Legittimità

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. UN., 22 SETTEMBRE 2011, N. 34476 (C.C. 23 GIUGNO 2011)

Pres. Lupo – est. Sandrelli – p.m. Martusciello (diff.) – ric. P.m. In proc. Deloitte & touche s.p.a.

Società y Reati societari y Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione y Abrogazione e riformulazione dell’art. 174 bis T.U.F. y Successione di norme nel tempo y Conseguenza.

Il D.L.vo 27 gennaio 2010, n. 39, nell’abrogare e riformulare il contenuto precettivo dell’art. 174 bis T.U.F. (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione), non ha influenzato in alcun modo la disciplina propria della responsabilità amministrativa da reato dettata dall’art. 25 ter D.L.vo n. 231 del 2001, poiché le relative fattispecie non sono richiamate da questo testo normativo e non possono conseguentemente costituire fondamento di siffatta responsabilità. (Mass. Redaz.) (c.c., art. 2624; d.l.vo 24 febbraio 1998, n. 58, art. 174 bis; d.l.vo 8 giugno 2001, n. 231, art. 25 ter) (1)

(1) La sentenza delle SS.UU. del 16 giugno 2003, Giordano, citata in motivazione, è pubblicata per esteso in questa Rivista 2003, 700 ed ivi 2004, 720, con nota di commento di N. GHIZZARDI. Per la consul- tazione normativa si consiglia, E. BELLEZZA, Codice delle società, ed. La Tribuna, Piacenza 2011.

Svolgimento del processo

  1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano promosse azione penale nei confronti di Riccardo Azzali, quale colpevole del delitto di falsità nella revisione legale, fatto commesso nella sua veste di responsabile della revisione di Banca Italease S.p.a. nonché di socio di Deloitte & Touche S.p.a., società incaricata della revisione di Banca Italease S.p.a.

    Contestualmente il Pubblico Ministero promosse azione nei confronti della società di revisione Deloitte & Touche S.p.a., ai sensi del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, recante la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti per illeciti dipendenti da reato, che - all’art. 25 ter, comma 1, lett. g) - contempla quale «reato presupposto», fondativi della correlativa responsabilità amministrativa dell’ente (anche) il «delitto di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, previsto dall’art. 2624, secondo comma, del codice civile».

    Venne ascritto all’Azzali di avere, nella predetta qualità, attestato il falso sulla situazione patrimoniale e finanziaria della società oggetto di revisione contabile, nella consapevolezza del mendacio e con l’intenzione di inganno verso terzi, al fine di conseguire per sé o per altri ingiusto profitto. Il fatto è temporalmente collocato al 30 marzo 2007.

    Contestata all’ente la violazione del citato art. 2624, commi primo e secondo, c.c., a mente dell’art. 59 D.L.vo n. 231 del 2001, il Pubblico Ministero avviò le indagini preliminari, che si conclusero il 16 novembre 2009: successivamente rettificò la contestazione richiamando l’art. 174 bis D.L.vo 24 febbraio 1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, T.U.F.), in ragione dell’ammissione di Banca Italease alla quotazione del suo capitale in Borsa. Nel corso dell’udienza preliminare, il Pubblico Ministero precisò l’accusa (con deposito del formale atto di variazione al 19 luglio 2010) mediante il richiamo all’art. 174 bis, commi 1 e 2, T.U.F., come sostituito dall’art. 27, commi 1, 2 e 4, D.L.vo n. 39 del 2010, poiché nel frattempo (in data 7 aprile 2010) era entrata in vigore la nuova disciplina che aveva abrogato sia l’art. 2624 c.c. (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione) sia l’art. 174 bis T.U.F. (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione di società con azioni quotate o da queste controllate o che emettono strumenti finanziari diffusi tra il pubblico), disposizioni sostituite da nuove norme, incidenti sulla medesima materia ed assai prossime nella lettera a quelle abrogate.

    Tuttavia, il G.u.p. del Tribunale di Milano non accolse la richiesta di rinvio a giudizio e pronunciò sentenza di non luogo a procedere, decisione resa il 3 novembre 2010. Egli, infatti, non ritenne che la formulazione dell’addebito da parte del Pubblico Ministero potesse avere più vigenza nel nostro ordinamento, non essendo ammissibile che il richiamo all’art. 174 bis T.U.F. come quello all’art. 2624 c.c. fosse premessa idonea ad ascrivere la “responsabilità amministrativa” dell’ente, non trovando più collocazione nel paradigma rappresentato dal catalogo dei reati previsti dall’art. 25 ter D.L.vo n. 231 del 2001, premessa indefettibile (in ragione del vigente principio di legalità) per poter ravvisare il transfert della responsabilità in capo alla persona fisica, autore dell’illecito, all’ente nel cui interesse o vantaggio egli ebbe ad agire. La decisione del G.u.p. rimarcò, inoltre, che l’art. 174 bis T.U.F. non era mai stato contemplato in siffatto novero e non poteva essere richiamato a fondamento della speciale causa di responsabilità para-penale. In altre parole, la mancata integrazione, da parte del legislatore riformatore, dell’art. 25 ter risultava di ostacolo ad ogni possibile interpretazione estensiva o integrativa del predetto incriminatore al proposito.

