Sentenza nº 233 da Constitutional Court (Italy), 22 Luglio 2011

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione22 Luglio 2011
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 233

ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso QUARANTA Presidente

- Paolo MADDALENA Giudice

- Alfio FINOCCHIARO ”

- Franco GALLO ”

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di B.M. con ordinanza del 26 novembre 2010, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2011 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza depositata il 26 novembre 2010, la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, quinto comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui – secondo l’interpretazione datane dalle Sezioni unite della stessa Corte di cassazione, qualificabile come «diritto vivente» – «impedisce la retrodatazione della custodia cautelare in carcere nelle ipotesi in cui per i fatti contestati nella prima ordinanza l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato, prima della adozione della seconda misura».

Il Collegio rimettente riferisce, in punto di fatto, che l’imputato ricorrente nel giudizio principale era stato raggiunto da due ordinanze applicative della custodia cautelare, emesse dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano «in […] solo apparentemente, in una prospettiva diacronica, distinti procedimenti». La prima ordinanza – emessa il 18 maggio 2008 ed eseguita il 20 maggio 2008 – atteneva a un delitto di detenzione e spaccio, in concorso, di sostanza stupefacente, commesso nei giorni 30 settembre e 1° ottobre 2006: reato per il quale l’imputato era stato condannato, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di sei anni e otto mesi di reclusione con sentenza del 16 settembre 2008, passata in giudicato in difetto di impugnazione. La seconda ordinanza, del 24 settembre 2009 ed eseguita il 14 ottobre 2009, era stata emessa nello stesso procedimento, proseguito nei confronti degli imputati – alcuni dei quali concorrenti con l’interessato nel reato che aveva dato luogo all’applicazione della prima misura – e atteneva a ulteriori fatti di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché alla partecipazione a una associazione finalizzata al loro commercio: reati commessi nel corso dell’anno 2006 e fino al gennaio 2007.

In relazione alla custodia cautelare applicata con tale seconda ordinanza, l’imputato aveva quindi presentato una istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di durata massima di fase, basata sul disposto dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., in tema di cosiddette contestazioni a catena: norma in forza della quale, «se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza, in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave». Secondo la difesa, nell’ipotesi di specie avrebbero dovuto ravvisarsi tutti i presupposti di operatività della previsione normativa considerata, giacché i fatti oggetto della seconda ordinanza cautelare erano stati commessi anteriormente all’emissione del primo provvedimento restrittivo ed erano, altresì, legati da connessione qualificata al fatto con esso contestato.

Contro il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari, di rigetto dell’istanza, l’interessato aveva proposto appello, che era stato a sua volta respinto dal Tribunale di Milano con ordinanza del 6 maggio 2010, sul rilievo – reputato assorbente – della carenza del presupposto di operatività dell’invocato meccanismo di retrodatazione, costituito dalla coesistenza delle due misure. Il Tribunale aveva fatto, in particolare, applicazione del principio affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 24 aprile 2009-18 maggio 2009, n. 20780, in forza del quale la disciplina dettata dalla norma censurata non opera qualora – come nel caso di specie – per i fatti oggetto della prima ordinanza cautelare, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’emissione della seconda ordinanza.

Avverso la decisione l’imputato aveva proposto il ricorso per cassazione di cui la Corte rimettente è investita, assumendo che l’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., nella lettura datane dalle Sezioni unite, violerebbe la ratio di garanzia sottesa alla disposizione, legittimando l’arbitrio del pubblico ministero nel ritardare la richiesta della successiva ordinanza cautelare e determinando, così, irragionevoli disparità di trattamento tra imputati in eguale situazione.

Tutto ciò premesso, la Corte rimettente osserva come il principio affermato dalle Sezioni unite nella sentenza dianzi richiamata costituisca «diritto vivente»: con la conseguenza che l’ordinanza impugnata, che ad esso si è adeguata, dovrebbe essere confermata.

Il giudice a quo dubita, tuttavia, sotto plurimi profili, della legittimità costituzionale della norma censurata, quale risultante alla luce della predetta interpretazione.

Essa contrasterebbe, anzitutto, con l’art. 3 Cost., generando irragionevoli disparità di trattamento tra situazioni omologhe. Ne sarebbe dimostrazione eloquente la vicenda oggetto del giudizio a quo, in cui, nell’ambito di un unico procedimento originario, per il primo reato contestato al ricorrente era intervenuto, a seguito di giudizio abbreviato, il giudicato di condanna; mentre il procedimento era proseguito sia nei confronti dei coimputati nel medesimo reato, sia in rapporto a ulteriori reati, successivamente contestati al ricorrente, sempre in concorso con altre persone. Con la irrazionale conseguenza che i coimputati, i quali avevano proseguito il giudizio ordinario, avevano maturato, grazie al meccanismo della retrodatazione, il diritto alla scarcerazione per decorrenza dei termini in rapporto ad ogni imputazione; mentre il ricorrente – che aveva optato per il giudizio abbreviato, senza poi nemmeno impugnare la sentenza di condanna – era rimasto detenuto per i reati contestati successivamente. Ciò, pur trattandosi di fatti commessi anteriormente alla prima ordinanza cautelare...

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