Sentenza nº 226 da Constitutional Court (Italy), 24 Giugno 2010

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione24 Giugno 2010
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 226

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA ”

- Alfio FINOCCHIARO ”

- Alfonso QUARANTA ”

- Franco GALLO ”

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Maria Rita SAULLE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 40, 41, 42 e 43 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria, notificati il 22 settembre 2009, depositati in cancelleria il 25, il 29 ed il 30 settembre 2009 e rispettivamente iscritti ai nn. 64, 66 e 67 del registro ricorsi 2009.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 aprile 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi gli avvocati Lucia Bora per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per le Regioni Emilia-Romagna e Umbria e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 22 settembre 2009, la Regione Toscana ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 40, 41, 42 e 43, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), per violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera h), quarto e sesto, della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.

La ricorrente premette che le norme impugnate regolano la collaborazione di associazioni di privati cittadini alla tutela della sicurezza urbana e alla prevenzione di situazioni di disagio sociale.

In particolare, il comma 40 del citato art. 3 prevede che «i sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale».

Il comma 41 stabilisce che le predette associazioni «sono iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte dello stesso, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, dei requisiti necessari previsti dal decreto di cui al comma 43», e demanda allo stesso prefetto di provvedere «al loro periodico monitoraggio, informando dei risultati il comitato».

Il comma 42 precisa ulteriormente che «tra le associazioni iscritte nell’elenco di cui al comma 41 i sindaci si avvalgono, in via prioritaria, di quelle costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell’ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato», aggiungendo che «le associazioni diverse da queste ultime sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica».

Da ultimo, il comma 43 attribuisce ad un decreto del Ministro dell’interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il compito di determinare gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonché i requisiti per l’iscrizione e le modalità di tenuta degli elenchi.

Ad avviso della ricorrente, le disposizioni ora ricordate risulterebbero invasive delle competenze legislative regionali.

Alla luce di una consolidata giurisprudenza costituzionale, che si pone in linea di continuità con un orientamento formatosi già prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, la materia della «sicurezza», demandata alla legislazione esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., deve essere, difatti, intesa in senso restrittivo. Tenuto conto della connessione testuale con l’«ordine pubblico» e dell’esplicita esclusione dal suo ambito della «polizia amministrativa locale», nonché dell’esigenza di evitare una smisurata dilatazione dell’area di intervento statale, il concetto di «sicurezza» va ritenuto comprensivo, in specie, dei soli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso, quest’ultimo, quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui cui si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale.

Quanto, invece, alla «polizia amministrativa locale» – materia rientrante nella potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi della disposizione combinata del secondo comma, lettera h), e del quarto comma dell’art. 117 Cost. – essa abbraccia l’insieme delle misure dirette ad evitare danni o pregiudizi ai soggetti giuridici e alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze delle Regioni e degli enti locali.

La Regione Toscana ha esercitato la propria competenza legislativa in materia con la legge regionale 3 aprile 2006, n. 12 (Norme in materia di polizia comunale e provinciale), il cui art. 7 prevede specificamente che associazioni di volontariato possano partecipare allo svolgimento di compiti di «polizia amministrativa locale». Più in particolare, è previsto che i comuni e le province possano stipulare convenzioni con le associazioni iscritte nel registro di cui all’art. 4 della legge regionale 26 aprile 1993, n. 28 (Norme relative ai rapporti delle organizzazioni di volontariato con la Regione, gli Enti locali e gli altri Enti pubblici – Istituzione del registro regionale delle organizzazioni del volontariato), e successive modificazioni, «per realizzare collaborazioni tra queste ultime e le strutture di polizia locale rivolte a favorire l’educazione alla convivenza, al senso civico e al rispetto della legalità».

Le norme statali di cui ai commi 40, 41 e 42 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 inciderebbero sulla disciplina regionale ora ricordata, vanificando il ruolo e i compiti delle associazioni di volontariato da essa previste.

Le espressioni di cui il comma 40 si avvale – «sicurezza urbana» e «disagio sociale» – sarebbero infatti idonee, nella loro ampiezza e genericità, a svuotare di contenuto le competenze della Regione.

In base alla ricordata giurisprudenza costituzionale, la «sicurezza urbana» potrebbe essere, in effetti, ricondotta alla competenza statale solo se circoscritta agli interventi finalizzati – nell’ambito delle città – alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico. Tanto è vero che, in sede di decisione su un ricorso per conflitto di attribuzioni, la Corte costituzionale ha ritenuto che la definizione di «sicurezza urbana» offerta dall’art. 1 del decreto del Ministro dell’interno 5 agosto 2008, in attuazione dell’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, sia conforme, bensì, al dettato costituzionale, ma solo in quanto il citato decreto ministeriale fa espresso riferimento, come fondamento dello stesso, al secondo comma, lettera h), dell’art. 117 Cost. (sentenza n. 196 del 2009). Nell’impugnato art. 3, comma 40, della legge n. 94 del 2009 mancherebbe, di contro, ogni specificazione dei limiti del concetto di «sicurezza urbana», il quale si presterebbe, di conseguenza, a ricomprendere anche gli interventi volti a migliorare le condizioni di vivibilità dei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale: interventi da ricondurre, per contro, nell’ambito della competenza regionale, in quanto espressione della polizia amministrativa locale.

A similare conclusione dovrebbe pervenirsi anche con riguardo alla concorrente locuzione «disagio sociale». Tale espressione apparirebbe, infatti, evocativa della generalità delle situazioni, protratte nel tempo, nelle quali un soggetto «non è in grado di utilizzare le proprie risorse e le opportunità offerte dalla società», e quindi «si isola o suscita rigetto da parte della società stessa». Si tratterebbe, dunque, di una nozione di ampia portata, potendo le predette situazioni derivare da molteplici cause, singole o combinate fra loro (ristrettezze economiche, difficoltà familiari, disoccupazione, malattie, invalidità, solitudine, età, carenze culturali, tossicodipendenza e così via dicendo). Sarebbe evidente, in ogni caso, come gli interventi finalizzati a porre rimedio a tali situazioni disagiate risultino riconducibili alla sfera delle «politiche sociali»: materia che ricade anch’essa nella competenza legislativa residuale delle Regioni.

Analogo contrasto con il riparto costituzionale delle competenze legislative sarebbe riscontrabile in rapporto ai successivi commi 41 e 42, giacché, in materia di polizia amministrativa locale e di politiche sociali, la fissazione delle regole per la tenuta degli elenchi e delle condizioni per l’iscrizione in essi delle associazioni di volontari non potrebbe che spettare alle Regioni: e, infatti, la ricorrente Regione Toscana vi ha provveduto con il citato art. 7 della legge reg. n. 12 del 2006, che rinvia alla legge reg. n. 28 del 1993.

Né, d’altra parte, sarebbe possibile una interpretazione conforme a Costituzione delle norme censurate. Non si potrebbe, in particolare, ritenere che il ricorso alle associazioni di volontari sia da esse previsto nei limiti di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., perché ciò significherebbe affidare a privati cittadini una funzione necessariamente pubblica, quale quella della prevenzione dei reati e del mantenimento dell’ordine pubblico.

Le disposizioni di cui ai commi 40, 41 e 42 risulterebbero illegittime anche sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione. Nessuna di tali disposizioni prevede, infatti, un coinvolgimento delle Regioni, neppure nella forma “debole” del parere della Conferenza Stato-Regioni: e ciò quantunque esse incidano su ambiti complessi, nei quali spesso le competenze statali...

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