
2) Ricorre per cassazione il Procuratore Generale pres-
so la Corte di Appello di Genova per mancanza, contrad-
dittorietà e manifesta illogicità della motivazione, travisa-
mento della prova, inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale in relazione all’art.726 c.p..
A parte la evidente irrilevanza delle dichiarazioni rese
dal prevenuto ai Carabinieri, aver ritenuto che il gesto non
fosse vietato, il Giudice di pace, facendo riferimento alla
visibilità dei genitali, confonde il reato di cui all’art.726
c.p. con quello di cui all’art. 527 c.p.. Peraltro, la norma
di cui all’art. 726 c.p. non richiede che il gesto contrario
alla pubblica decenza sia stato effettivamente percepito,
essendo suff‌iciente che, per la condizione di luogo, esso
possa essere percepito. Inf‌ine dell’assoluta impellenza del
bisogno f‌isiologico e della impossibilità di farvi altrimenti
(ed altrove) fronte non vi è alcun riferimento in concreto
in sentenza.
3) Il ricorso è fondato.
3.1) Per giurisprudenza pacif‌ica di questa Corte, ri-
chiamata anche dal ricorrente, “sono atti contrari alla
pubblica decenza tutti quelli che in spregio ai criteri di
convivenza e di decoro che debbono essere osservati nei
rapporti tra i consociati, provocano in questi ultimi disgu-
sto o disapprovazione come l’orinare in luogo pubblico.
la norma dell’art. 726 c.p. esige che l’atto abbia effettiva-
mente offeso in qualcuno la pubblica decenza e neppure
che sia stato percepito da alcuno, quando si sia verif‌icata
la condizione di luogo, cioè la possibilità che qualcuno
potesse percepire l’atto” (cfr. ex multis Cass. pen., sez. V,
28 aprile 1986 n. 3254; Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 2005
n. 45284 e, più di recente, Cass. pen., sez. III, n. 15678 del
25 marzo 2010). Il reato in questione poi si differenzia da
quello di cui all’art. 527 c.p. in quanto la distinzione tra
gli atti osceni e gli atti contrari alla pubblica decenza va
individuata nel fatto che i primi offendono, in modo inten-
so e grave il pudore sessuale, suscitando nell’osservatore
sensazioni di disgusto oppure rappresentazioni o desideri
erotici, mentre i secondi ledono il normale sentimento di
costumatezza, generando fastidio e riprovazione” (Cass.
pen., sez. III n. 2447 del 14 marzo 1985).
È quindi irrilevante, sotto tale aspetto, che i genitali,
nella condotta di orinare in luogo pubblico o esposto al
pubblico, siano visibili oppure no.
3.1.1) Il Giudice di pace dà atto, nel riportare la te-
stimonianza del teste B., che davanti alla discoteca “erano
presenti altri ragazzi che attendevano per l’entrata ...”, “i
genitali erano visibili. La zona era in penombra ... il N. R.
era di schiena verso la discoteca però di prof‌ilo verso la f‌ila
dei ragazzi. Il gazebo era a circa tre metri dalla posizione
dove si trovava il N. R., i ragazzi non si sono lamentati con
noi e si sono accorti del fatto solo per la nostra presenza”.
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1/2012 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
Nel pervenire all’assoluzione dell’imputato il Giudice
di pace non spiega perché tali risultanze processuali non
consentano di ritenere che la condotta posta in essere
fosse percepibile dai presenti. Oppure, evidentemente,
ritiene, in contrasto con la pacif‌ica giurisprudenza sopra
riportata, che per la conf‌igurabilità del reato sia neces-
saria l’effettiva percezione o che l’atto abbia offeso in
qualcuno la pubblica decenza.
Né fa riferimento ad elementi concreti da cui desumere
che il bisogno f‌isiologico fosse impellente e non potesse
essere soddisfatto in luogo tale da non essere percepibile
a terzi.
La sentenza impugnata va pertanto annullata, con rinvio,
per nuovo esame, allo stesso Giudice di pace. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. V, 4 NOVEMBRE 2011, N. 39768
(UD. 13 MAGGIO 2011 N)
PRES. CALABRESE – EST. BEVERE – P.G. CEDRANGOLO (CONF.) – RIC. P.G. IN
PROC. X.
Ingiuria e diffamazione y Diffamazione y Conti-
nuata y Simultaneità della comunicazione a più per-
sone y Necessità y Esclusione y Intenzione e consa-
pevolezza di essere ascoltato da parte dell’autore
del reato y Suff‌icienza.
