Legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine597-637

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. VI, 15 aprile 2010, n. 14603 (ud. 2 febbraio 2010). Pres. Lattanzi – Est. Conti – P.M. Selvaggi (diff.) – Ric. Pozza

Abusivo esercizio di una professione – Professione sanitaria – Iniezioni insuliniche ed intramuscolo – Assenza di continuità – Configurabilità del reato – Esclusione

Non si rende configurabile il reato di abusivo esercizio della professione di infermiere qualora l’agente si sia limitato ad effettuare saltuariamente ad ospiti di una casa di riposo iniezioni insuliniche ed intramuscolo, in conformità alle prescrizioni mediche, onde sopperire alla carenza di personale infermieristico. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 348; d.p.r. 14 marzo 1974, n. 225) (1)

    (1) In aggiunta ai precedenti citati in motivazione, si veda Cass. pen., sez. VI, 30 aprile 1988, Roma, in questa Rivista 1989, 181, secondo la quale commette il reato di esercizio abusivo di una professione l’infermiere generico che pratica prelievi ematici consentiti soltanto agli infermieri professionali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza in data 20 gennaio 2006 del Tribunale di Vercelli, sezione distaccata di Varallo, appellata, tra gli altri, da Maria Teresa Pozza, condannata, con le attenuanti generiche, alla pena di euro 300 di multa, in quanto responsabile del reato di cui all’art. 348 c.p., per avere, in qualità di coordinatrice della Casa di Riposo del Comune di Crevacuore, esercitato abusivamente il ruolo di infermiera (in Crevacuore, sino ad epoca antecedente e prossima al 12 dicembre 2002).

Osservava la Corte di appello, sulla base essenzialmente delle dichiarazioni della teste Elisabetta Agliaudi, infermiera professionale nella Casa di Riposo, che la Pozza, non avendone titolo, aveva non solo esercitato abitualmente mansioni proprie dell’infermiere generico (quali iniezioni intramuscolo e insuliniche nonché somministrazioni di farmaci) ma, almeno in un caso, tentato, pur senza riuscirVI, di praticare un prelievo ematico e finanche dato disposizioni per interrompere la terapia disposta dal medico. Tanto integrava il reato di esercizio abusivo della professione paramedica, ai sensi del d.p.r. 14 marzo 1974, n. 225.

Ricorre per cassazione l’imputata, a mezzo del difensore Avv. Paolo Monti, il quale deduce:

  1. Nullità della sentenza per mancata indicazione del fatto contestato: nel capo di imputazione si addebita all’imputata di avere esercitato abusivamente il ruolo di infermiera non essendovi abilitata, ma non sono affatto indicate le specifiche condotte dalla stessa poste in essere, in violazione dell’art. 555 [recte, art. 552 comma 1, lett. c), c.p.p.], secondo cui il decreto di citazione a giudizio deve contenere “l’enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa”.

  2. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale. Secondo alcune testimonianze, l’imputata, come dalla stessa parzialmente ammesso, si sarebbe limitata in qualche occasione a somministrare ai pazienti le terapie insuliniche, effettuare alcune medicazioni e praticare iniezioni intramuscolari.

    Si tratta di atti relativamente liberi, che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, non integrano il reato di cui all’art. 348 c.p. se effettuati sporadicamente e in assenza di retribuzione; e la Pozza riceveva retribuzione esclusivamente per il suo incarico di coordinatrice della Casa di Riposo, non percependo alcun ulteriore compenso per queste saltuarie prestazioni di assistenza ai ricoverati, rese a mero titolo di volontariato.

    La terapia insulinica o l’assunzione di farmaci contro la pressione arteriosa si praticano generalmente in via di automedicazione e, trattandosi di soggetti anziani, in mancanza temporanea di personale sanitario, la Pozza si era prestata generosamente, senza alcun tornaconto personale, a somministrare occasionalmente ai pazienti, alle ore stabilite, tale tipo di cure secondo le prescrizioni del medico. Su questi rilievi la Corte di appello non aveva fornito alcuna risposta.

    Quanto al presunto tentativo della Pozza di praticare una iniezione in vena, la circostanza, del tutto isolata, si ricavava esclusivamente dalla testimonianza dell’Agliaudi, che ha espresso al riguardo mere impressioni e, al pari di numerosi soggetti operanti nella Casa di Riposo, ha comunque precisato che mai l’imputata in sua presenza aveva eseguito prestazioni infermieristiche di alcun genere.

  3. Violazione dell’art. 348 c.p. (norma penale in bianco) sotto il profilo della inesistenza di un atto avente forza di legge idoneo a determinare le attività per le quali sia richiesta una speciale l’abilitazione dello Stato, non avendo tale forza i decreti del Ministro della Sanità del 30 gennaio 1982 e del 14 settembre 1994 n. 739 citati nella sentenza impugnata; e comunque riferendosi la norma ai soli soggetti che esercitano una libera professione e non ai dipendenti pubblici, quale è la Pozza.

