Sentenza nº 273 da Constitutional Court (Italy), 22 Luglio 2010
Relatore | Gaetano Silvestri |
Data di Resoluzione | 22 Luglio 2010 |
Emittente | Constitutional Court (Italy) |
SENTENZA N. 273
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
- Alfonso QUARANTA
- Franco GALLO
- Luigi MAZZELLA
- Gaetano SILVESTRI
- Sabino CASSESE
- Maria Rita SAULLE
- Giuseppe TESAURO
- Paolo Maria NAPOLITANO
- Giuseppe FRIGO
- Alessandro CRISCUOLO
- Paolo GROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dellart. 23, comma 4, del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dallinquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dallinquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), come modificato dallart. 7 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dallinquinamento, a norma dellarticolo 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128), che sostituisce lart. 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), promosso dal Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, con ordinanza del 3 marzo 2009, iscritta al n. 328 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dellanno 2010.
Visti gli atti di costituzione di R.A. ed altri, di C.M. e P.V., nonché latto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nelludienza pubblica del 7 luglio 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Tullio Padovani, Eriberto Rosso, Anna Francini per S.G. ed altri, Giuseppe Giuffrè e Giandomenico Falcon per R.A., Gemma Bearzotti per C.M., Paolo DellAnno per P.V. e lavvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
-
− Con ordinanza depositata il 3 marzo 2009, il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, ha sollevato, in riferimento allart. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dellart. 23, comma 4, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dallinquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dallinquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), come modificato dallart. 7 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dallinquinamento, a norma dellarticolo 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128), nella parte in cui, sostituendo lart. 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), sanziona come mero illecito amministrativo le condotte di derivazione o utilizzazione di acqua pubblica in assenza di provvedimento di autorizzazione o concessione dellautorità competente.
1.1. Il rimettente riferisce che il procedimento a quo riguarda soggetti, già responsabili di cantieri approntati per la realizzazione della tratta ferroviaria ad alta velocità tra Firenze e Bologna, ai quali si contesta lindebito impossessamento di acque pubbliche utilizzate nel corso dei lavori. In particolare, agli imputati è contestato il delitto di furto aggravato, perpetrato «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, ciascuno nelle rispettive qualità ricoperte nellarco temporale indicato, al fine di trarne un ingiusto profitto (consistito nellimpiego gratuito di acqua pubblica a servizio delle proprie attività di cantiere con particolare riferimento allimpiego di acqua negli impianti di betonaggio e al lavaggio dei mezzi meccanici e in generale allimpiego di acque chiare nelle attività di cantiere)».
Il rimettente riferisce ancora che lacqua oggetto di furto, per un quantitativo stimato in non meno di cinque milioni di metri cubi, sarebbe stata in parte prelevata dalle falde sotterranee intercettate durante i lavori di scavo nelle gallerie, in parte estratta mediante perforazione di pozzi, e in parte prelevata dai corsi dacqua limitrofi ai cantieri, il tutto in assenza delle prescritte autorizzazioni e concessioni del Genio Civile della Provincia di Firenze. Sempre in ipotesi accusatoria, le condotte contestate sarebbero state poste in essere nel periodo dal 1997 al 2005 (con lesclusione del 2001, anno in cui era stata chiesta la concessione).
Il pubblico ministero secondo quanto segnala il rimettente ritiene ininfluente, in punto di qualificazione penalistica delle condotte, la disposizione contenuta nellart. 23, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 1999, che sanziona come illecito amministrativo la condotta di «derivazione o utilizzo» di acque pubbliche in assenza di autorizzazione o concessione, perché diverso sarebbe il bene giuridico tutelato penalmente, attraverso la fattispecie del furto aggravato, rispetto a quello presidiato dalla sanzione amministrativa: nel primo caso il patrimonio dello Stato, nel secondo la regolamentazione del prelievo delle acque e la tutela della salubrità di queste. Di conseguenza, la stessa condotta, ove accertata, darebbe luogo alla violazione sia del precetto penale sia di quello amministrativo, con applicazione concomitante delle due norme indicate.
