Sentenza nº 23 da Constitutional Court (Italy), 25 Gennaio 2011

RelatoreSabino Cassese
Data di Resoluzione25 Gennaio 2011
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza) promossi dal Tribunale di Milano, sezione I penale e sezione X penale, con ordinanze del 19 e del 16 aprile 2010 e dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano con ordinanza del 24 giugno 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 173, 180 e 304 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 41, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visti gli atti di costituzione di S.B. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo per S.B. e gli avvocati dello Stato Michele Dipace e Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale di Milano, sezione I penale, con ordinanza del 19 aprile 2010 (reg. ord. n. 173 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 1, 3 e 4, della legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza), per violazione dell’art. 138 della Costituzione.

    1.1. – Il collegio rimettente riferisce che la difesa dell’imputato nel giudizio principale ha dedotto e documentato, per l’udienza del 12 aprile 2010, un legittimo impedimento a comparire, consistente nell’impegno dell’imputato stesso a svolgere, nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei ministri, un viaggio di Stato. Il Tribunale riporta inoltre che, a fronte della richiesta di ulteriori date utili per la prosecuzione del giudizio, la difesa dell’imputato, ai sensi della disciplina censurata, ha formulato richiesta di rinvio al 21 luglio 2010, producendo attestazione del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri di impedimento continuativo dell’imputato motivato mediante riferimento esemplificativo a plurime attività governative da svolgere nel periodo intercorrente fra il 9 aprile e il 21 luglio 2010.

    Il giudice a quo espone che il pubblico ministero si è opposto alla richiesta di rinvio, sulla base di una interpretazione logica e sistematica della disciplina censurata, tale da consentire al giudice di valutare l’assolutezza dell’impedimento a comparire dedotto dal Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, secondo l’interpretazione proposta dal pubblico ministero, «la mera attestazione di un impegno continuativo e correlato all’esercizio delle funzioni» indicate dalla disciplina censurata «non precluderebbe al giudice l’accertamento della sussistenza in concreto dell’assoluto impedimento a comparire dell’imputato per il periodo indicato nell’attestazione» stessa. In subordine, secondo quanto riferisce il Tribunale rimettente, il pubblico ministero ha dedotto l’illegittimità costituzionale della norma censurata, nell’ipotesi in cui essa dovesse intendersi come preclusiva di un sindacato del giudice in ordine alla sussistenza in concreto del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri.

    Ad avviso del giudice a quo, l’interpretazione del pubblico ministero non può essere condivisa, in quanto la disciplina censurata qualifica come legittimo impedimento, ai sensi dell’art. 420-ter del codice di procedura penale, «non solo le varie attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti con riguardo alla funzione ministeriale», ma anche le relative «attività preparatorie e consequenziali», nonché ogni «attività comunque coessenziale alle funzioni di governo», imponendo, inoltre, il rinvio del processo ove la Presidenza del Consiglio dei ministri «attesti che l’impedimento è continuativo e correlato» allo svolgimento delle suddette funzioni.

    Alla luce di tali circostanze, il Tribunale rimettente ritiene che la disciplina censurata non si limiti «ad integrare la previsione di cui all’art. 420-ter del c.p.p.», introducendo «casi ulteriori di legittimo impedimento legati a situazioni specificamente individuate» e tipizzando «taluni atti o attività di governo come integranti la fattispecie legale di impedimento», ma sostanzialmente identifichi l’intera attività di governo «(peraltro mediante un meccanismo di autocertificazione) con l’assoluta impossibilità a comparire». Ciò si traduce, ad avviso del giudice a quo, nella privazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dell’impedimento con riferimento ad uno specifico impegno correlato alla singola udienza. In altri termini – osserva ancora il collegio rimettente – la definizione di legittimo impedimento di cui alla disciplina censurata è talmente ampia e generica da risolversi in una «presunzione assoluta di impedimento», considerata quale situazione legata non già ad un «fatto contingente», ma ad uno «status permanente», con conseguente venir meno della possibilità del giudice di accertare la «sussistenza in concreto» dell’impedimento stesso.

