Sentenza nº 329 da Constitutional Court (Italy), 27 Settembre 2001

RelatoreFranco Bile
Data di Resoluzione27 Settembre 2001
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N.329

ANNO 2001

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO Giudice

- Massimo VARI "

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l’Italia, nelle parti relative al matrimonio), dell'art. 8, numero 2, comma 2, della legge 25 marzo 1985 n. 121 (Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede), recte dell'Accordo ratificato da tale legge, e degli artt. 129 e 129-bis del codice civile, promossi con ordinanze emesse il 25 febbraio 2000 dal Tribunale di Vicenza, il 24 febbraio 2000 dalla Corte d'appello di Roma e il 5 maggio 2000 dal Tribunale di Roma, rispettivamente iscritte ai numeri 359 e 425 del registro ordinanze 2000 ed al n. 82 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 27 e 30, prima serie speciale, dell'anno 2000 e n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visti gli atti di costituzione di Paola Landi, di Luigi Calzavara e di Fabio Belli, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 maggio 2001 e nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Franco Bile;

uditi l'avvocato Carlo Tricerri per Luigi Calzavara e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con l’ordinanza iscritta al n. 359 del 2000, il Tribunale di Vicenza, provvedendo direttamente a seguito di rimessione in decisione della causa, ha proposto - in riferimento all’art. 3 della Costituzione ed al > - la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 27 maggio 1929, n. 847(Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l’Italia, nelle parti relative al matrimonio), >, anzichè della disciplina di cui all’art. 5, commi 6 e seguenti, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio).

    L’ordinanza é stata pronunziata in un giudizio nel quale - dopo che un matrimonio celebrato con il rito concordatario era stato dichiarato nullo dalla giurisdizione ecclesiastica per >, e la relativa sentenza era stata resa esecutiva in Italia, con applicazione in via provvisoria a carico del marito (nel presupposto dell’applicabilità dell’art. 129 cod. civ.) della corresponsione di una somma mensile > - la moglie aveva chiesto la condanna del marito al pagamento di un assegno mensile per un periodo non inferiore a tre anni >, ed il marito convenuto aveva eccepito, fra l’altro, la mala fede dell’attrice, che era stata consapevole della sua >.

    Il Tribunale - dopo avere dato atto che, in sede di precisazione delle conclusioni, la parte attrice aveva modificato la domanda, chiedendo l’imposizione al marito di un contributo mensile di mantenimento volto ad assicurarle la permanenza del tenore di vita pregresso, senza alcuna limitazione temporale e che la causa era passata in decisione - osserva preliminarmente che le precisate conclusioni dovrebbero comportare il rigetto della domanda, in quanto volte ad ottenere il riconoscimento di un assegno oltre il triennio previsto dall’art. 129 cod. civ., oppure il suo accoglimento nel limite di tale triennio. Peraltro, esse - ad avviso del rimettente - non potrebbero essere interpretate in questo senso riduttivo, sia per l’espressa esclusione della limitazione temporale, sia per il fatto che l’attrice ha chiesto commisurarsi il contributo al tenore di vita pregresso.

    L’art. 129 cod. civ., tuttavia, laddove prevede il pagamento di somme periodiche in proporzione alle sostanze del coniuge tenuto, quando l’altro coniuge >, attribuirebbe a tale contribuzione non la funzione di consentire al coniuge debole di proseguire nel tenore di vita precedente, non prendendo in considerazione >, ma soltanto - con riferimento al coniuge di buona fede ma meno fornito di redditi - quella di assicurare la possibilità di poter far fronte al mutamento che la sua vita subisce per effetto della dichiarazione di nullità del matrimonio, rispetto alle aspettative pregresse. La temporaneità della misura, d’altro canto, si spiegherebbe sia per l’assenza di individuazione di una responsabilità, sia per la contingenza della situazione creatasi, sia per la mancanza di un pregresso consistente rapporto di coabitazione. Il distacco dalla logica dell’assicurazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio sarebbe, d’altronde, evidenziato anche dal fatto che nella maggior parte dei casi l’azione di nullità non é più esercitabile quando vi é stata coabitazione per più di un anno e, dunque, la comparazione con il tenore di vita mantenuto antecedentemente sarebbe ristretta ad un periodo estremamente limitato e poco significativo.

