Sentenza nº 26 da Constitutional Court (Italy), 11 Febbraio 1999

RelatoreGustavo Zagrebelsky
Data di Resoluzione11 Febbraio 1999
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 26

ANNO 1999

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Prof. Giuliano VASSALLI Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI Giudice

- Prof. Cesare MIRABELLI "

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 21 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, promosso con ordinanza emessa il 2 gennaio 1998 dal Magistrato di sorveglianza di Padova sui reclami riuniti proposti da Moschini Marco ed altro, iscritta al n. 95 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 1998.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 17 giugno 1998 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

  1. — Chiamato a decidere sui reclami proposti da due detenuti, a norma dell’art. 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in relazione a una determinazione della direzione dell’istituto penitenziario che non consentiva loro di ricevere, in istituto, riviste spedite in abbonamento ovvero da parte di familiari, in ragione del loro contenuto asseritamente osceno, e raccolta la documentazione pertinente al caso, il magistrato di sorveglianza di Padova ha sollevato, con ordinanza del 2 gennaio 1998, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, della legge n. 354 del 1975, nel testo sostituito dall’art. 21 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

  2. — Il rimettente riferisce che la determinazione della direzione del carcere di "trattenere" le pubblicazioni si basa sull’assunto che le medesime, per il loro contenuto, non possono considerarsi come periodici in libera vendita perchè a) sono vietate ai minori, b) la loro esposizione é vietata dalla legge e c) la legge esonera da responsabilità per la loro divulgazione solo edicolanti e librai. Su tali ragioni della misura é altresì concorde l’amministrazione penitenziaria centrale.

  3. — Il magistrato di sorveglianza osserva che egli deve provvedere sui reclami dei detenuti, facendo applicazione dell’art. 18, sesto comma, della legge n. 354 del 1975, che stabilisce che "i detenuti ... sono autorizzati a tenere presso di sè i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all’esterno e ad avvalersi di altri mezzi di informazione".

    Si tratta quindi di decidere in una fattispecie nella quale vengono in rilievo diritti che formano oggetto di protezione costituzionale in via immediata, come il diritto all’informazione garantito dall’art. 21 della Costituzione, in rapporto alla tematica dei limiti del "buon costume".

    Ciò posto, il magistrato di sorveglianza solleva la questione di costituzionalità, sulla premessa che le decisioni che egli é chiamato a prendere a seguito di reclamo sono "giurisdizionalizzate" solo in determinate e limitate ipotesi, vale a dire in quelle nelle quali il reclamo attiene alla materia lavorativa o alla materia disciplinare. Negli anzidetti casi, é prevista un’apposita udienza di trattazione, con la presenza del pubblico ministero e del difensore dell’interessato, e con la possibilità, per quest’ultimo e per l’amministrazione penitenziaria, di presentare memorie, secondo il modulo procedimentale contenuto nell’art. 14-ter della legge n. 354 del 1975, cui l’art. 69 della stessa legge fa rinvio; inoltre, al termine di tale iter, che delinea un vero e proprio "giudizio", é espressamente prevista l’impugnabilità della decisione presa dal magistrato di sorveglianza, con ricorso per cassazione.

    Il rimettente lamenta che analogo procedimento non sia prescritto, in generale, in ogni ipotesi in cui il reclamo del detenuto abbia a oggetto la lesione di un diritto costituzionalmente garantito, come avviene appunto nella specie. In siffatte ipotesi il magistrato si trova a dover valutare e decidere sull’operato dell’amministrazione, che si assume incidente immediatamente su un diritto costituzionalmente protetto, secondo un procedimento de plano, privo di garanzie, senza l’intervento della parte pubblica e che si conclude, anche secondo la giurisprudenza, con un provvedimento non impugnabile in alcuna sede e altresì privo della cogenza propria delle decisioni giurisdizionali, non essendo neppure necessaria la forma dell’ordinanza ma reputandosi generalmente sufficiente un atto di carattere semplicemente sollecitatorio e di segnalazione alle autorità amministrative.

    Ad avviso del magistrato rimettente, la mancata previsione di un modulo giurisdizionale effettivo nelle ipotesi anzidette risulta irragionevole e discriminatoria, ove si consideri che il modulo del processo é invece previsto in relazione a materie che assumono minore rilievo sul piano delle libertà costituzionalmente garantite, come ad esempio nel settore disciplinare.

    D’altra parte, la figura del magistrato di sorveglianza é stata istituita e regolata proprio in vista della tutela dei diritti del detenuto, come la stessa Corte costituzionale ha più volte affermato.

    Non si tratterebbe - aggiunge - di ridisegnare strumenti di tutela invadendo scelte proprie del legislatore, ma solo di ricondurre a razionalità un sistema che garantisce in modo più forte interessi più deboli e che viceversa esclude dalla tutela sul piano processuale interessi e beni di diretto rilievo costituzionale.

    Il rimettente si sofferma altresì sul possibile rilievo del difetto delle caratteristiche del "giudizio" nel procedimento nel cui ambito egli ha sollevato la questione: ma da un lato la censura che egli propone é proprio quella della inadeguata connotazione giurisdizionale della procedura di cui é investito, e pertanto la questione medesima é rilevante perchè in caso di accoglimento le cadenze procedimentali da mettere in opera sarebbero quelle delineate nell’art.14-ter già citato; dall’altro, la Corte costituzionale ha frequentemente dato ingresso a questioni di costituzionalità sollevate da magistrati di sorveglianza in procedimenti che, non "giurisdizionalizzati" appieno - al pari di quello in discorso -, sono stati tuttavia ritenuti idonei a essere configurati come "giudizio" ai fini che si discutono (ad esempio, nelle questioni sollevate da magistrati di sorveglianza in tema di concessione di permessi-premio), in armonia con la tendenza crescente della giurisprudenza, costituzionale e ordinaria, a qualificare l’attività del magistrato di sorveglianza come funzione di garanzia dei diritti del detenuto, e dunque come giurisdizione in senso pieno.

    Se, in definitiva, il giudice naturale di tutti i diritti del detenuto coinvolti nel corso e a causa o in occasione del trattamento penitenziario é il magistrato di sorveglianza, e non altra istanza giurisdizionale, ordinaria o amministrativa, cui pure in astratto il detenuto potrebbe rivolgersi, la questione prospettata, benchè incentrata su un profilo procedurale, assume una valenza di particolare rilievo, finendo essa per qualificare il significato stesso della funzione della magistratura di sorveglianza.

    In caso di accoglimento, infatti, le decisioni da prendere su...

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