Sentenza nº 224 da Constitutional Court (Italy), 03 Giugno 1999

RelatoreValerio Onida
Data di Resoluzione03 Giugno 1999
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 224

ANNO 1999

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Dott. Renato GRANATA Presidente

- Prof. Cesare MIRABELLI Giudice

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "

- Avv. Massimo VARI "

- Dott. Cesare RUPERTO "

- Dott. Riccardo CHIEPPA "

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "

- Prof. Valerio ONIDA "

- Prof. Carlo MEZZANOTTE "

- Avv. Fernanda CONTRI "

- Prof. Guido NEPPI MODONA "

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Prof. Annibale MARINI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5, primo comma, lettera a, e terzo comma, della legge della Regione Siciliana 6 marzo 1976, n. 25 (Disposizioni per i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria), e dell’art. 15 della legge della Regione Siciliana 14 settembre 1979, n. 212, recante "Norme riguardanti l’Ente di sviluppo agricolo (ESA), l’Istituto regionale della vite e del vino (IRVV), l’Azienda siciliana trasporti (AST), l’Istituto regionale per il credito alla cooperazione (IRCAC), la Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane (CRIAS), e l’Ente acquedotti siciliani (EAS)", promossi con due ordinanze emesse il 16 aprile 1997 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana sui ricorsi proposti dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti, iscritte ai nn. 793 e 794 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 47 dell’anno 1997.

Visti gli atti di costituzione del Consiglio di presidenza della Corte dei conti nonchè gli atti di intervento della Regione Siciliana;

udito nell’udienza pubblica del 13 aprile 1999 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Consiglio di presidenza della Corte dei Conti e l’avvocato Francesco Torre per la Regione Siciliana.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, accogliendo il ricorso di alcuni magistrati della Corte dei conti in servizio presso le sezioni della Corte per la Regione Siciliana, ha annullato due circolari del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, in cui si invitavano tutti i magistrati della Corte stessa a comunicare la loro eventuale disponibilità per l’assunzione dell’incarico di presidente effettivo o supplente del collegio dei revisori del Centro interaziendale per l’addestramento professionale nell’industria (CIAPI) di Palermo. L’annullamento é fondato sulla violazione dell’art. 5 della legge della Regione Siciliana 6 marzo 1976, n. 25 (Disposizioni per i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria), ai cui sensi detti incarichi sono conferiti a magistrati in servizio presso le sezioni della Corte per la Regione Siciliana.

    Nel corso del giudizio di appello contro la pronuncia, promosso dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza emessa il 16 aprile 1997, pervenuta a questa Corte il successivo 30 ottobre (R.O. n. 793 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 97, 100, 104, 107, 108 e 116 della Costituzione, nonchè agli articoli 14, 17 e 23 dello statuto speciale della Regione Siciliana, dell’art. 5, comma 1, lettera a (che prevede la nomina di un membro effettivo e di uno supplente del collegio dei revisori ad opera delle sezioni della Corte dei conti per la Regione Siciliana, che li scelgono fra i magistrati in servizio presso le stesse), e comma 3 (che attribuisce la presidenza del collegio al revisore effettivo nominato dalla Corte dei conti), della predetta legge regionale n. 25 del 1976.

    Il remittente premette, in via interpretativa, che - in forza del rinvio operato dall’art. 10, comma 10, della legge 13 aprile 1988, n. 117, all’art. 13, secondo comma, numero 3, della legge n. 186 del 1982 - gli incarichi in questione devono essere conferiti dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti, e non più dalle sezioni della Corte per la Regione Siciliana, come testualmente prevede la norma impugnata.

    Quest’ultima, tuttavia, appare al remittente in contrasto con numerosi precetti della Costituzione e dello statuto speciale, in quanto, prevedendo lo svolgimento da parte di magistrati di un incarico obbligatorio presso un ente regionale, verrebbe ad incidere sull’indipendenza dei magistrati stessi e sul loro status, nonchè ad eccedere le attribuzioni legislative della Regione Siciliana.

    Le sezioni della Corte dei conti per la Regione Siciliana, previste dall’art. 23 dello statuto speciale, sarebbero, come la Corte stessa, organi dello Stato-ordinamento, onde non potrebbero essere oggetto della potestà legislativa della Regione, la quale non avrebbe alcun potere di imporre ad esse, o ai loro componenti, obblighi di alcun genere, come quello di rivestire incarichi presso enti regionali. La materia dello status dei magistrati, compresi quelli delle sezioni regionali della Corte dei conti, non rientrerebbe fra quelle attribuite alla competenza legislativa della Regione.