. Per il reato di diffamazione continuata non serve la si-
multaneità della comunicazione a più persone, né esi-
ste la necessità di capire chi abbia realmente ascoltato,
ma è suff‌iciente che chi manifesta il proprio pensiero
lo faccia con l’intenzione e la consapevolezza di essere
ascoltato. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 595) (1)
(1) Si vedano Cass. pen., sez. V, 25 febbraio 2011, Boerio, in Ius&Lex
dvd n. 6/11, ed. La Tribuna, e Cass. pen., sez. V, 20 febbraio 2001,
Stano, in questa Rivista 2001, 770, per le quali l’integrazione del
reato di diffamazione non richiede che la propalazione delle frasi
offensive venga posta in essere simultaneamente , potendo la stessa
aver luogo anche in momenti diversi, purché risulti comunque rivolta
a più soggetti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 26 marzo 2010, la corte di appello di Po-
tenza, in riforma della sentenza 12 novembre 2008 del tri-
bunale della stessa sede, ha assolto, ex art. 530 cpv c.p.p.,
X. dal reato di diffamazione continuata in danno di Y. La
X. medico in servizio presso l’ospedale di Potenza, respon-
sabile del settore in cui il querelante svolgeva mansioni di
operatore, è stata accusata di averne offeso la reputazione,
riferendo a più persone che il P. “è una persona pericolosa
e ha già violentato due ragazze ... vi è stato un tentativo di
violenza su una terza ... in passato ha compiuto abusi ses-
suali sui minorenni”.
La procura presso la corte di appello di Potenza ha
presentato ricorso per violazione di legge, in riferimento
all’art. 595 c.p. e per mancanza di motivazione.
Secondo il ricorrente, la corte territoriale ha omesso di
rilevare come tutte le testimonianze, unitariamente con-
siderate, conducano alla dimostrazione di una sistematica
ed intensa campagna di denigrazione nei confronti del P.
da inquadrare nell’animosità della donna, determinata
da una denunzia del P. agli organi superiori, per alcune
irregolarità nella gestione della struttura, attribuite alla
medesima.
La corte ha escluso il requisito della comunicazione
con più persone, senza tener conto:
a) che tale requisito sussiste, nel caso in cui l’agente,
rivolgendosi a una sola persona ad alta voce, abbia comun-
que comunicato con le altre presenti, in modo che perce-
piscano le sue affermazioni;
b) che per la sussistenza del requisito non è necessario
che la propalazione delle frasi offensive avvenga simulta-
neamente, potendo la stessa realizzarsi in più momenti,
nei confronti di più soggetti.
Il ricorso merita accoglimento.
I dati storicamente accertati indicano, che X., parlando
con la propria paziente Y. nel corso delle sedute di psicote-
rapia, l’aveva messa in guardia nei confronti del P. in quan-
to questi avrebbe abusato sessualmente di una ragazza.
Il teste Z., in servizio presso il medesimo centro sani-
tario della X., ha riferito che la dottoressa, ad alta voce, in
un corridoio dell’ospedale, in presenza di molte persone,
aveva affermato che il P. aveva violentato alcune ragazze e
aveva tentato di abusare sessualmente di un’altra.
La corte ha ritenuto che, in relazione a quanto riferito
dalla Y. mancava l’elemento della comunicazione con più
persone e in relazione a quanto riferito dal Z. questi non
aveva indicato alcuna delle persone presenti all’episodio.
La sentenza impugnata è erronea, in quanto, secondo
un condivisibile orientamento interpretativo, il requisito
della comunicazione con una pluralità di persone sussiste,
sotto più prof‌ili:
a) se la diffusione tra più persone delle notizie e delle
valutazioni sia avvenuta anche non simultaneamente
(Cass. pen., sez. V, n. 31728 del 16 giugno 2004);
b) se la comunicazione lesiva sia avvenuta a voce alta,
tanto da poter essere sentita dalle persone presenti nel
luogo e nel momento della esternazione (nel caso in esa-
me, nel corridoio dell’ospedale, percorso in quel momento
da operatori, infermieri, medici e pazienti (Cass. pen., sez.
V. n. 36602 del 15 luglio 2010, rv 248431; Cass. pen., sez. V,
n. 10263 del 6 ottobre 1981, rv 150986).
L’esame dei potenziali ascoltatori delle indimostrate
gesta del P. non costituisce alcuna ineludibile esigenza
istruttoria, trattandosi di reato, unanimemente ritenuto di
pericolo, la cui consumazione non necessita dell’effettiva
percezione delle dichiarazioni offensive,essendo suff‌icien-
te che l’imputato abbia manifestato il proprio pensiero
con la consapevolezza e con la volontà che questo venga
a conoscenza di altri.
La sentenza va quindi annullata con rinvio per nuovo
esame alla corte di appello di Salerno. (Omissis)
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Rivista penale 1/2012
LEGITTIMITÀ
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 18 OTTOBRE 2011, N. 37516
(UD. 13 LUGLIO 2011)
PRES. DE MAIO – EST. ANDRONIO – P.M. (CONF.) – RIC. X.
Misure cautelari reali y Sequestro preventivo y
Oggetto y Immobile locato adibito ad attività di pro-
stituzione y Legittimità del sequestro y Condizioni y
Individuazione.
. Il sequestro di un immobile locato a scopo di eser-
cizio di una casa di prostituzione è legittimo allorché
l’immobile appaia specif‌icamente, organicamente e
stabilmente strumentale rispetto all’attività illecita.
