Legittimità

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. IV, 4 GENNAIO 2011, N. 112 (UD. 11 NOVEMBRE 2010)

Pres. Morgigni – est. Brusco – p.m. Salzano (diff.) – ric. Marino

Giudice di pace y Competenza penale y Reato di lesioni colpose in seguito a sinistro stradale y Risarcimento effettuato da una compagnia assicurativa y Condotta riparatoria idonea ad estinguere il reato y Fondamento y Limiti.

Ai fini dell’operatività della causa estintiva prevista, per i reati di competenza del giudice di pace, dall’art. 35 del D.L.vo n. 274/2000, deve ritenersi valido anche il risarcimento del danno effettuato da una compagnia di assicurazione, sempre che tale risarcimento abbia carattere di esaustività (condizione, quest’ultima, che, nella specie, la Corte ha ritenuto fosse stata correttamente esclusa, avuto anche riguardo al fatto che era ancora in corso tra le parti una controversia civile). (Fattispecie in tema di lesione colpose cagionate a seguito di sinistro stradale). (Mass. Redaz.) (c.p. art. 590; d.l.vo 28 agosto 2000, n. 274, art. 35) (1)

(1) Concorde in punto di diritto Cass. pen. sez. IV, 2 aprile 2009, Teoli in Arch. giur. circ. 2009, 689, la quale, peraltro, evidenzia la necessità che il risarcimento effettuato dall’istituto di assicurazione per la responsabilità civile sia idoneo a soddisfare anche le esigenze di riprovazione del reato e quello di prevenzione, da valutarsi però di volta in volta in relazione alla natura del reato o alle caratteristiche proprie del singolo caso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Marino Bruno ha proposto ricorso avverso la sentenza 26 gennaio 2010 del Giudice di pace di Savona che l’ha condannato alla pena di euro 1.400,00 di multa per il reato di lesioni colpose in danno di Becco Maurizio cagionate a seguito di un incidente stradale verificatosi in Noli il 17 luglio 2004.

Il ricorrente non contesta l’affermazione della sua responsabilità nel verificarsi dell’incidente ma si duole che il giudice non abbia dichiarato estinto il reato, per condotta riparatoria ai sensi dell’art. 35 del D.L.vo n. 274 del 2000, malgrado il danno fosse stato risarcito dalla sua compagnia di assicurazione.

2) Il ricorso è infondato e deve conseguentemente essere rigettato.

La causa di estinzione ricollegata alle condotte riparatorie è prevista, per i reati di competenza del giudice di pace, dal già ricordato art. 35 del D.L.vo n. 274 del 2000 che, al comma 1, prevede questa forma di definizione del processo “quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato”.

Prosegue il comma 2 del medesimo art. 35 con la precisazione che la sentenza di estinzione è consentita solo se il giudice di pace “ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione”.

3) Va premesso che l’applicazione della causa di estinzione del reato non risulta espressamente proposta nel caso in esame perché, dalle conclusioni riportate nell’epigrafe della sentenza, risulta che il difensore dell’imputato abbia concluso in principalità “chiedendo la pronuncia di avvenuta cessazione della materia del contendere”.

Ma anche ammettendo che con questa formulazione impropria si intendesse far riferimento alla causa di estinzione cui si è fatto in precedenza riferimento il motivo di censura sotto questo profilo è comunque da ritenere infondato.

A questa conclusione si perviene non in base all’orientamento che afferma la necessità che il risarcimento del danno sia riconducibile direttamente e personalmente all’imputato con particolare riguardo alle ipotesi nelle quali il risarcimento sia avvenuto ad opera della compagnia di assicurazione.

A questo proposito la tesi che il risarcimento debba provenire personalmente dall’imputato è a dir poco singolare.

Non ignora la Corte che questo orientamento risulta affermato in occasione della concessione dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 6 c.p. (v. Cass., sez. VI, 9 novembre 2005, n. 46329, Caputo, RV 232837; ma per la soluzione opposta si è pronunziata sez. IV, 4 ottobre 2004, n. 46557, Albrizzi, RV 230195) ma ritiene che questo orientamento non sia condivisibile in tema di attività riparatorie previste dalla normativa sul giudice di pace.

Ricollegare alla formulazione letterale dell’art. 35 comma 1 una tal soluzione significa rifarsi ad un criterio di interpretazione del tutto formalistico e avulso dalla realtà dei rapporti sociali. L’assicurazione per i danni cagionati dalla circolazione stradale ha infatti carattere di obbligatorietà e appare insensato pretendere che una persona proceda ad un risarcimento personale in presenza di un contratto di assicurazione sulla cui base, in concreto, sia avvenuto un risarcimento integrale dei danni cagionati.

Che cosa dovrebbe fare il responsabile del sinistro per godere della causa di estinzione? operare perché la com-

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pagnia non provveda al risarcimento e provvedere personalmente ovvero procedere ad un risarcimento personale anche se la compagnia vi ha già provveduto?

