Legittimità

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. I, 31 AGOSTO 2011, N. 32934 (UD. 11 LUGLIO 2011)

PRES. GIORDANO – EST. CAVALLO – P.M. GALATI (CONF.) – RIC. B.S.

Sicurezza pubblica y Stranieri y Straniero privo del permesso di soggiorno y Assunzione da parte del datore di lavoro y Mancata verifica della regolarità del soggiorno dello straniero y Riferimento alle dichiarazioni del lavoratore y Buona fede del datore di lavoro y Esclusione y Responsabilità penale y Sussistenza.

Va affermata la responsabilità del datore di lavoro che assuma alle proprie dipendenze un lavoratore extracomunitario fidandosi delle assicurazioni verbali del cittadino extracomunitario in merito alla regolarità della sua permanenza nel territorio dello Stato, senza pretendere l’esibizione del prescritto permesso di soggiorno. (Mass. Redaz.) (l. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22) (1)

(1) Sostanzialmente conforme Cass. pen., sez. I, 13 novembre 2006, Grimaldi, in questa Rivista 2007, 819.

Svolgimento del processo

  1. B. S. titolare di un’impresa edile, ha proposto ricorso per Cassazione, per il tramite del suo difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 18 giugno 2010, la quale ha confermato quella del Tribunale della sede in data 20 ottobre 2008, che ne aveva affermato la penale responsabilità in relazione all’assunzione alle proprie dipendenze di due lavoratori stranieri, di nazionalità rumena, privi del permesso di soggiorno; fatto accertato in Torino il 20 settembre 2006.

    1.1 A sostegno dell’impugnazione in ricorso si denunzia, in primo luogo, erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione, relativamente all’affermazione di penale responsabilità del B. S. da parte dei giudici di appello, avuto riguardo alla ritenuta sussistenza sia dell’elemento psicologico che di quello materiale del reato contestato (art. 22 comma 12, D.L.vo n. 286/1998).

    Al riguardo, nel premettere che in tema di elemento soggettivo delle contravvenzioni, non è sufficiente la mera coscienza e volontà dell’azione o dell’omissione, non sussistendo una presunzione iuris tantum di colpevolezza, da parte del ricorrente si sostiene che i giudici di appello hanno rigettato le deduzioni svolte dalla difesa sul punto con argomentazioni incongrue, avendo per un verso, rico- nosciuto la buona fede dell’imputato, il quale aveva dato credito alle rassicurazioni fornite dai lavoratori assunti in merito alla «regolarità» della loro presenza sul territorio italiano, salvo poi ritenere in ogni caso integrata la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, per avere l’imputato colpevolmente omesso di verificare, prima dell’assunzione, l’effettivo rilascio del permesso di soggiorno.

    Quanto poi all’elemento materiale del reato, da parte del ricorrente si sostiene che i giudici di appello, disattendendo le deduzioni svolte nell’atto di appello che segnalavano l’assenza di elementi di prova certa relativamente alla irregolarità della presenza in Italia dei lavoratori assunti, incongruamente avevano valorizzato le dichiarazioni del «teste verbalizzante», posto che lo stesso si era limitato a riferire quanto appreso dalla questura, laddove in atti non era possibile rinvenire alcuna informativa che attestasse lo stato di clandestinità dei lavoratori, deponendo anzi in senso contrario la circostanza che successivamente al fatto i due lavoratori extracomunitari, lungi dall’essere espulsi dal territorio dello Stato, erano stati regolarmente assunti dal B. S..1.2 In subordine da parte del ricorrente si deduce che il reato contestato è comunque estinto per prescrizione.

    Motivi della decisione

  2. L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

    1.1 Quanto al primo motivo d’impugnazione, le censure sviluppate in ricorso con riferimento all’affermazione di responsabilità del ricorrente, nelle loro poliformi articolazioni, si risolvono, in vero, nella sostanziale riproposizione in sede di legittimità, di deduzioni in fatto e in diritto, già esaminate e valutate dai giudici di appello, i quali, con motivazione congrua ed esente da vizi logici o giuridici, ne avevano rimarcato l’infondatezza, evidenziando, quanto all’elemento soggettivo del reato, all’epoca di natura contravvenzionale, come l’imputato non potesse fondatamente invocare la sua buona fede, visto che egli si era «fidato di assicurazioni verbali dei due soggetti assunti senza pretendere l’esibizione del prescritto permesso di soggiorno», con ciò implicitamente uniformandosi, per altro, all’insegnamento di questa Corte (Sez. I, Sentenza n. 37409 del 25 ottobre 2006, dep. il 13 novembre /2006, Rv. 235083, imp. Grimaldi), secondo cui «la responsabilità del datore di lavoro che assume alle proprie dipendenze uno straniero privo del permesso di soggiorno non è esclusa dalla buona fede invocata per aver preso visione della richiesta di permesso di soggiorno avanzata dallo straniero»; eventualità questa, peraltro, neppure mai evocata dal B. S., ritenuto

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    colpevole non già in forza di presunzioni ma a ragione della circostanza in fatto, assolutamente pacifica, che l’imputato non aveva effettuato alcuna verifica in merito alle interessate dichiarazioni dei lavoratori relativamente alla regolarità della loro permanenza nel territorio dello Stato.