In senso contrario, prosegue il giudice a quo, le difese degli imputati hanno sostenuto la tesi della specialità della norma che prevede lillecito amministrativo, rispetto alla previsione del delitto di furto, con conseguente irrilevanza penale della condotta di prelievo di acque sotterranee o superficiali per fini industriali, a norma dellart. 9 della legge 24 novembre 1989, n. 681 (Modifiche al sistema penale).
1.2. Il rimettente considera pregiudiziale, nel contesto descritto, una verifica della asserita prevalenza della norma che sanziona in via amministrativa il prelievo abusivo di acqua su quella penale contestata, «atteso che qualunque verifica in fatto della imputazione deve presupporre necessariamente la giurisdizione del giudice penale».
Lo stesso rimettente procede quindi a richiamare per grandi linee levoluzione della disciplina delle acque, osservando come, ancor prima della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), già lart. 1 del r.d. n. 1775 del 1933 avesse attribuito alle acque classificate di «pubblico generale interesse» il carattere della demanialità. Le acque prive di rilevanza pubblica, e non inserite espressamente negli elenchi previsti dalla legge, erano rimaste oggetto delle disposizioni del codice civile. Con la legge n. 36 del 1994, emanata in una fase storica in cui era ormai diffusa lattenzione alla tutela delle risorse idriche, il legislatore nazionale ha proceduto a ridefinire lintera disciplina delle acque pubbliche, in una prospettiva di vero e proprio rovesciamento dei principi sottesi alla regolamentazione del prelievo e dellutilizzo dellacqua. Per effetto della cosiddetta legge Galli, si è passati da un regime ordinario di carattere privatistico, che richiedeva una specifica classificazione da parte della pubblica amministrazione per qualificare unacqua come di pubblico interesse, ad un regime «rigidamente pubblico in ordine alla proprietà della risorsa idrica», nel quale tutte le acque, superficiali e sotterranee, sono pubbliche, rimanendo nella discrezionalità della pubblica amministrazione soltanto il potere di disciplinare diversamente le modalità di utilizzo delle acque, a seconda dei soggetti e delle finalità.
Successivamente, è entrato in vigore il d.lgs. n. 152 del 1999, di recepimento di numerose direttive comunitarie, il quale ha dettato norme a tutela delle acque dallinquinamento, ed è intervenuto anche sul testo unico approvato con il r.d. n. 1775 del 1933, in particolare sostituendo lart. 17 di questultimo con il comma 4 dellart. 23 del citato d.lgs. La previsione richiamata ha stabilito il divieto di derivare o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio dellautorità competente, comminando al contravventore, «fatti salvi ogni altro adempimento o comminatoria previsti dalle leggi vigenti», una sanzione amministrativa pecuniaria, oltre alla cessazione dellutenza abusiva e al pagamento dei canoni non corrisposti.
A partire quindi dallentrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 1999, si è posto il problema di individuare la norma sanzionatoria applicabile in relazione a condotte di impossessamento di acque pubbliche analoghe a quelle descritte nel capo di imputazione.
Il giudice a quo segnala come, dopo qualche iniziale incertezza, la giurisprudenza di legittimità si sia consolidata su posizioni di «sostanziale abrogazione della rilevanza penale della condotta descritta», affermando da ultimo (Corte di cassazione, sentenza n. 25548 del 2007) che la previsione contenuta nellart. 23, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 1999 costituisce norma speciale rispetto a quella generale di cui allart. 624 del codice penale, in quanto presenta due elementi specializzanti: loggetto dellimpossessamento (lacqua pubblica) ed il dolo specifico (la finalità industriale).
Il rimettente richiama anche un precedente di segno contrario (Corte di cassazione, sentenza n. 37237 del 2001), che aveva ritenuto sussistente un concorso reale e non apparente tra le norme, là dove la previsione amministrativa sarebbe volta a tutelare la salubrità delle acque e quella codicistica il bene nel suo valore patrimoniale. Il Tribunale tuttavia, in assonanza con la giurisprudenza più recente, ritiene che la verifica del rapporto di specialità debba fondarsi su...
Per continuare a leggere
RICHIEDI UNA PROVA