Nel caso di specie sono da ritenersi sussistenti sia il
“fumus commissi delicti” che il “periculum in mora” le-
gittimanti il sequestro preventivo, in presenza delle se-
guenti circostanze: immobile locato adibito ad attività
di prostituzione; pagamento del canone di locazione in
contanti, ritirato personalmente dal proprietario senza
il rilascio di alcuna ricevuta; formazione di un falso con-
tratto di locazione dal quale l’immobile risultava locato
ad un soggetto f‌ittizio e, sotto il prof‌ilo del periculum
in mora, protratta destinazione, in modo continuativo
e per diversi mesi, dell’immobile all’attività di prosti-
tuzione. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 321; l. 20 febbraio
1958, n. 75, art. 3) (1)
(1) Conformi, in punto di diritto, Cass. pen. sez. III, 23 ottobre 2007,
Busca, in Ius&Lex dvd n. 6/11, ed. La Tribuna e Cass. pen., sez. III, 2
febbraio 2001, Giorgetti, in Studium Juris 2001, 726.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con ordinanza del 30 novembre 2010, il Tribunale
di Milano, in sede di riesame, ha confermato il decreto del
GIP dello stesso Tribunale del 2 novembre 2010, con cui
è stato disposto il sequestro preventivo di un immobile di
proprietà dell’odierno ricorrente, in relazione al reato di
favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, che
si sarebbe svolto nell’immobile stesso.
2. - Avverso tale decisione, il destinatario del sequestro
ha proposto ricorso in cassazione, prospettando, quale
unico motivo di impugnazione, la violazione dell’art. 321
c.p.p., per difetto dei presupposti legittimanti l’adozione
del sequestro. Il ricorrente rileva, in particolare, l’inade-
guatezza della motivazione del provvedimento impugnato:
quanto al fumus commissi delicti, perché le circostanze
dello svolgimento nell’immobile dell’attività di prostitu-
zione, del pagamento del canone di locazione in contanti
e della formazione «di un falso certif‌icato di cessione
del fabbricato», accertate dai carabinieri, non sarebbero
elementi suff‌icienti; quanto al periculum in mora, perché
non vi sarebbe idonea motivazione circa la concretezza e
attualità dello stesso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3.- Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Sotto l’apparenza della violazione di legge, il ricorrente
denuncia, in sostanza, la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in relazione ai pre-
supposti del sequestro.
Deve rilevarsi che, quanto al fumus commissi delicti, il
Tribunale ha evidenziato che lo stesso sussiste, sulla base
di circostanze direttamente accertate dai carabinieri e, so-
stanzialmente, non contestate dallo stesso ricorrente: a) lo
svolgimento nell’immobile dell’attività di prostituzione; b)
il pagamento del canone di locazione in contanti, ritirato
personalmente dal proprietario senza il rilascio di alcuna
ricevuta; c) la formazione, attraverso l’interposizione del
coindagato X., di un falso contratto di locazione dal quale
l’immobile risultava locato ad un soggetto f‌ittizio, tale Y.
Quanto al periculum in mora, consistente nell’esigenza
di evitare l’aggravamento delle conseguenze del reato,
l’ordinanza impugnata ne inferisce la sussistenza dalla
circostanza che l’appartamento sequestrato era ormai da
diversi mesi in modo continuativo utilizzato per la prosti-
tuzione; circostanza che conf‌igura una protratta e illecita
destinazione del bene.
A fronte di una siffatta motivazione - la quale appare
del tutto completa e coerente, perché prende in conside-
razione analiticamente tutti i prof‌ili rilevanti del quadro
probatorio emerso dalle indagini e ne fa logicamente con-
seguire la sussistenza dei presupposti del disposto seque-
stro - le censure del ricorrente si esauriscono nella richie-
sta di riesame del materiale probatorio; riesame precluso
in sede di legittimità.
4. - Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. I, 12 OTTOBRE 2011, N. 36779
(UD. 27 SETTEMBRE 2011)
PRES. CHIEFFI – EST. IANNELLI – P.M. (CONF.) – RIC. B.A. ED ALTRO
Molestia o disturbo alle persone y Estremi y In-
strumentum della contravvenzione y Trasmissione
di messaggi di posta elettronica (sms) pubblicitari
y Insussistenza del reato.
. È da escludere la conf‌igurabilità del reato di cui al-
l’art. 660 c.p. nel caso di messaggi di posta elettronica
non accompagnati da segnalazione acustica ma diretti
soltanto ad un indirizzo di posta elettronica per cui il
destinatario possa averne cognizione soltanto previa
apertura, sul suo “computer”, della relativa casella.
(Mass. Redaz.) (c.p., art. 660)
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 - Con atto di impugnazione congiunto, presentato alla
corte di appello di Firenze e da questa qualif‌icato come
ricorso per cassazione, B. A. e F. P. contestavano la senten-
za 4 febbraio /3 maggio 2010 del tribunale di Grosseto in
composizione monocratica che condannava ciascuno alla
pena di euro 300,00 di ammenda - interamente condonata
- per averli riconosciuti colpevoli del delitto di molestia o

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