Sentenza nº 240 da Constitutional Court (Italy), 15 Luglio 2003

RelatoreRomano Vaccarella
Data di Resoluzione15 Luglio 2003
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N.240

ANNO 2003

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo CHIEPPA Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Romano VACCARELLA "

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 8 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promossi con n. 4 ordinanze del 18 (n. 2 ordinanze), del 29 e del 27 maggio 2002 della Corte d’appello di Venezia e del 5 ottobre 2002 del Tribunale di Saluzzo, rispettivamente iscritte ai nn. 348, 349, 368, 372 e 548 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 33, 34, 35, prima serie speciale, dell’anno 2002 e nella edizione straordinaria, prima serie speciale, del 27 dicembre 2002.

Visti gli atti di costituzione della Valdefin s.p.a., Lifegroup s.p.a., Researchlife s.c.p.a., Dermalife s.p.a. e del Fallimento Valdefin s.p.a., Fallimento Lifegroup s.p.a., Fallimento Researchlife s.c.p.a. e Fallimento Dermalife s.p.a.;

udito nell’udienza pubblica del 6 maggio 2003 e nella camera di consiglio del 7 maggio 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

uditi gli avv.ti Elena Donzi per la Valdefin s.p.a., Lifegroup s.p.a., Researchlife s.c.p.a., Dermalife s.p.a. e Nicola Picardi per il fallimento Valdefin s.p.a., Fallimento Lifegroup s.p.a., Fallimento Researchlife s.c.p.a. e Fallimento Dermalife s.p.a.

Ritenuto in fatto

  1. - Nel corso di quattro giudizi di appello, promossi dalle fallite società Valdefin s.p.a., Lifegroup s.p.a., Researchlife s.c.p.a. e Dermalife s.p.a. nei confronti dei curatori dei rispettivi fallimenti, avverso le sentenze del Tribunale di Padova, tutte in data 29 aprile 1999, con le quali erano state rigettate le opposizioni alle dichiarazioni di fallimento, la Corte d’appello di Venezia, con distinte ordinanze, recanti identica motivazione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, dell’articolo 6 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui consente la dichiarazione d’ufficio del fallimento dell’imprenditore, in violazione del principio di terzietà del giudice.

    1.1.- In punto di fatto, riferisce la Corte rimettente che il fallimento delle quattro società appellanti era stato dichiarato d’ufficio, con distinte sentenze in data 19 luglio 1996, a seguito di ispezione giudiziale dell’amministrazione delle medesime società, disposta dal Tribunale di Padova ai sensi dell’art. 2409 del codice civile con decreto del 28 giugno 1996, dei cui risultati il giudice delegato all’istruzione della procedura aveva riferito al presidente della sezione, il quale, a sua volta, lo aveva nominato giudice delegato all’audizione dei legali rappresentanti, avviando, così, il procedimento officioso.

    Nei rispettivi atti di appello – riferisce ancora la rimettente - le fallite hanno eccepito l’illegittimità costituzionale degli articoli 6 e 8 del richiamato regio decreto n. 267 del 1942 (di seguito, "legge fallimentare") in riferimento agli artt. 3, 24 e 101 Cost.; in sede di discussione della causa, poi, hanno evocato anche i principi dettati dall’art. 111 Cost., come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2(Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione).

    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte veneziana osserva che il principio della "terzietà" del giudice, costituzionalmente sancito dal nuovo art. 111 Cost., richiede che il giudice non solo agisca come terzo, ma appaia anche tale, "poiché la mancanza di tale condizione esteriore è sufficiente a compromettere la credibilità della sua funzione di garante della corretta applicazione del diritto", e che detto principio non può prescindere dalla distinzione tra il soggetto che propone una domanda giudiziale e quello che sulla stessa è chiamato a pronunciarsi.

    Discende da ciò – ad avviso della medesima Corte territoriale – l’inderogabilità del principio della domanda e la non compatibilità, con la garanzia costituzionale, dei procedimenti ad iniziativa dell’organo giudicante.

    In particolare essa rileva che l’art. 6 legge fall., nel prevedere che il fallimento possa essere dichiarato d’ufficio - quando il giudice competente alla pronuncia, nell’esercizio della sua attività o per rapporto di altro giudice (a norma dell’art. 8 legge fall.), acquisisca la conoscenza dello stato di insolvenza di un imprenditore - consente l’avvio del procedimento prefallimentare ad iniziativa dello stesso organo giudicante, sulla base di una delibazione che non può essere puramente formale, ma che implica necessariamente una valutazione sommaria di merito dei presupposti legittimanti l’iniziativa medesima, di modo che si dà avvio ad un giudizio che non appare rispettoso del principio di terzietà.

    Né – prosegue la Corte rimettente – la specialità della procedura fallimentare, giustificata dalle connotazioni pubblicistiche e dalle esigenze d’urgenza che le sono proprie, può assumere rilevanza in relazione al rispetto dell’indicato principio tutelato dalla Carta fondamentale: le esigenze sottese all’iniziativa officiosa potrebbero trovare sufficiente tutela nell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento affidata al pubblico ministero dallo stesso art. 6 legge fall., alla quale deve riconoscersi portata generale e non limitata alle sole ipotesi considerate dal successivo art. 7 legge fall.

    1.3.- Quanto alla rilevanza della questione, la Corte rimettente osserva che essa discende da ciò, che anche in grado di appello si verte sulla legittimità dell’iniziativa d’ufficio che ha portato alla dichiarazione di fallimento delle società appellanti, esclusa la quale l’appello dovrebbe essere accolto.

    1.4.- Si sono ritualmente costituite le società appellanti, le quali con identici atti di costituzione, deducono, a sostegno dell’eccezione di incostituzionalità, che:

    1. le norme sul fallimento d’ufficio trascurano le garanzie di estraneità del giudice al giudizio, violando i principi del giusto processo, recepiti anche dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo;

    2. l’iniziativa officiosa per la dichiarazione di fallimento, benché riconducibile alla previsione dell’art. 2907 cod. civ., di fatto appare non rispettosa del diritto alla difesa, garantito dall’art. 24 Cost., giacché a seguito di essa non si viene a formare un contraddittorio vero e proprio, in mancanza del sostanziale controinteressato, che è il ceto creditorio;

    3. il procedimento officioso non si svolge nelle "condizioni di parità", volute dall’art. 111 Cost., poiché il giudice procedente, a differenza dell’imprenditore, riveste una posizione di autorità e di potere;

    4. l’organo giudicante, nelle due fasi in cui si articola il procedimento (quella preliminare e quella conseguente all’iniziativa), svolge una doppia cognizione sullo stesso oggetto, costituito dall’esistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, sulla base del medesimo materiale probatorio, senza che la parte abbia alcuna possibilità di interferire attivamente nell’ambito di una dialettica processuale;

    5. l’opposizione alla dichiarazione di fallimento non fornisce una adeguata tutela successiva, poiché la sentenza dichiarativa è munita di forza esecutiva, che non viene meno se non con il passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di revoca.

      Concludono pertanto le appellanti per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 6 legge fall., nonché dell’art. 8 legge fall., essendo questa norma strettamente connessa alla prima, a fronte dei principi espressi negli artt. 3, 24 e 101 Cost. e ribaditi nell’art. 111 Cost.

      1.5.- Si sono, altresì, ritualmente costituiti i curatori dei fallimenti, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata.

      1.6.- In prossimità dell’udienza, le curatele dei fallimenti hanno depositato memorie di identico contenuto, illustrando le ragioni per le quali hanno concluso per la dichiarazione di inammissibilità o infondatezza della questione di...

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