    L’impossibilità di seguire l’interpretazione proposta dal pubblico ministero rende rilevante, ad avviso del Tribunale rimettente, la questione di legittimità costituzionale della disciplina censurata. Secondo il giudice a quo, tale questione sarebbe non manifestamente infondata, dal momento che «le disposizioni in esame, introducendo una presunzione iuris et de iure di impedimento continuativo per un lungo periodo di tempo connessa alle funzioni di governo si sostanziano in una norma di status derogatoria dell’ordinaria giurisdizione e dunque in una prerogativa che richiede una copertura costituzionale».

    Ad avviso del Tribunale rimettente, infatti, la disciplina censurata, stabilendo a priori e in modo vincolante che la titolarità e l’esercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto, si tradurrebbe nella «statuizione di una vera e propria prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a tutelarne non già il diritto di difesa nel processo bensì lo status o la funzione», realizzandosi, in tal modo, «la medesima situazione già analizzata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 2009». Inoltre, secondo il giudice a quo, la circostanza che la stessa legge censurata indichi espressamente la propria «funzione di legge ponte», in vista della successiva entrata in vigore di una organica disciplina costituzionale delle prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, ne renderebbe esplicita «la ratio di anticipazione di una disciplina innovativa in una materia che deve essere necessariamente introdotta con procedimento costituzionale» e confermerebbe, quindi, la violazione dell’art. 138 Cost.

    1.2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata non fondata.

    1.2.1. – Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il giudice a quo deduce l’illegittimità costituzionale della disciplina censurata erroneamente presupponendo che essa introduca una prerogativa o immunità in favore del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, ciò che, per pacifica giurisprudenza costituzionale, potrebbe avvenire solo mediante legge costituzionale. In realtà, ad avviso della difesa dello Stato, la finalità delle disposizioni oggetto di censura, come emergerebbe anche dai lavori preparatori, sarebbe quella di «identificare normativamente le attività, esercitate da soggetti che rivestono cariche pubbliche di rilievo costituzionale, che costituiscono impedimento a comparire nelle udienze del procedimento penale nel quale risultano imputati». Tali disposizioni – osserva l’Avvocatura generale dello Stato – sono quindi dirette ad integrare la disciplina generale contenuta nell’art. 420-ter cod. proc. pen. e a «tipizzare gli atti, o meglio le attività di governo, che si traducono in altrettante fattispecie di legittimo impedimento». Simile tipizzazione legislativa si rivelerebbe necessaria, secondo il punto di vista della difesa dello Stato, allo scopo di adattare le soluzioni indicate da questa Corte con riferimento all’impedimento a comparire dei membri del Parlamento (sentenza n. 225 del 2001, secondo cui in particolare il giudice «ha l’onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari») alla diversa fattispecie del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, le cui attività, rispetto a quelle dei parlamentari, «si svolgono con modalità e cadenze temporali […] più eterogenee e non facilmente preventivabili» e sono «più soggett[e] a variazioni, atteso che l[e] stess[e] dev[ono] tenere conto di svariate evenienze». L’intervento legislativo della cui legittimità si dubita, secondo la difesa dello Stato, sarebbe dunque rivolto a tipizzare, anche a fini di certezza del diritto e allo scopo di evitare divergenti interpretazioni giurisprudenziali, «le ipotesi in cui lo svolgimento dell’attività governativa rende assolutamente impossibile, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri», la comparizione in giudizio, in quanto essa precluderebbe «lo svolgimento di attività istituzionali non delegabili».

    L’Avvocatura generale dello Stato ritiene, inoltre, che la disciplina censurata, a differenza della legge 23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato), non determini «in via automatica» la sospensione del processo. In primo luogo, essa si limiterebbe a consentire all’imputato di ottenere, «volta per volta», il rinvio dell’udienza. In secondo luogo, le funzioni di governo in grado di giustificare la richiesta di rinvio troverebbero un «esplicito fondamento normativo in fonti di rango primario...

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