L’assurdità delle conseguenze cui conduce la tesi proposta dal ricorrente non sembra meritare ulteriori commenti. Si aggiunga la conseguenza, più generale, che una siffatta interpretazione condurrebbe ad una totale disincentivazione delle cause deflattive che gli artt. 34 e 35 del D.L.vo 274 sono dirette invece ad incrementare.

4) Diverse sono invece le ragioni per le quali, nel caso in esame, non può operare la causa di estinzione del reato.

Risulta infatti dalla motivazione della sentenza impugnata che il risarcimento corrisposto dalla compagna di assicurazione del ricorrente, pur di importo ingente, non è valso a soddisfare le gravissime conseguenze dell’incidente tanto che è ancora in corso una controversia civile tra le parti.

Deve quindi escludersi che il risarcimento del danno abbia avuto il richiesto carattere di integralità e che possano ritenersi eliminate le conseguenze dannose del reato e quindi siano state soddisfatte le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione. La necessità che anche queste esigenze vengano soddisfatte è richiesta dal secondo comma dell’art. 35 in esame ed è confermata dalla uniforme giurisprudenza di legittimità sul punto (v. Cass., sez. V, 18 gennaio 2007, n. 5581, Napoli, RV 236519; 22 settembre 2005, n. 40818, Mirabelli, RV 232802; 24 marzo 2005, n. 14070, Del Testa, RV 231777; sez. IV, 9 dicembre 2003, n. 11522, Milesi, RV 228030).

5) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. (Omissis).

CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. I, 4 GENNAIO 2011, N. 48 (UD. 1 DICEMBRE 2010)

Pres. Siotto – est. Di tomassi – p.m. Monetti (parz. Diff.) – ric. Khoule

Sicurezza pubblica y Stranieri y Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato y Condanna y Sostituzione dell’ammenda con l’espulsione y Ammissibilità.

Nel caso di condanna per il reato di cui all’art. 10 bis del T.U. sull’immigrazione approvato con D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286 (ingresso e soggiorno illegali nel territorio dello Stato), alla pena dell’ammenda può sostituirsi, ma non aggiungersi, la sanzione della espulsione. (Mass. Redaz.) (d.l.vo 24 luglio 1998, n. 286, art. 10 bis; d.l.vo 24 luglio 1998, n. 286, art. 13; d.l.vo 24 luglio 1998, n. 286, art. 16) (1)

(1) Nello stesso senso, Cass. pen., sez. I, 5 gennaio 2011 n. 179, Mapathe, inedita. Cfr., pure Cass. pen., sez. I, 27 aprile 2010, Omoigui, in CED - Archivio Penale RV 246662.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Con la sentenza in epigrafe il Giudice di pace di Sarzana dichiarava Khoule Maniane, cittadino senegalese, responsabile del reato di cui all’art. 10 bis d.l.vo n. 286 del 1998, accertato il 20 agosto 2009 e lo condannava alla pena di 5.000 euro di ammenda, «nonché all’espulsione dal territorio nazionale».

    Riferisce che il fatto era stato accertato, allorché l’imputato era stato sorpreso nel territorio di Lerici senza documenti identificativi né permesso di soggiorno; nei confronti dell’imputato non risultava inoltre emesso alcun ordine di espulsione.

  2. Ricorre l’imputato, personalmente, e chiede l’annullamento della sentenza impugnata denunziando:

    2.1. violazione di legge in quanto il giudice di pace aveva condannato l’imputato alla pena dell’ammenda disponendo inoltre l’espulsione, che costituendo sanzione sostitutiva, era incompatibile con la prima;

    2.2. violazione di legge perché il Giudice di pace non aveva reso edotto l’imputato della facoltà di chiedere un termine a difesa;

    2.3. vizio di motivazione, con particolare riferimento al momento consumativo del reato: non risultava infatti dimostrato né che l’imputato avesse fatto ingresso nel territorio dello Stato dopo l’entrata in vigore della norma incriminatrice, né che ivi si fosse trattenuto per oltre sei giorni senza chiedere il permesso di soggiorno; i molti dubbi in ordine alla legittimità costituzionale dalla previsione avrebbero quindi imposto di investire della questione il Giudice delle leggi.

    MOTIVI DELLA DECISIONE

  3. Il secondo motivo é da esaminare per primo stante la sua pregiudizialità perché attiene a denunzia di error in procedendo, ed è infondato.

    Nel giudizio, promosso ai sensi dell’art. 20 bis d.l.vo n. 274 del 2000, l’imputato era difatti rimasto contumace; nessun termine a difesa poteva pertanto chiedere a norma dell’art. 32 comma 5 dello stesso decreto e nessun avviso poteva in tal senso ricevere. Nessun avviso doveva quindi essere dato al difensore nominato in udienza in sostituzione del precedente ai sensi dell’art. 108 c.p.p..

  4. Anche il terzo motivo, relativo all’affermata assenza di prove della permanenza irregolare nello Stato, non può che ritenersi quantomeno infondato. Stante l’obiettiva presenza dell’imputato nel territorio italiano e l’assenza di qualsiasi documentazione...

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