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    Osservazioni che la sentenza svolse, ovviamente, soltanto per il versante della responsabilità amministrativa della società di revisione e, cioè, per l’oggetto dell’azione rivolta nei confronti di Deloitte & Touche S.p.a., mentre diversamente il giudice opinò sul piano della responsabilità penale dell’imputato Azzali, che venne rinviato a giudizio: dal che è lecito, quindi, dedurre che venne riconosciuta, per il piano strettamente penalistico, la continuità normativa tra la vecchia norma incriminatrice e la nuova disposizione - art. 27 D.L.vo n. 39 del 2010 - e, conseguentemente, a questi fini, venne ritenuta inalterata la permanenza del divieto portato dalla “vecchia” disposizione al codice civile.

  2. Tale conclusione non è stata condivisa dal Pubblico Ministero che, con tempestivo ricorso per cassazione (datato 9 dicembre 2010), articolato in un unico motivo, ha sottolineato l’aspetto della continuità della disciplina di nuovo conio con quella soltanto formalmente abrogata, ma, sostanzialmente, ancora vigente, anche se nel contesto di un diverso provvedimento normativo. Ha escluso, al contempo, effettiva rilevanza dell’abrogazione dell’art. 2624 c.c., per quanto attiene alla peculiare responsabilità degli enti, poiché essa non si è mai tradotta nell’eliminazione né della fattispecie o della sua rilevanza penale né del rapporto che lega questa al suo autore. Infatti, la formulazione del nuovo art. 27 D.L.vo n. 39 del 2010, secondo il ricorrente, ripropone - nella sostanza - il medesimo precetto della norma del codice civile, ora abrogata.

    Il fatto, poi, che il legislatore abbia omesso di formal- mente provvedere all’aggiornamento del catalogo dei “reati-presupposto” (con una nuova formulazione dell’art. 25 ter D.L.vo n. 231 del 2001) riesce, per il ricorrente, indifferente ai fini del complessivo quadro che regola la responsabilità ex delicto dell’ente, non coinvolgendo la previsione dell’art. 3 D.L.vo n. 231 del 2001.

  3. Sono state depositate memorie difensive, alle date del 15 febbraio 2011 e 31 maggio 2011, dirette a sostenere le conclusioni del G.u.p. milanese.

    Esse sottolineano, richiamandosi al contenuto della successiva e definitiva contestazione mossa dalla pubblica accusa (l’art. 174 bis T.U.F.), come l’elenco dei reatipresupposto contenuto nell’art. 25 ter D.L.vo n. 231 del 2001 si riferisce esplicitamente ai «reati previsti dal co- dice civile», onde non è possibile estendere, fuori da quel perimetro, il catalogo dei casi forieri della responsabilità dell’ente, mediante un rinvio ermeneutico c.c. “mobile”. Inoltre, nella seconda memoria, si rimarca che il reato di cui all’art. 174 bis, proprio della società c.d. “aperte”, non è mai stato proprio di questo elenco, sicché anche prima della riforma non sarebbe stato possibile configurare detta condotta a carico dell’ente Deloitte & Touche: diversamente opinando si verrebbe a creare una fattispecie incriminatrice sconosciuta al legislatore; un’operazione che suppone un percorso analogico in malam partem, vietato all’interprete. La memoria conclude nel senso che il legislatore, non per sbadataggine, ma consapevolmente, ha voluto eliminare dalla nuova disciplina dei revisori la responsabilità ex D.L.vo n. 231 del 2001.

  4. Con ordinanza in data 21 febbraio 2011, la Quinta Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.

    Nella ordinanza si fa riferimento sia all’insegnamento discendente da sez. un., n. 25887, 26 marzo 2003, Giordano, che, decidendo in materia di successione di leggi nel tempo, ha escluso la sopravvivenza di norme di cui sia stata operata l’abrogazione, senza novazione alcuna, sia ad altri precedenti di legittimità in relazione al mancato richiamo da parte dell’art. 223, commi primo e secondo, L. fall. (bancarotta societaria) alla fattispecie di cui all’art. 2623 c.c.

    Ma si sottolinea come la tesi del giudice milanese - pur confortata da concorde dottrina - determina un vuoto repressivo nella più delicata materia incidente sul risparmio diffuso, ove maggiore è la necessità di fedeltà informativa.

    Sicchè si conclude prospettandosi la plausibilità della tesi di un rinvio “mobile” nella lettura del catalogo dei reati dettato dall’art. 25 ter D.L.vo n. 231 del 2001.

  5. Il Primo Presidente, con decreto del 18 marzo 2011, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone la trattazione alla odierna udienza.

    Motivi della decisione

  6. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: «se permanga la responsabilità del reato dell’ente in riferimento ai fatti criminosi di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione dopo la formale abrogazione dell’art. 2624, comma secondo, c.c., il cui...

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