Ordinanza nº 84 da Constitutional Court (Italy), 11 Marzo 2011

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione11 Marzo 2011
EmittenteConstitutional Court (Italy)

ORDINANZA N. 84

ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Ugo DE SIERVO Presidente

- Paolo MADDALENA Giudice

- Alfio FINOCCHIARO ”

- Alfonso QUARANTA ”

- Franco GALLO ”

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Giudice di pace di Lecce con ordinanza del 19 aprile 2010, dal Giudice di pace di Pontassieve con ordinanza dell’11 maggio 2010 e dal Tribunale per i minorenni di Lecce con ordinanza del 29 aprile 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 206, 208 e 262 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 38, prima serie speciale, dell’anno 2010;

udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 19 aprile 2010, il Giudice di pace di Lecce ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25, 27, 97, 117 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello stranero), come introdotto dall’articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);

che il giudice a quo è chiamato a pronunciarsi in un procedimento penale a carico di M. A. K., imputato del reato di cui alla norma censurata, «per avere, quale cittadino straniero, fatto ingresso ed essersi trattenuto nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del medesimo decreto legislativo e dell’art. 1 della legge n. 68/2007 essendo privo di valido titolo di soggiorno», reato commesso in Lecce il 4 marzo 2010;

che, come il rimettente riferisce, nel processo è stata acquisita la relazione di servizio relativa all’accertamento effettuato nella data predetta, il difensore ha rinunziato all’esame dei verbalizzanti, non ha richiesto alcuna prova contraria, «né ha dedotto la sussistenza di una causa di giustificazione o di esimenti», sicché l’imputato, clandestino privo di permesso o di carta di soggiorno, dovrebbe essere dichiarato colpevole del reato ascrittogli «se la norma non fosse sospetta di incostituzionalità», con conseguente rilevanza della questione sollevata;

che, inoltre, tale questione sarebbe non manifestamente infondata, alla luce dei parametri addotti;

che, in primo luogo, sussisterebbe violazione degli artt. 25 e 27 Cost. e, in particolare: 1) sarebbe violato il principio di offensività del reato, desumibile dai citati precetti costituzionali, in base al quale il reato deve sostanziarsi nell’offesa di uno specifico bene giuridico, non essendo concepibile un reato senza offesa, onde al legislatore sarebbe «preclusa l’introduzione, per finalità di mera deterrenza, di sanzioni che non si ricolleghino a fatti colpevoli, ma piuttosto a modi di essere ovvero ad una mera disobbedienza priva di disvalore (anche potenziale) per un determinato bene giuridico protetto», mentre con il cosiddetto reato di clandestinità sarebbe stata prevista l’incriminazione di condotte prive di idoneità ad offendere un bene giuridico, non essendo sostenibile che il clandestino, per il solo fatto della sua condizione, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico; 2) sarebbe violato il principio di sussidiarietà dell’illecito penale, perché nel vigente ordinamento il ricorso alla sanzione penale sarebbe ammissibile soltanto come ultima ratio, «quando cioè la tutela del bene giuridico non possa essere raggiunta adeguatamente attraverso altri strumenti dell’ordinamento giuridico»; 3) sarebbero violati il principio di uguaglianza e il principio di personalità della responsabilità penale;

che, infatti, a) qualora l’autore dell’illecito sia espulso o respinto, il giudice, ai sensi del comma 5 della norma censurata, pronuncia sentenza di non luogo a procedere, ma l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione e di respingimento sarebbe rimessa alla discrezionalità e alla disponibilità di mezzi dell’autorità amministrativa (essendo a tal fine irrilevanti la volontà e le azioni dello straniero), sicché «l’accertamento giurisdizionale di condotte identiche produce effetti diversi (sentenza di condanna o di non luogo a procedere) a causa di circostanze assolutamente estranee alla sfera di intervento degli imputati»; b) non sarebbe stata attribuita alcuna rilevanza alla presenza di giustificati motivi che abbiano determinato le condotte punite, a differenza di quanto previsto nell’analoga (e molto più grave) ipotesi delittuosa di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, con ingiustificata disparità di trattamento tra gli autori dei due reati, entrambi diretti a colpire la stessa situazione soggettiva (il clandestino o lo straniero divenuto clandestino). Sotto altro aspetto, il sistema introdotto dal legislatore del 2009 sarebbe in modo palese irrazionale, avendo generato un conflitto, sul piano logico e su quello pragmatico, tra le due fattispecie in questione. Invero, tutti i presupposti richiesti per l’emanazione del provvedimento del questore «in tanto avevano ragione di esistere in quanto non era previsto un reato di immigrazione o soggiorno clandestini e la sanzione penale era correlata alla sola violazione dell’ordine di allontanamento». Con la previsione della nuova figura di reato, a prescindere dall’esistenza di giustificati motivi, lo straniero sarebbe immediatamente sanzionato senza la sussistenza di alcuno dei presupposti richiesti per integrare la fattispecie di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; c) non sarebbe ravvisabile alcuna ragione per precludere all’agente di estinguere il reato a lui ascritto mediante oblazione;

che, inoltre, sarebbe violato l’art. 117 Cost., con riferimento agli obblighi internazionali assunti dall’Italia in materia di trattamento dei migranti, con particolare riguardo al Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti, sottoscritto nel corso della Conferenza di Palermo (12-15 dicembre 2000), e, segnatamente, agli artt. 5, 6 e 16 di esso;

che, ancora, sarebbe violato l’art. 3 Cost. per irragionevolezza della scelta legislativa rispetto agli istituti espulsivi di natura amministrativa, stante l’identità di ratio ed in carenza di qualsiasi fondamento giustificativo;

che, infatti, «l’ambito di applicazione della nuova fattispecie coincide perfettamente con quello della preesistente misura amministrativa dell’espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari (stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa», e ciò starebbe a significare che già era presente nell’ordinamento italiano uno strumento ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo;

che l’art. 3 Cost. sarebbe violato anche per «palese ed irragionevole disparità di trattamento sotto il profilo sanzionatorio», considerando la nuova fattispecie nel suo complesso, comprensivo non soltanto della pena dell’ammenda (da 5.000 a 10.000 euro), ma anche del divieto di sospensione condizionale della pena (conseguente alla individuazione della competenza in capo al giudice di pace) e della facoltà concessa allo stesso giudice di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione più grave, qual è quella dell’espulsione dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (da un lato, la sanzione sostitutiva potrebbe essere comminata a soggetti condannati per reato non colposo ad una pena detentiva non superiore a due anni, in assenza delle condizioni per disporre la sospensione condizionale, dall’altro la medesima sanzione potrebbe colpire soggetti condannati alla sola pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, e successive modificazioni);

che, del resto, ad avviso del rimettente la detta sanzione sostitutiva «sarà la pena generalmente adottata dal giudice di pace, laddove non ricorrano le cause ostative di cui all’art. 14 co. 1, stante l’assoluta carenza di efficacia deterrente dell’ammenda prevista»;

che ulteriore violazione...

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