Legittimità

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. III, 20 LUGLIO 2011, N. 28927 (UD. 18 MAGGIO 2011)

PRES. FERRUA – EST. MULLIRI – P.M. (CONF.) – RIC. P.G. IN PROC. P.

Edilizia e urbanistica y licenza e concessione edilizia y opere soggette y trasformazione di balcone in veranda y necessità di concessione edilizia y sussistenza y fattispecie.

La trasformazione di un balcone in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, costituisce opera soggetta a regime concessorio. (Nel caso di specie due coniugi avevano trasformato, in assenza di autorizzazione e con una struttura creata con alluminio anodizzato e vetro, il loro balcone in veranda al fine di farne un vano lavanderia). (d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3; d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44) (1)

(1) Giurisprudenza consolidata. In senso conforme alla massima in epigrafe si vedano i precedenti richiamati in parte motiva.

Svolgimento del processo

Provvedimento impugnato e motivi del ricorso Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello ha riformato la condanna di primo grado, assolvendo gli imputati (i coniugi P.) dall’accusa di avere violato l’art. 44 d.p.r. 380/01 realizzando una veranda su un balcone del loro appartamento.

Avverso tale decisione, ha proposto ricorso il P G. deducendo:

1) violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione perché la ragione su cui si fonda la esclusione della sussistenza di una veranda é stata individuata nel fatto che, alla struttura creata con alluminio anodizzato e vetro nella porzione terminale del balcone, si accedeva dal balcone stesso e non dall’appartamento sì che si era in presenza di una sorta di box armadio per riporvi la lavatrice.

Osserva il ricorrente che, indipendentemente dalle dimensioni limitate, la costruzione realizzata senza permesso dagli imputati costituiva un oggettivo aumento di volumetria. Si citano, a conforto, varie decisioni di questa stessa sezione (nn. 35011/07 e 1758/95) in base alle quali la veranda non necessita di concessione edilizia solo quando adempia esclusivamente alla funzione di riparare dagli agenti atmosferici.

La motivazione della Corte é altresì contraddittoria nella parte in cui esclude finalità abitative quasi che per gli occupanti dell’abitazione non fosse necessario accede- re al vano per sbrigare le faccende domestiche connesse con la pulizia dei panni.

Si cita, da ultimo, anche la decisione n. 3160/02 che ribadisce come l’attività di trasformazione di balcone veranda mediante telai ed altri strumenti idonei ad intercludere stabilmente uno spazio libero non dà luogo a pertinenza ma, “ove assolva a permanenti finalità abitative, costituisce ampliamento del fabbricato e, come tale, integrante, in difetto di autorizzazione, il reato di cui all’art. 20 L. n. 47/85.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Questa S.C. come rileva giustamente il ricorrente, è costante nell’affermare che “la veranda è da considerare in senso tecnico giuridico, una costruzione assoggettata al regime concessorio” (come ribadito di recente da Sez. III, 26 aprile 2007, Camarda, Rv. 237532).

Una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile (Sez. III, 10 gennaio 2008, lacono Ciulla. Rv. 239707).

L’unica deroga prevista è “per la chiusura di spazi limi

tati e che, comunque, non comportino una trasformazione del territorio”, eventualità chiaramente già esclusa dalla Corte, nel caso in esame, nel momento in cui ha richiamato l’attenzione sulle dimensioni dell’opera.

È stato anche detto che “l’attività di trasformazione di un balcone in veranda rappresenta un intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. e) d.p.r. n. 380/01, in quanto tali lavori ampliano il fabbricato al di fuori della sagoma preesistente” (sez. III. 28 ottobre 2004, D’Aurelio, Rv. 230419) con la conseguenza che la sua realizzazione in assenza di concessione edilizia integra (se non ricorre anche, come nella specie, la violazione paesaggistica) il reato di cui all’art 44 lett. b) d.p.r. citato.

Si intuisce, peraltro, che la decisione qui impugnata ha cercato di valorizzare la irrilevanza del fatto specifico ma è anche vero che, sul punto, la motivazione non risulta congrua.

Restano validi quindi tutti i rilievi fatti dal ricorrente e, per l’effetto, la decisione impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, per un nuovo esame alla luce dei rilievi fin qui mossi. (Omissis)

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CORTE DI CASSAZIONE CIVILE SEZ. II, 12 LUGLIO 2011, N. 15308

PRES. TRIOLA – EST. BIANCHINI – P.M. (CONF.) – RIC. C.L. C. CONDOMINIO X.

