Sentenza nº 181 da Constitutional Court (Italy), 10 Giugno 2011

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione10 Giugno 2011
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 181

ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo MADDALENA Presidente

- Alfio FINOCCHIARO Giudice

- Alfonso QUARANTA “

- Franco GALLO “

- Luigi MAZZELLA “

- Gaetano SILVESTRI “

- Sabino CASSESE “

- Giuseppe TESAURO “

- Paolo Maria NAPOLITANO “

- Giuseppe FRIGO “

- Alessandro CRISCUOLO “

- Paolo GROSSI “

- Giorgio LATTANZI “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 5-bis, commi 3 e 4 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nonché dell’articolo 16, commi quarto e quinto (recte: commi quinto e sesto) della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dall’articolo 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), promossi dalla Corte d’appello di Napoli, con ordinanze del 7 aprile e del 19 marzo 2010 e dalla Corte d’appello di Lecce con ordinanza dell’8 ottobre 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 305, 351 e 399 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 47, prima serie speciale, dell’anno 2010 e n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di costituzione di F. L., di F. N. W., del Comune di Salerno, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 maggio 2011 e nella camera di consiglio dell’11 maggio 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Giorgio Stella Richter per F. L., Edilberto Ricciardi per il Comune di Salerno e l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — La Corte di appello di Napoli, con ordinanza depositata il 19 marzo 2010 (r. o. n. 351 del 2010), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nonché dell’art. 16, commi quarto e quinto (recte: commi quinto e sesto) della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dall’art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli).

  2. — La Corte territoriale riferisce di essere chiamata a pronunziarsi in un giudizio, promosso dalla signora N. W. F. nei confronti del Comune di Montoro Superiore e diretto ad ottenere la condanna di quest’ultimo al pagamento (tra l’altro) dell’indennità di espropriazione e dell’indennità di occupazione legittima, relative all’esproprio di un suolo, appartenente all’attrice, situato nel territorio del detto ente. In una prima fase del processo il consulente di ufficio aveva rilevato che il terreno, pur se classificato come agricolo nel piano di fabbricazione adottato dal Comune di Montoro Superiore, era ubicato a ridosso del centro cittadino, in una zona in possesso di tutte le caratteristiche dei suoli edificatori, e sicuramente appetibile anche in vista di un suo possibile sfruttamento per fini diversi dall’edificazione, sicché lo aveva valutato in lire 55.851 al mq., con riferimento al dicembre 1982; successivamente era stata disposta una nuova consulenza, volta a verificare se, alla data del decreto di esproprio (20 marzo 1985), il suolo de quo avesse valore agricolo o edificabile e a determinare l’importo delle due indennità. Il consulente aveva accertato che il terreno in questione era classificato nel catasto terreni del Comune di Montoro Superiore come “seminativo arborato” e che, in base al programma di fabbricazione vigente nel Comune dal 30 ottobre 1972 al 12 maggio 1997, era, per la sua maggiore estensione, destinato ad uso pubblico per servizi vari, per una parte minore inserito in zona B di completamento e per una terza parte interessato alla realizzazione di una strada. Tuttavia, in base alle prescrizioni del programma di fabbricazione, nella zona B dell’area espropriata era precluso ogni tipo di edificazione e non era consentita neppure la costruzione in aderenza con l’edificio, di proprietà dell’attrice, con essa confinante, soggetto,nel piano di recupero del Comune, soltanto ad interventi di restauro e di risanamento conservativo.

    Una volta accertata la non edificabilità del suolo, il consulente aveva applicato i criteri di liquidazione delle indennità stabiliti dagli artt. 16 e 20 della legge n. 865 del 1971, cui rinvia l’art. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 333 del 1992 e, rilevato che il Comune di Montoro Superiore ricadeva nella regione agraria n. 8 della Provincia di Avellino e che, nel 1985, in tale regione il valore agricolo medio di un terreno seminativo arborato era di lire 1.200 a mq., aveva determinato l’indennità di espropriazione spettante all’attrice in complessivi euro 588,76 (lire 1.140.000) e quella di occupazione in complessivi euro 49,06.

    Tanto premesso, la Corte rimettente, chiamata a decidere unicamente della misura delle indennità di espropriazione e di occupazione spettanti all’attrice, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 4, d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, nonché dell’art. 16, quinto e sesto comma, della legge n. 865 del 1971, come sostituiti dall’art. 14 legge n. 10 del 1977, «che, secondo il diritto vivente, sono tuttora in vigore esclusivamente con riguardo alle aree non aventi destinazione edilizia».

    Ad avviso della rimettente tali disposizioni, non suscettibili di un’interpretazione diversa da quella letterale, stabiliscono un criterio di determinazione dei suoli agricoli e dei suoli non edificabili del tutto disancorato dal loro effettivo valore di mercato.

    Invero – la Corte di merito prosegue – «ancorché non possa escludersi che valore di mercato e valore agricolo medio (V.A.M.) di tali categorie di immobili siano talvolta, in concreto, coincidenti, non v’è dubbio che assai spesso il primo valore risulti (anche notevolmente) superiore al secondo, in quanto l’appetibilità di un terreno sul mercato non dipende solo dalla sua edificabilità, ma da molteplici altri fattori, primi fra tutti la sua posizione e le concrete possibilità di suo sfruttamento per fini diversi dalla coltivazione».

    La questione sarebbe rilevante nel presente giudizio. Infatti, sarebbe rimasto accertato che il valore di mercato del terreno in questione era stato calcolato in lire 65.000 al mq., con riferimento al gennaio 1986 (previa rivalutazione a tale data del valore di lire 55.851 al mq., riferito al dicembre 1982), mentre il valore agricolo medio della coltura in atto sul suolo era, nel 1985, di appena lire 1.200 al mq. o, al più, di lire 6.200 al mq. (volendo ritenere erronea la determinazione del C.T.U. per non aver considerato che, trattandosi di terreno compreso in un centro edificato, l’indennità si sarebbe dovuta commisurare al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria, coprivano una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata nella regione stessa).

    Inoltre, il suolo di proprietà della F. era certamente inedificabile, avuto riguardo alla natura conformativa (e non espropriativa) dei vincoli su di esso gravanti, all’inesistenza di un presunto giudicato sull’edificabilità di fatto del suolo, alla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, integrante un vero e proprio diritto vivente, alla stregua della quale il sistema introdotto dall’art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992 si caratterizza per una rigida dicotomia, con esclusione di un “tertium genus”, tra “aree edificabili” ed “aree agricole” o “non classificabili come edificabili”.

    Al criterio dell’edificabilità di fatto, dunque, potrebbe farsi riferimento in via complementare ed integrativa, agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, soltanto nelle ipotesi (estranee al caso in esame) in cui sussistano cause idonee a ridurre o escludere le possibilità reali di edificazione o in cui difetti una classificazione del suolo da parte della pianificazione urbanistica.

    Si dovrebbe, perciò, concludere che, trattandosi di giudizio in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, l’indennità di esproprio andrebbe liquidata alla stregua dei criteri dettati dalle norme censurate, con la conseguenza che la somma spettante alla parte privata per tale titolo risulterebbe irrisoria.

    In questo quadro, sarebbe ravvisabile, in primo luogo, violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto delle dette norme con l’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla legge n. 848 del 1955.

    Il giudice a quo riassume, al riguardo, i principi affermati da questa Corte con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, richiama il dettato della citata norma convenzionale e sottolinea che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha interpretato tale norma in numerose sentenze, «dando vita ad un orientamento ormai consolidato, formatosi anche in processi concernenti la disciplina ordinaria...

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