Sentenza nº 250 da Constitutional Court (Italy), 08 Luglio 2010

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione08 Luglio 2010
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 250

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Giudice di pace di Lecco, sezione distaccata di Missaglia, con ordinanza del 1° ottobre 2009 e dal Giudice di pace di Torino con ordinanza del 6 ottobre 2009, rispettivamente iscritte ai nn. 292 e 300 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 49 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

1.1. – Con ordinanza del 1° ottobre 2009, il Giudice di pace di Lecco, sezione distaccata di Missaglia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 117 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), il quale punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, «salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del [citato] testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68» (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio).

Il giudice a quo riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di un cittadino extracomunitario, imputato del reato previsto dalla norma censurata «perché faceva ingresso e si tratteneva nel territorio dello Stato senza autorizzazione» (fatto che, nel capo di imputazione, viene indicato come commesso il 13 agosto 2009).

L’imputazione trae origine da un controllo effettuato da una pattuglia dei Carabinieri, in esito al quale si era accertato che lo straniero – sprovvisto di qualsiasi documento di riconoscimento – si trovava illegalmente sul territorio nazionale, non avendo richiesto nel termine di legge il permesso di soggiorno dopo l’ingresso in Italia, avvenuto nel dicembre 2007 attraverso il confine nella zona di Ventimiglia. Nei suoi confronti era stato quindi emesso decreto prefettizio di espulsione e conseguenziale ordine del Questore di Lecco di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni: provvedimento, quest’ultimo, motivato con l’impossibilità tanto di procedere ad un immediato accompagnamento coattivo alla frontiera dell’espellendo, essendo necessario effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità e acquisire un valido documento per l’espatrio; quanto di trattenerlo presso un centro di identificazione ed espulsione, per indisponibilità di posti. Parallelamente, lo straniero era stato tratto a giudizio per rispondere della contravvenzione di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998.

Ciò premesso in punto di fatto, il rimettente reputa che la norma impugnata sia costituzionalmente illegittima anzitutto nella parte in cui non annovera, tra gli elementi costitutivi del reato da essa delineato, l’assenza di un «giustificato motivo», così da evitare la punizione di soggetti la cui irregolare permanenza in Italia, anche se non coperta da una vera e propria causa di giustificazione, risulti comunque non «rimproverabile» per valide ragioni oggettive o soggettive.

Alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale in rapporto al reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 (sono citate le sentenze n. 5 del 2004 e n. 22 del 2007), si tratterebbe, infatti, di una previsione indispensabile al fine di rendere la fattispecie criminosa conforme ai principi di colpevolezza e di proporzionalità (art. 27 Cost.), potendo essa trovare applicazione in situazioni disparate, e anche nei confronti di soggetti che non comprendono la lingua italiana o che entrano in contatto per la prima volta con l’ordinamento nazionale.

Ne deriverebbe anche la violazione dell’art. 3 Cost., stante l’irrazionale disparità di trattamento rispetto all’ipotesi criminosa di cui al citato art. 14, comma 5-ter, che contempla, di contro, il predetto elemento negativo. Le due figure di reato risulterebbero, infatti, pienamente assimilabili, colpendo entrambe la permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato: in un caso (art. 10-bis), per generica violazione delle norme del d.lgs. n. 286 del 1998; nell’altro (art. 14, comma 5-ter), per inosservanza specifica dell’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni. La differente natura dell’obbligo violato potrebbe giustificare, bensì, il diverso trattamento sanzionatorio delle due ipotesi, ma non l’adozione di difformi criteri di valutazione della rimproverabilità della condotta.

Nel caso di specie, l’omissione censurata avrebbe impedito alla difesa di fornire la prova – in quanto allo stato non rilevante – della circostanza che, dopo l’8 agosto 2009 (data di entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), sarebbe stato impossibile o quantomeno difficoltoso, per l’imputato, lasciare il territorio dello Stato prima di divenire destinatario del provvedimento di espulsione.

Il rimettente rileva, per altro verso, che, ai sensi del comma 5 dell’art. 10-bis, il giudice deve emettere sentenza di non luogo a procedere per il reato in esame nel caso in cui lo straniero sia stato materialmente espulso, ovvero respinto ai sensi dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998. Anche per tale parte la norma impugnata violerebbe i principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di colpevolezza (art. 27 Cost.), trattando la medesima condotta in modo differenziato a seconda che l’autorità amministrativa – anche in conseguenza di proprie scelte organizzative – riesca ad eseguire il respingimento o l’espulsione, o, al contrario, non avendone la possibilità, impartisca allo straniero l’ordine di lasciare il territorio dello Stato, a proprie spese, nel termine di cinque giorni: nel qual caso lo straniero si troverebbe esposto alla severa pena – reclusione da uno a quattro anni – prevista dall’art. 14, comma 5-ter, per l’inottemperanza a tale ordine.

La norma censurata violerebbe, da ultimo, l’art. 117 Cost., ponendosi in contrasto con le previsioni della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. L’art. 7, paragrafo 1, della citata direttiva identifica, infatti, la modalità ordinaria di esecuzione dell’espulsione nel rimpatrio volontario, prevedendo che, a tale fine, debba essere accordato allo straniero «un periodo congruo di durata compresa fra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui paragrafi 2 e 4».

La configurazione come reato di qualunque ingresso o permanenza illegale nello Stato mirerebbe ad eludere tale vincolo comunitario, rendendo operante la deroga prevista dall’art. 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva, in forza della quale gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva stessa «ai cittadini di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di sanzione penale». In tal modo, la modalità ordinaria di esecuzione dell’espulsione resterebbe l’accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica, conformemente all’attuale previsione dell’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998.

Né varrebbe opporre che il termine per l’adeguamento della legislazione degli Stati membri alla direttiva – fissato al 24 dicembre 2010 (art. 20) – non è ancora scaduto. Alla data dell’8 agosto 2009, infatti, la direttiva 2008/115/CE era già vigente da diversi mesi, essendo la stessa entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (art. 22). Di conseguenza – secondo il rimettente – per escludere che l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 sia contrario alla direttiva, bisognerebbe ipotizzare che la norma interna sia stata emanata con la volontà di rimuoverla o modificarla prima della scadenza del termine ultimo di adeguamento: volontà non desumibile, per contro, né dalla lettera della norma stessa – che non reca alcuna limitazione temporale di efficacia – né dalla sua ratio.

1.2. – È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate, salvo per quanto attiene alla seconda, da reputare inammissibile.

Riguardo alla mancata previsione del «giustificato motivo», la difesa dello Stato rileva che la fattispecie criminosa resta comunque soggetta ai principi generali in materia penale, che comprendono plurime cause di non punibilità, tra cui la incolpevole ignoranza della norma incriminatrice, l’inesigibilità del comportamento lecito e la «buona fede»: donde l’insussistenza di una disparità di trattamento rispetto ad altre figure criminose previste dalla medesima fonte normativa.

Con riferimento, poi, alla prevista pronuncia...

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