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    Ad avviso della Corte il secondo motivo di ricorso è fondato, restando così assorbiti in tale statuizione i restanti motivi.

    Alla imputata sono contestati fatti di esercizio abusivo della professione di infermiere, consistiti, nell’avere in una occasione tentato di praticare un prelievo ematico, in altre effettuato iniezioni insuliniche o intramuscolo ai pazienti ricoverati nella Casa di riposo di Crevacuore dalla stessa diretta.

    Quanto alla prima condotta contestata, va osservato che di essa tace del tutto la sentenza di primo grado, mentre quella di secondo grado si limita ad affermare che la teste infermiera professionale Elizabetta Agliaudi ne aveva riferito, senza però che di questa deposizione sia offerto alcun significativo particolare, tanto più necessario trattandosi di un supposto tentativo di compiere un atto paramedico, se non quello rappresentato dal fatto che la Agliaudi si era recata presso il letto di un anziano paziente per effettuare un prelievo di sangue e di avere visto in tale occasione che il paziente presentava dei “segni” sul braccio e che la Pozza era vicino al suo letto.

    Da tale radicale carenza di indicazioni circa le circostanze dal fatto deriva l’assenza di prova della condotta contestata.

    Quanto alle restanti condotte, esse consistono in atti che non rientrano nelle mansioni riservate secondo le norme di legge alla professione di infermiere, e non implicano specifiche nozioni o particolari abilità o conoscenze tecniche.

    Essi pertanto, ove eseguiti non a titolo professionale ma per sopperire saltuariamente alla carenza del personale infermieristico, rispettando le cadenze, i tempi e le modalità stabilite dal medico (come nella specie appare dare atto la stessa sentenza impugnata), non integrano, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, il reato di cui all’art. 348 c.p. (v. in termini Cass., sez. VI, 25 maggio 1999, Volpe; nello stesso senso, Cass., sez. VI, 5 luglio 2006, Russo; Id., 8 ottobre 2002, Notaristefano).

    Consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio dovendo l’imputata essere assolta perché il fatto non sussiste. (Omissis)

    @CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. VI, 15 aprile 2010, n. 14599 (ud. 25 gennaio 2010). Pres. Lattanzi – Est. Carcano – P.M. Di Popolo (diff.) – Ric. Tuzzo

    Omissione o rifiuto di atti di ufficio – Rifiuto o ritardo – Ritardo – Omesso compimento dell’atto – Provvedimenti di carattere amministrativo demandati al sindaco in materia di contravvenzioni stradali – Configurabilità del reato – Esclusione

    Tra gli atti che debbano essere compiuti senza ritardo, cui si riferisce l’art. 328, comma primo, c.p., per attribuire rilievo penale al loro indebito rifiuto, non possono farsi rientrare i provvedimenti di carattere amministrativo demandati al sindaco in materia di contravvenzioni stradali. (Mass. Redaz.) (c.p., art. 328) (1)

      (1) Sull’interpretazione della espressione “senza ritardo” si veda Cass. pen., sez. VI, 1 ottobre 2007, Civisca, in Guida al diritto 2007, 78. secondo tale precedente il termine “senza ritardo”, non limita la rilevanza del rifiuto al mancato compimento di un atto richiesto da una situazione di emergenza, sottoponendo a sanzione, in realtà, il mancato compimento di un atto dovuto in tutte le situazioni che richiedono un tempestivo intervento, ossia in tutte le situazioni in cui la tempestività è in diretta connessione con il conseguimento degli effetti che sono propri dell’atto. Si veda pure Cass. pen., sez. VI, 12 aprile 2000, Araldi in Arch. giur. circ. 2000, 473, che condannò il comportamento di un sindaco il quale, ricevuto un verbale di contestazione di un’infrazione al codice della strada redatto da un vigile urbano, con relativa nota di trasmissione approntata dal vice comandante della polizia municipale, omise di trasmettere il tutto al prefetto competente per l’applicazione delle previste sanzioni amministrative, occultando inoltre il suddetto verbale così da far venir meno la traccia documentale dell’infrazione accertata.

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  4. Raffaele Tuzzo impugna la sentenza in epigrafe indicata con la quale è stata confermata la decisione di primo grado che lo dichiarò responsabile dei delitti di abuso d’ufficio e di omissione di atti d’ufficio.

    In particolare, Raffaele Tuzzo è stato ritenuto responsabile del delitto di abuso d’ufficio perché nella qualità di sindaco del comune di Balestrate, in violazione dell’art. 18 della n. 689 del 1981, archiviava i verbali di accertamento delle violazioni amministrative elevate nei confronti di alcuni cittadini, procurando loro un ingiustificato e illecito vantaggio con l’archiviazione dei predetti verbali e quindi con il mancato completamento della procedura amministrativa stabilita per l’applicazione delle sanzioni ovvero per l’annullamento dell’atto con conseguente ingiustificato danno per il comune di Balestrate. Inoltre, Tuzzo è stato dichiarato responsabile del delitto di omissione...

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