Parti comuni dell’edificio y Ascensore y Installazione y Immutazione della cosa comune y Limiti y Pregiudizio limitato e inferiore ai limiti della tollerabilità y Innovazione consentita.

Nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120, secondo comma, cod. civ. il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione - coessenziale al concetto di innovazione - ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità; si può tener conto di specificità - che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino - solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo (Nel caso di specie è stata ritenuta legittima la costruzione di un ascensore che ha ridotto le dimensioni del pianerottolo senza però comprometterne l’utilizzabilità). (c.c., art. 1117; c.c., art. 1120) (1)

(1) Si veda Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2010, n. 20902, in questa Rivista 2011, 36, secondo la quale, in una fattispecie analoga, il concetto di inservibilità espresso nell’articolo 1120 cit. va interpretato come sensibile menomazione dell’utilità che il condomino ritraeva secondo l’originaria costituzione della comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condòmini tranne uno, comportino per quest’ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità.

Svolgimento del processo

C.L., proprietaria di un appartamento al piano terreno di uno stabile sito in (omissis), impugnò innanzi al Tribunale partenopeo la delibera condominiale adottata il 30 ottobre 1997 con la quale era stata approvata l’istallazione di un impianto di ascensore e si erano ripartite le spese relative, senza che vi fosse stata l’unanimità dei consensi: secondo l’attrice detta maggioranza sarebbe stata necessaria perchè, per le caratteristiche dell’impianto e del pianerottolo ove insisteva l’accesso al proprio appartamento, l’impianto di sollevamento, se realizzato, avrebbe determinato un notevole pregiudizio al diritto dominicale di essa attrice.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 6695/2003, pronunziata nel contraddittorio del Condominio che si era opposto all’accoglimento della domanda, respinse la domanda, argomentando dal fatto che, se pure l’esperita CTU aveva in effetti messo in evidenza la sensibile diminuzione dello spazio antistante l’abitazione dell’attrice - nel caso in cui si fosse realizzato l’impianto di sollevamento - tuttavia l’innovazione doveva ritenersi lecita ai sensi dell’art. 1120, comma secondo, cod. civ., essendo diretta ad un miglior uso della cosa comune. La Corte d’Appello di Napoli, decidendo sul gravame della L., con sentenza n. 3329/2004, riformò la pronunzia del primo giudice, ritenendo che l’art. 1120 cod. civ. imponesse al giudicante di delibare il necessario contemperamento tra gli interessi del singolo condomino e quelli dell’ente di gestione: nella fattispecie la Corte territoriale valutò che sarebbe stata eccessiva la compressione del diritto dell’appellante sia ad utilizzare lo spazio antistante il proprio appartamento sia a fruire di quest’ultimo nella sua pienezza, a cagione della riduzione della luminosità che ne sarebbe potuta derivare.

Contro tale decisione ha proposto ricorso il Condominio, sulla base di due motivi; ha resistito la L. con controricorso; la causa, trattata all’udienza del 1 febbraio 2011, è stata rinviata al fine di consentire la produzione della delibera condominiale autorizzativa alla proposizione del ricorso in sede di legittimità.

Motivi della decisione

  1. - Deve darsi atto che il Condominio, il 14 febbraio 2011, ha depositato copia della delibera 29 aprile 2005 con la quale l’assemblea ha nominato l’avv. Vittorio Scognamiglio a difendere l’attuale ricorrente nel giudizio di legittimità: pur nella necessaria concisione della verbalizzazione - nella quale si nominava tout court il legale in relazione all’ordine del giorno avente ad oggetto “2 -Eventuale ricorso in cassazione: designazione del legale” - deve ritenersi implicitamente ma chiaramente espressa la volontà assembleare di autorizzare l’amministratore in carica a proporre il ricorso.

    1.1. - La produzione di tale documentazione appare legittima ai sensi dell’art. 372 c.p.c. in quanto in esecuzione di un rilievo officioso di questa Corte, espresso all’udienza del 1 febbraio 2011 e diretta a far emergere la legittimazione del Condominio ricorrente.

  2. - Il ricorrente deduce, con il primo motivo, l’«omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativa a punti decisivi della controversia, prospettati dall’appellato in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.»; con la connessa seconda censura lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1120 comma 2 e 889 del codice civile in relazione...

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