    Quanto poi all’elemento materiale del reato, incontestato il fatto storico dell’avvenuta assunzione da parte del B. S. dei lavoratori extracomunitari, è agevole rilevare che la circostanza che i predetti, al momento dell’assunzione, fossero effettivamente privi di regolare permesso di soggiorno, è stata desunta dai giudici di merito dalla deposizione di un teste qualificato, che ha riferito in merito agli accertamenti effettuati presso la questura di Torino, la quale non risulta contrastata da allegazioni documentarie di segno contrario, posto che l’avvenuta regolarizzazione della posizione dei lavoratori stranieri successivamente all’accertamento dell’illecito, anche a seguito dell’adesione della Romania all’Unione Europea, come correttamente rilevato dai giudici di appello, rappresenta un dato di per sé inconferente non escludendo esso la sussistenza della condotta antigiuridica dell’imputato né la punibilità del reato a lui contestato (in termini S. U., sentenza n. 2451, del 27 settembre 2007, dep. il 16 gennaio 2008, Rv. 238197, imp. Magera).

    1.2 Manifestamente infondata deve ritenersi anche l’eccezione di prescrizione, ove si consideri che la condotta contestata all’imputato risulta accertata il 20 settembre 2006 e che la sentenza impugnata è stata pronunciata il 18 giugno 2010, prima quindi dello spirare del termine di prescrizione di anni quattro, e ciò a prescindere dall’esistenza di fatti interruttivi o cause di sospensione, con la conseguenza che l’inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, in ogni caso, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (così ex multis, Cass., sez. un., sentenza n. 32 del 22 novembre 2000, dep. il 21 dicembre 2000, Rv. 217266, ric. De Luca).

  3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per legge del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), di una somma, congruamente determinabile in € 1000,00. (Omissis)

    CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. III, 27 LUGLIO 2011, N. 29973 (UD. 21 GIUGNO 2011)

    PRES. PETTI – EST. FRANCO – P.M. FODARONI (DIFF.) – RIC. R.I.

    Inquinamento y Rifiuti y Smaltimento y Trasporto di rifiuti pericolosi y Assenza del formulario di identificazione dei rifiuti od indicazione di dati incompleti o inesatti y Introduzione del Sistri y Depenalizzazione y Limiti.

    Il trasporto di rifiuti pericolosi senza il formulario di identificazione dei rifiuti o con formulario che riporti dati incompleti o inesatti, previsto come delitto dall’art. 258, comma quarto, del D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152 nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dal D.L.vo 3 dicembre 2010, n. 205, non è più previsto dalla legge come reato. (In motivazione la Corte ha precisato che la nuova fattispecie dell’art. 260-bis, comma settimo, del D.L.vo n. 152 del 2006, introdotta dal D.L.vo n. 205 del 2010, sanziona il trasporto di rifiuti pericolosi non accompagnato dalla copia cartacea della scheda SISTRI e non quello accompagnato dal F.I.R. o con un formulario con dati incompleti o inesatti). (Mass. Redaz.) (d.l.vo 3 aprile 2006, n. 152, art. 258; d.l.vo 3 aprile 2006, n. 152, art. 260 bis) (1)

    (1) Sentenza di assoluta novità.

    Svolgimento del processo

  4. R.I. venne tratto a giudizio per rispondere: a) del reato di cui all’art. 258, comma 4, e 259, comma 2, D.L.vo 3 aprile 2006, n. 152, e 483 cod. pen. perchè, quale legale rappresentante della s.r.l. F.lli R. e quale responsabile tecnico, effettuava il trasporto di due vetture incidentate destinate alla demolizione in assenza di formulario; b) del reato di cui all’art. 712 cod. pen. perchè senza accertare la legittima provenienza acquistava una delle due suddette autovetture proveniente dal delitto di appropriazione indebita con il sospetto della illecita provenienza derivante dalla mancanza del certificato di proprietà del veicolo.

  5. Il tribunale di Trento, con sentenza emessa il 3 marzo 2009, assolse il R.I. dai reati contestati per non aver commesso il fatto.

  6. A seguito di appello del pubblico ministero, la corte d’appello di Trento, con la sentenza in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò il R.I. colpevole dei reati ascrittigli, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia e con la confisca dell’autocarro Iveco.

  7. L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

    1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della...

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