    Dopo avere offerto tale ricostruzione del significato dell’art. 129 cod. civ., il Tribunale rileva che l’art. 18 della legge n.847 del 1929 - laddove, per il caso del matrimonio celebrato davanti al ministro del culto cattolico dichiarato nullo dalla giurisdizione canonica con sentenza resa esecutiva nello Stato, prevedeva l’applicabilità dell’art. 116 cod. civ. del 1865, contenente la disciplina del matrimonio putativo - é stato ed é interpretato secondo il > nel senso che il rinvio alla disciplina del matrimonio putativo si debba intendere trasferito alla corrispondente disciplina del codice civile del 1942, dapprima nella sua consistenza originaria, ed ora in quella emergente dalla riforma del diritto di famiglia, ivi comprese le conseguenze patrimoniali introdotte da tale riforma e regolate nell’attuale testo dell’art. 129 cod. civ. (nonchè nell’art. 129-bis).

    Secondo il rimettente, tuttavia, mentre la regolamentazione delle conseguenze patrimoniali emergente da detta disciplina, specificamente dettata in relazione alla nullità del matrimonio civile, troverebbe giustificazione nell’ordinamento italiano proprio in quanto la nullità di tale matrimonio dovrebbe essere fatta valere, nella maggior parte dei casi, in un tempo tanto breve da escludere l’instaurazione di una vera e propria convivenza o da consentirne solo una di scarsa consistenza, essa non sarebbe adeguata alla nullità del matrimonio concordatario.

    Se, infatti, sul piano formale la dichiarazione di nullità civile e quella canonica fanno entrambe venir meno il vincolo coniugale e se il vizio accertato nella specie dall’autorità canonica richiama quello disciplinato dall’art. 120 cod. civ., tuttavia i relativi giudizi si basano su >, potendo la dichiarazione di nullità canonica essere pronunciata a notevole distanza di tempo dalla celebrazione del matrimonio, e anche dopo l’instaurazione fra i coniugi del consortium totius vitae e la nascita di figli.

    Da tanto, secondo il rimettente, conseguirebbe:

    1. che, quando la dichiarazione di nullità canonica interviene a notevole distanza di tempo dalla celebrazione del matrimonio, l’applicazione della disciplina di cui all’art. 129 cod. civ. - > - > al coniuge privo di redditi sufficienti;

    2. che tale inadeguatezza risulta in particolare dal raffronto della disciplina in esame con quella >;

    3. che tali ipotesi dovrebbero, in particolare, individuarsi in quelle per cui é prevista la tutela accordata dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970, per il caso di scioglimento del matrimonio civile e di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, con la previsione della corresponsione al coniuge economicamente più debole di contribuzioni periodiche senza limiti di tempo, idonee ad assicurare un tenore di vita corrispondente a quello prima goduto;

    4. che, quando la nullità canonica del matrimonio concordatario viene dichiarata a notevole distanza di tempo dalla celebrazione del matrimonio, l’applicazione dell’art. 129 cod. civ., imposta dall’art. 18 della legge n. 847 del 1929, farebbe sorgere, quindi, il dubbio della conformità di tale disciplina al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione ed al principio supremo di laicità dello Stato;

    5. che la violazione dell’art. 3 della Costituzione risiederebbe, per un verso, nella non giustificata disparità di trattamento tra casi simili determinata dalla >, e - per altro verso - nel fatto stesso dell’applicazione dell’art. 129 cod. civ. al caso dei >, che, invece, sarebbe > rispetto a quello oggetto dell’originaria previsione della norma (cioé quello >);

    6. che il principio supremo di laicità dello Stato sarebbe violato, in quanto dalla > deriverebbero conseguenze di natura strettamente patrimoniale.

    Con riferimento a quest’ultimo aspetto, il rimettente rileva che il coniuge economicamente più forte potrebbe non solo aggirare legittimamente le decadenze previste per l’azione civile di nullità, evitando di dover ricorrere all’azione di divorzio, ma anche ottenere il vantaggio di potersi sottrarre a parte consistente delle sue responsabilità patrimoniali verso il coniuge debole, senza che possa avere alcun rilievo una convivenza protrattasi...

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