    Verrebbero in gioco i principi costituzionali di indipendenza della Corte dei conti e dei suoi componenti (art. 100, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione), nonchè di autonomia della magistratura (art. 104, primo comma), di necessario consenso dell’interessato per l’assunzione di funzioni diverse da quelle d’istituto (art. 107, primo comma), e di riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario e di ordinamento delle magistrature (art. 108, primo comma).

    L’attribuzione di un incarico presso un ente regionale inciderebbe sia sull’indipendenza dei magistrati contabili, potendo ritenersi inopportuno che un magistrato rivesta incarichi nell’ambito della Regione presso cui esercita le sue funzioni, sia sulla competenza del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, trattandosi di incarichi previsti dalla legge regionale come obbligatori, con la conseguente inoperatività dell’organo in caso di mancata nomina o di mancato consenso dell’interessato: ciò in violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

    Infine la norma denunciata sarebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento a favore dei magistrati della Corte dei conti in servizio in Sicilia rispetto agli altri loro colleghi: profilo questo che non potrebbe ritenersi superato nemmeno in vista della portata circoscritta della norma vuoi quanto al numero di incarichi previsti, vuoi quanto ai compensi.

    La rilevanza della questione sollevata discenderebbe dal fatto che il suo eventuale accoglimento comporterebbe l’infondatezza o l’inammissibilità per difetto di interesse della pretesa fatta valere nel giudizio a quo dai ricorrenti, i quali ritengono che gli incarichi dovrebbero essere conferiti solo ai magistrati in servizio in Sicilia.

  2. – Si é costituito il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, appellante nel giudizio a quo, chiedendo in un primo tempo che la questione fosse dichiarata "inammissibile e infondata".

    In una successiva memoria, prodotta in vista dell’udienza, la difesa del Consiglio di presidenza chiede invece che la questione sia dichiarata infondata per quanto riguarda i profili più generali concernenti la possibilità stessa, per la legge regionale, di prevedere il conferimento di siffatti incarichi a magistrati della Corte dei conti; fondata invece per quanto riguarda la limitazione operata dalla legge là dove dispone che gli incarichi siano conferiti a magistrati in servizio in Sicilia.

    Quanto ai profili più generali, la parte osserva che il compito di stabilire i modi di tutela dell’indipendenza dei magistrati della Corte dei conti e di definire lo status dei magistrati é affidato alla legge. Ora, la possibilità di conferimento ai magistrati della Corte dei conti di incarichi extraistituzionali sarebbe prevista già dal combinato disposto dell’art. 10 della legge n. 117 del 1988 e dell’art. 13, secondo comma, numero 3, della legge n. 186 del 1982. Tale disciplina sarebbe poi stata completata con la legge n. 241 (recte: 421) del 1992, che ha delegato il Governo ad emanare norme dirette fra l’altro a prevedere che incarichi ai dipendenti della pubblica amministrazione possano essere conferiti "in casi rigorosamente predeterminati" (art. 2, comma 1, lettera p). L’art. 58 del d. lgs. n. 29 del 1993, in attuazione di tale delega, ha stabilito il principio che possono essere conferiti ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni solo incarichi espressamente contemplati dalla legge o da altra fonte normativa, e ha previsto per i magistrati l’emanazione di appositi regolamenti che determinino gli incarichi consentiti e quelli vietati. Per i magistrati della Corte dei conti, il d.P.R. 27 luglio 1995, n. 388 (Regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati nella Corte dei conti, ai sensi dell’art. 58, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29) ha espressamente ammesso che essi possano essere chiamati a coprire incarichi previsti dalla legge dello Stato o dallo stesso regolamento con specifico riferimento a magistrati della Corte dei conti in genere (art. 3, comma 3, lettera h), e in particolare a partecipare a collegi sindacali o di revisori dei conti nei casi espressamente previsti "da legge dello Stato o delle Regioni" (art. 3, comma 6, lettera g).

    Non avrebbero dunque fondamento i dubbi avanzati sulla legge impugnata sotto il profilo della violazione dell’indipendenza dei magistrati e della riserva di legge statale in tema di magistrature: essa infatti si sarebbe limitata ad utilizzare una possibilità offerta dalla legge statale. Nè l’incarico in questione sarebbe configurato come un dovere indefettibile, con conseguente lesione dell’autonomia del magistrato, ma come una "nomina", liberamente accettabile o rinunciabile.

    Per le stesse...

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